Rayner's Lane, vicino a Harrow, è il sobborgo di Londra ove Trevor Hughes abitava con la madre inferma. La Taverna Fitzroy è un bar in Charlotte Street, a Soho, assai frequentato a quei tempi da pittori e scrittori.


a Trevor Hughes
12 gennaio 1934,

Swansea

 

  Da quando ti lasciai solo sul deserto marciapiedi della stazione, agitando un ultimo, miserando fazzoletto mentre il treno correva portandomi verso Chelsea e Sir Richard Rees, ho avuto l'intenzione di scriverti una lunga lettera. A volte la forma mostruosa dell'insegna illuminata di Rayner's Lane, si è levata nei sogni come l'annuncio pubblicitario della mia coscienza, ed io ho giurato di saltar giù dal letto, la mattina dopo, di afferrare matita e carta, e di scrivere fino a quando l'oscurità non fosse ridiscesa sulla vuotaggine del Galles con uno strepito abituale. Ma le mattine sono state gelide, la matita non era abbastanza vicina, la carta sembrava troppo vergine per poter essere deflorata, e la mia pigrizia incorreggibile ha fatto sì che rimandassi, una volta dopo l'altra, il piacere di continuare la nostra corrispondenza. Una volta che abbia potuto cominciare, allora tutto è a posto; le parole, Dio lo sa, vengono abbastanza facilmente, troppo facilmente per taluni, come ti dirò dopò. Ma l'ispirazione di cominciare non ha bussato nel sangue, né ha tastato le dita. Ora con l'aiuto divino, questa lettera potrà continuare per qualche tempo.
   Mi trovavo con te a settembre; adesso il Natale è passato, e le sole lettere scambiate tra noi in questo periodo di tempo sono state brevi e di tono quasi affaristico. Ti ho ringraziato per aver mandato il mio racconto? So di non aver mai spedito le nuove poesie come avevo promesso. Che questo sia il mio pentimento, e posso unirmi a te, anche se soltanto per breve tempo, nella tua semplice solitudine?
   Non sembri più allegro dell'ultima volta che ti vidi, e in realtà mi stupirei se tu lo fossi. Vivere a Metroland con una madre invalida
e per favore non immaginare nemmeno per un momento che queste parole siano in qualsiasi modo irriverenti non induce al superiore ottimismo, né, tra tanta rispettabilità e subordinazione all'orologio dell'ufficio, alla non rispettabile creazione della letteratura. Ricordo di averti consigliato di arrampicarti fuori della tua morbosità, senza ben rendermi conto allora, forse, che non eri il Giona inghiottito dalla tua balena, ma la balena ho fiducia nella tua capacità di scrivere inghiottita dal Giona delle circostanze. E o questa è una tortuosità più profonda di quanto sembri, oppure non significa proprio un bel niente.
  Ora capisco un poco, ma soltanto un poco, la circostanza che ti ha trattato cosi crudelmente, e se non ha inghiottito me ciò è accaduto soltanto a causa della mia egocentricità, del mio egoismo insulare che consente a ben poche delle ondate d'oggi di toccarlo. Subito dopo che ti lasciai, mio padre entrò nell'University College Hospital per essere operato di cancro alla gola; oggi è tornato a scuola, debole e non guarito. E soltanto poco tempo fa ho saputo la verità per quanto concerne la mia salute. Ma la certezza della malattia del babbo e l'avvertimento per quanto riguarda la mia, mi hanno lasciato orribilmente impassibile; divento un più grande introverso giorno per giorno, anche se, sempre giorno per giorno, sono conscio di un maggior numero di meraviglie esteriori del mondo. Il mio scopo come artista
anche questo è stato negato, ma non dal pontificale Eliot è quello di portare in me tali meraviglie, di dimostrare al di là d'ogni ombra di dubbio a me stesso, che la carne che mi copre è la carne da cui è coperto il sole, che il sangue nei miei polmoni è lo stesso sangue scorrente su e giù in un albero. È la semplicità della religione. Gli artisti, a quanto mi è dato capire, si sono accinti, sebbene inconsciamente, a dimostrare una di due cose: o che sono pazzi in un mondo sano di mente, o che sono sani di mente in un mondo pazzo. A pochi è stato concesso di pervenire a una fusione perfetta tra follia e sanità mentale, e tutto è sano di mente tranne ciò che noi facciamo pazzo, e tutto è pazzo tranne ciò che noi facciamo sano di mente.
  No, il grande Eliot non mi ha condannato, ma è stato cauto. Rees, d'altro canto, pur pubblicando due mie poesie e interessandosi in modo singolare a tutto quel che scrivo, mi ha mosso un'accusa davvero stupefacente: che gran parte di quanto scrivo non è scritto consciamente, che ogni mio eventuale talento è chiaroveggente, e la mia fecondità spiegata dalla «scrittura automatica». Charles Williams, della Oxford University Press, autore, come tu sai, di numerosi libri mistici, ha letto molte delle mie poesie, ma confessa di non capirle; non possono essere «messe in ridicolo», ma non potrebbe dire che gli siano piaciute. E così continuiamo, non trovando altro che cortesia e interessamento, e null'altro se non un rifiuto alquanto perplesso di pubblicare.
   Ti mando alcune poesie recenti da criticare, non nella maniera pedante dei professori, ma con i tuoi metodi di gran lunga più validi. Sii franco come io lo sono con te. Si tratta, lo ammetto, di cose poco attraenti, con le loro immagini quasi totalmente anatomiche. Ma difendo lo stile, il susseguirsi forse tedioso di sangue e ossa, gli inesauribili paragoni tra le correnti nelle vene e le luci negli occhi, dicendo che, per il momento almeno, mi rendo conto come mi sia impossibile sollevarmi all'altezza delle stelle, e come sia costretto, per conseguenza, ad abbassare le stelle al mio livello e ad includerle nel mio universo materiale.
  Quella di «Prose and Verse» è una triste storia, e rimandata spesso quanto le mie lettere. Soltanto poco tempo fa stava sbocciando alla luce, strisciava in alto persino attraverso il mio letargo; adesso è nuovamente colata a picco e non è più che una leggenda destinata ad essere raccontata dai vecchi ai loro figli: C'era una volta un ragazzo che aveva Pretese Letterarie, non soltanto per se stesso, ma anche per quegli amici i quali, a loro volta, opprimevano gli editori inglesi con le loro malinconiche lagnanze. E il ragazzo decise di pubblicare un periodico in cui lui stesso e gli altri sfortunati giovani avrebbero potuto esprimere molto particolareggiatamente le vicissitudini del loro spirito; gli fece pubblicità e interessò ad esso molti dei più importanti Intellettuali della sua cittadina filistea. Ma accadde qualcosa: un amico si trasferì a Londra e un altro in una università, entrambi i luoghi molto vasti e sconcertanti, mentre il ragazzo rimaneva con alcune collaborazioni altrettanto sconcertanti nelle mani. Il tempo passò, e sorse un nuovo Intellettuale che, saputo dei progetti frustrati del ragazzo, decise, finalmente, di fare in modo che potessero dar frutto. Di nuovo accadde qualcosa, o, a dire il vero, accaddero due cose, e l'una fu colpa del ragazzo, e l'altra fu colpa dell'Intellettuale. Il ragazzo, tutto a un tratto, si disgustò della malattia mentale del suo paese, della alterata apatia dei suoi compatrioti, e della natura essenzialmente stravagante di se stesso. E l'Intellettuale divenne pigro. Cosi, una volta di più, il periodico fu seppellito sotto le brume della mente e, una volta di più, gli amici del ragazzo rimasero fregati. Ma un giorno «Prose and Verse» sorgerà in tutto il suo splendore e sarà pubblicata non dalle viscere del sudicio Galles, ma dal cuore della metropoli. E lui e i suoi amici saranno più anziani e assennati, e le loro collaborazioni potranno essere anche migliori di quanto lo erano prima. Sì, «Prose and Verse» è seppellita, ma non dimenticata. Verrà pubblicata, questo te lo prometto. E ti prometto che almeno una parte di essa sarà buona, a questo provvederai tu stesso.
  Potranno passare uno o due giorni prima che questa lettera sia completata, poiché, per quanto sia deciso a scriverla, sembro diventare più indaffarato ad ogni nuovo giorno ozioso. Sia la mattina, sia il pomeriggio, constato di avere sempre e sempre più da scrivere, e il fatto che quanto scrivo può essere privo di valore, non modifica la realtà del tempo necessario; le mie serate sono dedicate alle prove e alle rappresentazioni al Piccolo Teatro, o alle costanti, ma sempre più copiose, libagioni. Ricorda, inoltre, che la frammentarietà di questa lettera è dovuta esclusivamente ai ritagli di minuti che le sto dedicando, e non, come potrebbe sembrare, a un cervello disordinato in modo così stupefacente.
   Questo nuovo anno mi ha riportato il senso del magico perduto
in modo irrecuperabile, credevo molto tempo fa. Sono conscio, se non della probabilità dell'impossibile, almeno della sua possibilità, e il paradosso si è vestito come una fata. È occorso del coraggio per dire questo «come una fata», poiché le giovani donne delle pantomime, amoreggianti in una trasparente nudità, hanno sottratto tutto alla fata tranne il suo corpo di donna. Una fata non è sovrannaturale; è la cosa più naturale del mondo. Come è più facile credere in lei, nelle sue magnifiche trasformazioni, nelle sue ali e nei suoi miracoli, di quanto lo sia credere alla invulnerabilità del papa, al genio di Bernard Shaw e al mostro di Loch Ness. Non che io dubiti dell'esistenza di quest'ultimo, ma coloro i quali lo vedono, lo guardano male. Un uomo che osserva un'alba o un tramonto particolarmente incredibili, non telefona la notizia ai giornali; se vede come tutti abbiamo veduto un centauro che alita fuoco nelle forme delle nubi, non lo fotografa per poter convincere gli amici della sua realtà. Dice, Davvero meraviglioso, e continua per la sua strada. Così dovrebbe essere con il mostro del Loch; gli abitanti dei villaggi dovrebbero vederlo, se esiste e può essere visto, commentare le curve leggendarie del suo tronco e le corna che ha sulla testa, poi tornarsene tranquillamente a casa e coricarsi. «Ho visto il mostro», direbbero alle mogli. «Ma va' là, e tu ci credi?» «Non so se ci credo, sarebbe la risposta, ma l'ho visto e come, ed era assolutamente incredibile». Tutto finirebbe lì.
   La superstizione è un vizio morale, ma l'uomo che crede nel sovrannaturale è un uomo che prende le cose alla lettera. Scopo della chiesa
quell'incarnazione della morale medievale è eliminare il senso del letterale che ha l'uomo. Quanto sarebbe meglio dire che Dio è grande, e non che «tutto pervade».
   Non esiste alcun vizio (una contraddizione voluta); quelli che conosciamo come vizi sono reati sociali; la colpa è della società che non vuole adattarsi in modo da rendere quei reati o non criminosi o impensabili. Ma la società per adattarsi deve sfasciare se stessa. La società dovrebbe conformarsi all'uomo, non ostacolarlo; ma è cresciuta corrotta con il suo bambino capitalista, e soltanto il socialismo rivoluzionario può ripulirla. Il capitalismo è fatto per i tempi di carestia, e la verità di oggi è la verità della fertilità. Tutto ciò che rinuncia alla fertilità è una menzogna.
  Il guaio, naturalmente, dell'assillo per le radici e la sostanza della magia è la frequenza con la quale il demonio e i suoi biforcuti apprendisti entrano nella mente di colui che crede. Lo sconforto può essere attribuito molto facilmente non a un disturbo organico o all'autoinsufficienza, o a una filosofia misantropa, ma ai paradossi indemoniati del cervello; le pecche in noi stessi possono essere troppo facilmente attribuite alle cose che gridano rauche nella notte; satanismo è un sinonimo troppo facile di sadismo. La figura più terrificante della storia, per me, è l'abbé francese che divenne, in seguito a qualche carenza o sovrabbondanza sessuale, un conoscitore della tomba e un adoratore di suo fratello il Verme. Non si coricava con una donna senza essersi prima avvolto in un sudario, senza essersi dipinto la faccia come quella di un cadavere, e giaceva poi irrigidito e senza respirare, come se ella si fosse trovata nella stretta del suo ultimo amante. L'abbé era probabilmente un gentiluomo, buono con i cani, ma vedeva la vita attraverso le lenti della morte
v'è un'immagine deliziosa, non so dove, che rappresenta ogni stelo d'erba come il periscopio di un morto e ciò, nonostante il mio morboso sistema estetico, mi sembra una colpa imperdonabile. La cosa più bella del mondo, per Poe, era una donna morta. Poe non può essere contestato sul terreno del gusto, ma su quello della precisione, perché una donna morta non è affatto una donna, lo spirito che fece di lei una donna essendo fuggito e già metamorfizzato. Amare una donna morta non mi sembra essere necessariamente malsano, ma è un amore troppo unilaterale per poter essere puro. L'amore è unilaterale, lo ammetto, perché consiste più in quanto si mette in una donna e una volta tanto non sto parlando anatomicamente che in quanto si ottiene da lei. Il cinico direbbe che è tutto l'opposto; ma d'altro canto il cinico è un uomo morto, e nonostante il fatto che io considero il paganesimo la più malefica delle dottrine, il corpo ci è stato dato per vivere, così come le stelle ci sono state date per essere alla loro altezza.
  Dicesti una volta, in una delle tue preziose lettere, la quale, tra parentesi, si trova ancora bene in vista sulla mia scrivania, che le tue afflizioni alla mia età includevano l'intera femminilità, mentre le mie
da quel piccolo beone che sono destinato a divenire potrebbero essere circoscritte dai limiti di un boccale da mezza pinta. Pur non essendo assolutamente d'accordo sul fatto che le mie difficoltà di adolescente possano essere limitate a una breve e disorientata conoscenza con il bere, confesso che la donna come generalizzazione, anche come generalizzazione fisica, non mi ha mai crucciato affatto. Gli effettivi trasalimenti nel mio sangue sono sempre stati causati dal ricordo di, o dal contatto con, qualche persona particolare e reale. Ho inoltre il piacere, o la disgrazia, di confessare a un magro e sospettoso creatore di letteratura patologica che sono innamorato. Non solo, ma non si tratta di un amore innaturalmente unilaterale. Ridi quanto ti pare, anche se non credo che riderai. O forse sì?
  Hai letto molto come al solito, o quella tua inceppata ispirazione è finalmente riuscita a prorompere dall'utero della penna? Non vedo l'ora di leggere il racconto che mi hai promesso, e spero, inoltre, che tu ne sia soddisfatto. Conosci i tuoi difetti bene come io conosco i miei, e mentre io sto dedicando sempre e sempre più tempo alle forme dei paragrafi, alla lenta formazione delle frasi, e alla cancellazione delle virgole, sarebbe ugualmente, con ogni probabilità, consigliabile per te dedicare sempre e sempre meno tempo ai rifacimenti e sempre più tempo alla creazione a caldo della tua prosa. Molte cose ti sono avverse, lo so, ma mi riesce difficile dire se le circostanze avverse siano o no un impedimento. Il meglio di un uomo emerge nella sofferenza; v'è un profeta addolorato e un oracolo nello strazio della mente. Queste cose sono facili a dirsi; è più facile riconoscere il profeta che ascoltarlo; se soltanto potessi dire con Blake, la Morte per me non è più che passare in un'altra stanza. Come, anche questo, è facile a dirsi; v'è tanta ciarlataneria in un poeta quanta ve n'è in un astrologo, e può darsi che la genuinità e il valore dell'uno siano la genuinità e il valore dell'altro; entrambi provano amore e timore reverenziale per il mondo miracoloso, ed entrambi sono consci degli orizzonti.
  Occorrono forse «Nuovi stili di architettura, un mutamento di cuore»? Non occorre una nuova coscienza dell'antica architettura universale e uno strappare al vecchio cuore le cose che lo hanno ingorgato? Eppure la nostra mente si aggira troppo intorno ai testicoli, lagnandosi

 

      ... con metri delicati ed esausti

      Perché il guizzo di tre nervi addominali

      È incapace di produrre un lungo Nirvana.

 

  Guardiamo una cosa mille volte; forse dovremo guardarla un milione di volte prima di vederla per la prima volta. Secoli di progresso problematico ci hanno reso ciechi al mondo letterale; ogni vivido e nudo oggetto è avvolto in una fitta nebbia, tipo passato di piselli, di associazioni; non una sola parola in tutto il nostro vocabolario poetico è una parola vergine, pronta per il nostro primo amore, disposta ad essere ciò che ne facciamo. Ogni parola è stata corteggiata e conquistata da un'interminabile processione di letterati defunti che hanno posto le loro monete nel piatto di una Musa mezzana, sono passati per le porte del bordello di una lingua divina, e hanno fornicato con le sillabe di Milton e della Bibbia.
   Ma la consapevolezza di questa prostituzione non deve portarci, come ha portato James Joyce, a inventare nuove parole; non deve indurci, come ha indotto Gertrude Stein, a ripetere le nostre semplicità ancora e ancora, secondo moduli intricati e astratti, in modo che il significato vada perduto e rimanga soltanto il nudo e bel guscio delle parole. Ogni parola dovrebbe essere per noi un catino in cui tossire le nostre personali malattie, e non un ricettacolo già pieno di lontane malattie di altri con il quale trastullarci come un giocoliere si trastulla con budini.

 

      Svetta ancora il campanile di Harrow ove si levava

      Quando Horace Vachell, bambino, giocava?

      E l'Insegna è sempre là come una peccatrice

      E la tua cena continua ad essere troppa e traditrice?
      Le mie vecchie poesie rimangono intoccate,
      Le condizioni di salute di tua madre son migliorate?
      E altre domande che non ho il tempo di fare
      Né l'inclinazione, inoltre, di rimare,
      E domande diverse che preferisco tacere
      Finché nel letto di casa tua non passerò le sere.


  Ora quanto più presto scriverai, tanto più presto io risponderò... e senz'altro lo desidero; e quanto più mi manderai del tuo lavoro, tanto più io sarò contento. Scrivi quanto ti pare, o anche di più, e ti prometto che la prossima lettera sarà più lunga di questa e avrà molto di più da dire. Spero di poter venire a stare con mia sorella nelle prossime tre o quattro settimane. Non ci siamo ancora accordati su una data precisa, ma ti avvertirò non appena sarà stata fissata; e, se non altro, potremo passare alcune ore insieme nella Taverna Fitzroy. Ma spero di poterti vedere più a lungo. Arrivederci e che Dio ti benedica.

 

Dylan

 

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Lettera al giornale «Swansea and West Wales Guardian». I riferimenti al fascismo suonano ironici: Dylan Thomas, che si definiva un "socialista molto anticonformista",  appoggiò la manifestazione contro la British Union of Fascists (un partito di ispirazione fascista), che si tenne a Swansea nel luglio di quell'anno. Peraltro, a 15-16 anni il poeta aveva scritto la pièce teatrale sarcastica (di un atto solo) Lunch at Mussolini's per lo «Swansea Grammar School Magazine»,  da rappresentare al Little Theatre di Swansea, che non andò mai in scena. Venne  pubblicata in Italia negli anni 70 col titolo "Mussolini a colazione".

 

al direttore dello « Swansea and West Wales Guardian»

8 giugno 1934

 

DIRE LA VERITÀ AL PUBBLICO SIGNIFICA

SMASCHERARE FRODI E PRESUNTUOSA RISPETTABILITÀ


  Signore, in questa nostra sovrappopolata gabbia per riproduzione, in questa laida contraddizione di cittadina compromessa per sempre tra i pagliai e le baie ingombre, i Filistei esercitano una dittatura inevitabile e considerano i primi barlumi di un'intelligenza sociale e i primi indizi d'una pia avversione dei contagi parrocchiali così come il negro deve avere considerato all'inizio le fattezze del suo fratello dalla faccia di giglio.
  Lei ha degnissimamente dimostrato il fatto che un quotidiano locale non deve limitarsi esclusivamente a pubblicare fotografie dei nostri più bovini notabili; le cronache particolareggiate di delitti che in una condizione della società meno criminosa non sarebbero necessari; le insipide chiacchiere sulla posizione topografica di strade scomparse e sugli accenni, in pessimi romanzi, alla nostra cittadina eletta da Dio; la ripetizione di vetuste storielle; i continui commenti sul deterioramento graduale della pompa parrocchiale, e gli inutili cavilli tra cristiani negatori del Cristo, razionalisti irrazionali e rappresentanti in ghette bianche di un sistema sociale che, per troppi anni, si è servito del cappello a bombetta al solo scopo di tenere separate le proprie orecchie.
  Ma il colore di una camicia conta poco per l'uomo che non ha una camicia sulle spalle, e il paradiso musicale dopo la morte, arpeggiato dal gentiluomo all'armonium, è un ben povero surrogato per l'uomo cui il paradiso sulla terra
tepore, vesti, cibo, una donna, e, forse, figli viene negato da ogni parte. Lei può fare di più che semplicemente consentire ai politicanti dilettanti e professionisti della cittadina di esibire in pubblico le loro cattive maniere. È in suo potere imporre, fino ai limiti stessi della censura, a tutti i suoi lettori una certa consapevolezza delle restrizioni immorali cui vengono assoggettati, delle frodi e della presuntuosa rispettabilità che agiscono alle loro spalle in ognuna delle loro ammanettate giornate, e far questo non per una qualsiasi prevenzione politica, ma per il convincimento innegabile che non ci si debba prendere gioco della divinità dell'uomo, che la manna di Dio non è la minestra tiepida e inamidata delle cappelle, ma i chicchi incandescenti dell'amore e della vita distribuiti ugualmente e imparzialmente tra noi tutti, e che alle radici del nostro essere sta non l'avidità di proprietà o di denaro, ma il desiderio, grande quanto l'universo, di esprimere noi stessi liberamente e fino agli estremi limiti delle nostre capacità individuali.
  Il fascismo sboccerebbe alla vita come un fiore attraverso le screpolature di una bara, annaffiato dagli escrementi dei morti, gli escrementi dei morti politici, lo sputo degli anticristi che hanno crocifisso Lui e i Suoi figli dai tempi del bacio di un uomo al quale occorrevano trenta pezzi d'argento per corrompere, forse, uno dei consiglieri di Gerusalemme con un sacco di carbone o un barile di vino, o, come membro del Comitato per il miglioramento delle strade di Gerusalemme, per acquistare una fila di case che il Comitato aveva deciso di demolire a scopi di ampliamento. Puzzerebbe ancora delle erbacce di questo sistema sociale in putrefazione, e tutti i lembi di tutte le camicie nere di questo mondo non basterebbero a pulire del fango e dei lividi neri e blu il deretano ben preso a calci del pubblico inglese.
  Questo sappiamo. Le camicie sono cambiate, ma le maschere rimangono, a nascondere le facce enigmatiche di coloro per i quali la bellezza del mondo tangibile si approssima alla possibilità individuale di osservarla. Per essi non esiste mondo che non debba essere toccato e tastato o sentito dai sensi ambigui del corpo maltrattato. Per essi l'individuo è un fattore verso uno stato, e al contempo una complessa macchina per lavorare che vende il proprio sudore e i propri muscoli o altrimenti muore di fame e si sfascia. Per essi l'individuo non è un mondo, una struttura d'ossa, di sangue, di nervi e di carne, il tutto reso miracoloso dal miracolo della mente, ma una creatura che lavora per il profitto dei suoi simili allo scopo di poter tirare avanti alla meglio e mangiare ciò che le si dà ed essere sepolta a sue spese.
  Il fascismo libererebbe dagli insetti la casa del lavoratore e tenterebbe di dargli un po' più di quelle cose delle quali non sarebbe mai dovuto essere privato; il diritto divino di vivere, indipendentemente dalle sue capacità lavorative.
  Il fascismo farebbe questo e altro, affinché l'uomo potesse lavorare ancor più duramente ed essere trascinato più profondamente in una falsa condizione di sicurezza e in una soddisfazione blasfema, venendo a trovarsi al fondo stesso di un mondo di classe antireligioso.
  Questo sappiamo. È in sua facoltà imporre la consapevolezza e l'odio di ciò a mille cervelli, e dimostrare, mediante tale consapevolezza, che il mondo meraviglioso è stato reso immondo dagli uomini i quali hanno agito contro gli uomini, dal demone nell'uomo che ha agito contro il Dio nell'uomo.
  Insegni a odiare, e poi a credere nell'antitesi di ciò che è odiato.
  Suo ecc.                                                     

 

Dylan Thomas

 

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La sceneggiatura teatrale "Lunch at Mussolini's" scritta da un giovanissimo Thomas
La sceneggiatura teatrale "Lunch at Mussolini's" scritta da un giovanissimo Thomas

 

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Nel mese di marzo Dylan aveva ricevuto una lettera da Glyn Jones, il poeta, che doveva diventare un amico, e nello stesso mese aveva ricevuto inoltre una lettera di congratulazioni da Stephen Spender, già assai noto a Londra. Dylan stava incominciando a conquistarsi una fama, almeno tra altri poeti.

 

a Stephen Spender
marzo 1934
Cwmdonkin Drive 5, Uplands, Swansea

 

  Caro signor Spender,

  sono molto lieto che abbia scritto e molto contento che le piacciano le mie poesie da lei lette. Sono lieto in più di un modo che mi abbia scritto, poiché ho tentato in queste ultime settimane di scrivere a lei e di dirle quanto mi fosse piaciuta la sua ultima poesia in «New Verse». Le sue poesie in «New Verse», e l'ultima in particolare, mi sembrano di gran lunga le cose più valide che siano state pubblicate nella rivista. Non penserà, spero, che io dica questo soltanto perché lei è stato così cortese a proposito dei miei versi.
  Qui, in questa peggiore tra le cittadine di provincia, sono così estremamente lontano da ogni vita intellettuale, che è per me un grande piacere ricevere anche la più breve lettera di congratulazioni. L'essere io disoccupato contribuisce inoltre a intensificare il mio odio naturale per il Galles.
  Il signor Grigson mi ha chiesto, per il tramite del «Listener», di mandargli alcune poesie con l'intenzione di farle pubblicare in «New Verse». Ma non credo che gli piacerà quanto gli ho fatto avere. Quali periodici pubblicano il genere di versi ch'io sto cercando di scrivere? Sono stato pubblicato nell'« Adelphi», nel«New Englis Weekly», nel «Listener» e nel «Referee». Conosce qualche altro giornale
  o meglio, sarebbe un disturbo eccessivo per lei scrivere e dirmelo  che potrebbe pubblicare le mie poesie? Questo significa chiedere molto, temo. Se è troppo occupato per scrivere, forse potrei incontrarmi con lei a Londra la prossima volta che verrò... subito dopo Pasqua.
  Grazie ancora.
  Sinceramente suo,                                           

 

Dylan Thomas

 

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All'incirca nello stesso periodo cercò di definire il proprio atteggiamento poetico in una lettera a Glyn Jones.


a Glyn Jones
subito dopo il 16 marzo 1934

Cwmdonkin Drive 5, Uplands, Swansea

 

  Se non viene a Swansea per qualche tempo, perché non mandarmi alcune delle sue poesie... poesie, preferibilmente, che non siano state pubblicate? Se possibile, voglio soltanto materiale inedito per la mia antologia che, a Dio piacendo, potrebbe uscire nel corso di quest'anno. Non deve preoccuparsi per le poesie che accetterò; W. H. Davies e tutti i suoi piccoli parassiti del denaro sono banditi. Non mi curo tanto della «durezza e rigidità» delle poesie, purché siano moderne nel senso migliore, e purché vi sia stata un'autentica necessità di scriverle. In effetti spero che alcuni buoni versi «fluidi» troveranno una strada fino a me. Sembra che oggi vi sia un'avversione contro le poesie che scorrono molto lisce sulla pagina; i lettori cercano sempre conflitti nodosi e cartilaginosi nelle poesie moderne, a quanto pare senza rendersi conto che una poesia può esprimere il più complesso dei conflitti senza ciononostante mostrare alcuna dell'effettiva cartilagine conflittuale. Mi piacerebbe davvero leggere alcune delle cose che scrive. Lei è, presumo, un buon socialista. In quanto socialista io stesso, anche se molto anticonformista, mi piace leggere buona propaganda, ma le poesie più recenti di Auden e di Day-Lewis mi sembra che non siano né buona poesia, né propaganda. A un buon propagandista occorre ben poco richiamo intellettuale; e il richiamo emotivo in Auden non susciterebbe un'emozione corrispondente in una zecca. Lei è oscuro? Ma sì, tutta la buona poesia moderna non può non essere oscura. Ricordi Eliot. «Lo scopo principale del "significato" di una poesia, nell'accezione normale, può essere quello di soddisfare un'abitudine del lettore, di distrarne e tenerne tranquilla la mente, mentre la poesia esplica la propria azione su di lui». E ancora: «Alcuni poeti, presumendo che vi siano altre menti come la loro, si spazientiscono per questo "significato" che sembra superfluo, e vedono possibilità di intensità nella sua eliminazione». (Se conosce già queste citazioni, mi scuso). Il fatto che una buona poesia sia oscura, significa che è oscura per la maggior parte delle persone, e che il suo autore pertanto  contrariamente alle proprie idee, poiché ogni poeta pensa di scrivere per un pubblico universale  si rivolge a un pubblico limitato. Nessuno di noi oggi vuole leggere poesie che capisce con la stessa facilità della prima pagina dell'«Express», ma tutti vogliamo ricavare dalle poesie due volte di più di quanto noi stessi vi immettiamo. Sarebbe possibile catalogare quasi tutti i motivi dell'oscurità moderna. Alcuni poeti, come Gertrude Stein, e i transizionisti franco-americani di Eugene Jolas, hanno elaborato un metodo matematicamente esatto per eliminare le associazioni dalle parole, e per dare al linguaggio, o tentar di dare al linguaggio, il suo suono letterale, per cui la parola «cat» [gatto] non diviene altro che una parola monosillabica terminante con una consonante dura; altri, come Joyce, hanno ingrandito le parole, allungandole e animandole con inferenze contrarie, e costruendo intorno ad esse una vasta struttura di associazioni inattese, e spesso inesplicabili; altri ancora, come Auden, hanno dato troppo per dimostrato il loro pubblico, ed eliminato tutte le parole che sembravano loro inutili, lasciando in ultimo le proprie poesie scritte in una immaginosa stenografia; altri, come Rimbaud, hanno inserito simboli e associazioni esclusivamente personali, per cui, leggendo lui e i suoi satelliti, abbiamo la sensazione di intrometterci in un ricevimento privato, nel quale quasi ogni frase ha un significato personale che ci sfugge; altri, come Eliot, sono divenuti così consci dell'enorme meccanismo del passato che le loro poesie sembrano conglomerati eruditi di un secolo di saggezza e sono difficili da seguire a meno che non abbiamo una conoscenza intima di Dante, del Ramo d'Oro e dei rapporti meteorologici in sanscrito; altri, infine, come Graves e Riding, hanno qualcosa di intellettualmente nuovo da comunicarci e indulgono a un gioco logico di acrostici. Poi vi sono i Cummings, così spesso brevi, che, ossessionati dall'idea della forma, sezionano le loro poesie in striscioline e le applicano orizzontalmente, diagonalmente e capovolte sulle pagine.
  La mia oscurità è del tutto fuori moda, fondata com'è su un simbolismo preconcetto derivato (ho paura che tutto ciò suoni confuso e pretenzioso) dal significato cosmico dell'anatomia umana. E credo di aver detto abbastanza.
  Se questa lettera le sembra troppo tediosamente dogmatica, mi mandi una cartolina illustrata del National Museum, vuole? (Saprò che cosa farne). No, ma mi piacerebbe davvero moltissimo vedere il suo lavoro, non perché voglia trafiggerlo con uno spillo ed etichettarlo come una farfalla, come sembra abbia fatto più sopra, ma soltanto per goderne, o non goderne.
  Ed ora, per rispondere ad alcune domande. Sono nei primissimi vent'anni. Posso considerarmi un autodidatta delle scuole secondarie locali, ove non mi sono applicato affatto e ho fallito in tutti gli esami. Non ho frequentato alcuna università. Non sono disoccupato per il semplice motivo che non sono mai stato occupato. Non ho mai fatto altro che scrivere, anche se soltanto di recente ho cercato di far pubblicare qualcosa di mio. Due mie poesie sono apparse nell'«Adelphi», parecchie nel «Sunday Referee» (un giornale che lei dovrebbe prendere), alcuni racconti e poesie (v'è un racconto nel numero di questa settimana) nel «New English Weekly», alcune poesie nel «Listener» (ve n'è una molto oscura nel numero di questa settimana, di nuovo), molte cose nello «Herald of Wales», una poesia nel «John O'London», mentre l'«Adelphi», il «New English Weekly» ed altre riviste, compresa spero «Criterion», pubblicheranno alcune cose in un avvenire abbastanza prossimo. Ed è press'a poco tutto. Non un elenco molto formidabile. Oh, dimenticavo, una mia poesia è stata letta alla radio da Londra l'anno scorso. Credo che presto andrò a vivere a Londra, ma siccome, almeno fino ad ora, nessuno mi ha offerto un impiego confacente, vivere è una parola alquanto ambigua. Probabilmente riuscirò ad esistere, e forse a morire di fame. Fino a molto di recente non vi è stata alcuna necessità per me di fare nulla, tranne starmene seduto, leggere e scrivere (ho scritto molto, a proposito), ma adesso è essenziale che io mi inoltri nel mondo squallido e inospitale con i miei erotici manoscritti gettati sulla spalla in un sacco. Se conosce qualche persona gentile che abbia bisogno di un giovane pulito con conoscenze abbastanza estese della letteratura morbosa, una penna pronta, e nessuna responsabilità, me lo faccia sapere. Oh, potessero tornare di nuovo i tempi del mecenatismo letterario!
  Mi scriva una lettera, e mandi qualche poesia. Mi parli di lei. Sono troppo pigro per fare domande. E se davvero vuole una poesia oscura, investa tre pence in una copia del «Listener» di questa settimana. Anche se la mia poesia non le piacesse, v'è un interessante cruciverba latino.

 

Dylan Thomas

 

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Geoffrey Grigson accettò I nostri sogni da eunuco e un'altra poesia per pubblicarla in «New Verse» e prontamente smise di essere uno dei due uomini che Dylan odiava di più in Inghilterra.


a Geoffrey Grigson
27 marzo

Cwmdonkin Drive 5, Swansea

 

  Caro signor Grigson,
  grazie infinite. Sono lieto che lei pubblichi le due poesie inviatele. Le accludo una nuova poesia, appena terminata, che può essere di qualche interesse per lei. Se mi è consentito, le manderò altre poesie in seguito.
   Sarò a Londra dalla domenica di Pasqua fino al termine dellì settimana successiva, e nel frattempo mi recherò a Hampstead pel far visita ad alcuni amici. Potrei venire a trovarla?
  Sinceramente suo,
  

Dylan Thomas

 

  PS. Ho letto e riletto la mia poesia che inizia «I nostri sogni da eunuco», e mi colpisce più impetuosamente di prima quello che potrebbe sembrare un discordante ottimismo nei primi sei versi della quarta parte. Secondo me questa strofa riveduta suona meno falsa:

 

    Questo è il mondo: la menzognera sembianza
    Delle nostre strisce di sostanza che si lacerano mentre passiamo
    Amando da stracci ad ossa;
    II sogno che a pedate toglie i sepolti dai loro sacchi
    E lascia che quell'immondizia venga onorata come i vivi.
    Sopporta che il mondo giri.

 

  Ma naturalmente lascio la decisione soltanto a lei. Se crede che questa versione riveduta sia migliore in qualche modo, se ne avvarrà, spero.

 

Dylan Thomas

 

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Questa lettera può essere datata, approssimativamente, 28 marzo 1934. Le due lettere precedenti alle quali egli si riferisce sono andate perdute. Abbiamo tagliato tre pagine di critiche particolareggiate. Dylan Thomas e Pamela si erano incontrati per la prima volta a fine febbraio: lui era andato a Londra, ospite di lei. Non appena tornato nel Galles le aveva scritto che la amava, lei aveva risposto con un rifiuto, com'era consuetudine a quei tempi, ma il rapporto prometteva bene e il poeta sarebbe tornato a Londra di lì a pochi giorni.

 

a Pamela Hansford Johnson

28 marzo 1934 (?)

Cwmdonkin Drive 5,

Uplands, Swansea

 

Scuse e rincrescimento

 

  Mi scuso per aver tardato tanto a scrivere questa lettera; di solito sbrigo molto rapidamente la corrispondenza e poi dimentico di imbucarla, ma questa volta è del tutto diverso. Sono stato troppo malato per scrivere, per fare qualsiasi cosa tranne sedere fatalisticamente accanto al fuoco, sorseggiare tabacco turco da una esoticissima pipa e scribacchiare piccoli concettismi sul retro di cartoline postali. Il che ti dimostra quanto devo essere stato male. Ora sto riconquistando vitalità e dovrò scrivere con un accidenti di fretta affinché tu possa ricevere le mie smielate parole prima della fine della settimana. Mi sforzerò inoltre di mantenermi alla larga dall'elemento emotivo. Sono tuttora pentito di quella ormai famosa lettera con tutta la convinzione della mia melmosa coscienza. E mi rincresce di averti ferita, come hai detto tu, nel mio ultimo sfogo. Sono davvero pentito di quella lettera. Mi fa dolere dove mangio e dove siedo. E il pathos del secondo foglio è ugualmente deplorevole. Naturalmente so che nulla è, o può mai essere, guastato. Naturalmente... so... naturalmente... so! Il vicedirettore può rimanere disoccupato e il nebuloso cronista dell'anima rioccupare il proprio posto.

 

Salute

 

  La cosa più bella che mi sia mai stata detta, tu l'hai posta in fondo alla prima pagina della tua lettera. Non riuscirai a ricordare che cos'era e io non te lo dirò. Ma lotterò contro lo Spettro della Malattia con tutte le mie esili forze e diventerò pingue come lo stesso satiro della tua malinconia, se non altro per essere all'altezza di tante parole. E quando infine la Grande Giocatrice di cricket disturberà le mie sbarrette io tornerò serenamente nel Padiglione Celestiale, parlando di te e di Alma Mater [Il nome dato alla loro università dagli ex studenti] alla folla entusiastica, conscio che i miei punteggi non avevano demolito il prestigio da te così utilmente concesso. Questo sembra l'umorismo del signor Baldwin, ma è mortalmente vero. Tu sola sai quanto io sono fedele in realtà, e quale collezione di vecchie cravatte scolastiche cela il mio panciotto.

 

Al di là delle Agate

 

  Sono molto contento che la tua pantomima abbia avuto successo; lo meritava; io dal mio giaciglio profetico ho voluto che così fosse. Bada, consento anche a te un po' di congratulazioni per il successo; l'hai scritta tu e l'hai recitata, lo ammetto: ma anch'io vi ho avuto spaventosamente a che vedere. Perché, però, dire che non mi ha divertito? Mi è sembrata ottima. Non è il genere di umorismo che mi fa ridere clamorosamente e mi induce a mordere le orecchie al vicino, ma di questo la colpa è mia e non tua. L'arguzia rimane completamente al di fuori della mia comprensione. Posso capire le farse grossolane, le storielle sboccate, la pazzia e i versi moderni. Ma è press'a poco tutto. Oscar e i suoi piccoli epigrammi mi avrebbero lasciato freddo come un eschimese nella stagione degli accoppiamenti.

 

  Questo è il genere di umorismo che mi piace e che capisco (spero che tu non conosca la storiella, ma del resto non puoi fermarmi).
  Un uomo si recò a un grande banchetto nell'alta società e fu fatto sedere accanto alla padrona di casa. Quando vennero portati in tavola gli spinaci, egli cacciò immediatamente la mano nel piatto e si strofinò una gran quantità di spinaci sui capelli. Sensazione. «Si strofina sempre spinaci sui capelli a cena?» domandò la padrona di casa in tono gelido. L'uomo parve sbalordito. «Che terribile errore.
  esclamò.  Credevo che fossero cavoli».
  Constato che questa storiella molto di rado ha successo. Ma
  se non è già accaduto  Battersea Rise dovrebbe spanciarsi per la risata prodigiosa che provoca.
  Sì, quando litighiamo, il tuo posato Ted dovrebbe venire a guardarci; sarebbe un'ottima lezione per lui. Scagli oggetti? Quando litigavo con l'amico Jones, eravamo soliti fare a turno nel sedere l'uno sulla testa dell'altro. Potremmo adottare questo metodo lievemente eccentrico. Ne hai avuto abbastanza? dice uno. Sì, risponde l'altro con voce agonizzante. Poi le posizioni vengono cambiate. E in ultimo, stanchi e ammaccati, i due litiganti siedono, con il singhiozzo, sul pavimento e si domandano quale fosse l'argomento della discussione.
  Le tue poesie stanno cambiando, e per il meglio. Il cambiamento, non il raggiungimento dello scopo, appare evidentissimo nella poesia che mi hai mandato. «Pinguid» è una parola leggiadra, ma è anche una parola affettata. Significa grasso, non è vero? Ed è un ovvio latinismo. Il primo verso sarebbe di gran lunga migliorato se tu la sostituissi con l'equivalente inglese. O anche se dicessi: «Un grigio, vecchio satiro disteso all'ombra». Qualsiasi cosa del genere, quanto più ingenua fosse tanto meglio sarebbe. Vedo che le femmine con le quali adorni adesso le tue poesie sono molto atletiche. Una donna avrebbe voluto seguitare a balzare verso le viti (probabilmente un complesso alcolico), e adesso hai una fanciulla che saltella qua e là con tanta indiscriminazione da essere chiamata la fanciulla «saltellante» e lasciata così. Non sto ridendo di questo improvviso inserimento del fattore sportivo. Tutt'altro. Mi limito a scrivere un monte di scempiaggini mentre cerco di definire la mia reazione alla Poesia come un tutto. Il motivo
  consentimi il mio gergo  è buono e «raggomitolarsi» nell'utero è proprio il genere di succoso concettismo anatomico che mi piace.

 

[...]


  Di recente alcune mie poesie sono state pubblicate nei giornali («New English Weekly»... «Listener», e «John O'London»), ma ho avuto una fortuna tremenda anche in altri modi. Dopo che la mia poesia era stata pubblicata da «The Listener», Stephen Spender mi ha scritto una lettera, dicendo che gli era piaciuta, e proponendomi un lavoro di recensione in alcuni buoni periodici. Mi troverò a cena con lui quando verrò. Potrebbe essere in grado di fare qualcosa per me. Anche Geoffrey Grigson ha scritto una lettera domandandomi se avrei voluto pubblicare alcune poesie su «New Verse». E, cosa migliore di ogni altra, T. S. Eliot vuole che vada a trovarlo. È stato, da parte di un uomo come lui, molto complimentoso. Dal punto di vista letterario questa è stata un'ottima settimana. Sotto ogni altro punto di vista è stata terribile. Mi sono sentito poco bene e ho desiderato averti qui per conversare con te. Ora sto meglio e verrò in città giovedì prossimo. Passerò da te sabato. Non dire che hai visite o qualcosa di simile, vero? (in ogni modo mi hai invitato e vuoi che venga, lo so).
  Non scriverò altro. Questa è probabilmente la lettera peggiore che ti abbia mandato. Ma voglio che tu la riceva prima del weekend. Scrivimi prima di giovedì e rassicurami.
  Con affetto,                                                                 

 

Dylan


Ti mando due poesie
  una molto semplice  e un brutto racconto. Il racconto lo accludo soltanto perché ti offrirà il modo di prendermi in giro ferocemente (che curioso modo di esprimersi, specie con questo aggettivo) come ti presi in giro io per le cose in prosa. Ho quasi paura che sia stravagante, Dio me ne scampi.
Di nuovo con affetto,

 

Dylan

 

Non mi è stato possibile  proprio non mi è stato possibile  terminare la poesia di cui ti ho parlato. Molto villanamente mi sono servito dei delfini in un'altra poesia che ti accludo.

 

- - - – o – - - -

 

Il 9 aprile del 1934 Dylan tornò a Swansea da Battersea e ormai non v'era più dubbio che lui e Pamela Hansford Johnson fossero innamorati l'uno dell'altro. A partire da quel momento il suo più grande desiderio fu di trasferirsi a Londra.


a Pamela Hansford Johnson
15 aprile 1934
Cwmdonkin Drive 5,

Uplands, Swansea

 

Soliloquio. Mattina


  I vermi se la stanno passando benissimo oggi. Domenica nel Galles. I passeggiatori domenicali sono sgattaiolati fuori dalle conigliere nelle quali dormono e si moltiplicano per tutta la profana settimana, hanno indossato i loro vestiti neri, gli occhi più rossi e le espressioni più meschine, ed ora sfilano su per la collina davanti alla mia finestra. I padri stanno additando il panorama ai loro rampolli dal colletto inamidato. Mi piacerebbe un grosso bastone verde con punte a un'estremità. Le madri riposano il ventre sui manubri delle carrozzine per bambini; le ragazzette si raccontano a vicenda episodi innocui sulle affezionate maestre della Scuola domenicale; i ragazzi, con le capigliature impomatate, stanno pensando a spettacoli cinematografici e a biancheria intima; e tutto l'amido, il sangue debole e roseo, gli accesi e piccanti desideri e la crema rispettabile che riveste la feccia suburbana, scorrono giù per le pietre, come un fiume sfocia nel pozzo sabatico in cui i cadaveri di predicatori strangolati, che ogni giorno della loro vita hanno promesso un paradiso in cui non credevano a persone che non vi andranno, galleggiano e celano la verità. La vita scorre davanti alle finestre ed io la odio ancor più di minuto in minuto. Vedo i gesti provati e riprovati, i sorrisi compiti, le cellule grige che girano intorno al nulla sotto le pie bombette. Vedo i bambini non ancor nati faticare su per la salita entro le loro madri, battendo contro il lastrone imprigionante dell'utero, senza rendersi conto che è una più presuntuosa prigione quella in cui vorrebbero emergere, vedo come gli occhi degli uomini siano offesi dalla luce della città, come la benzina si sia insinuata sotto le loro narici, simile al profumo di un nuovo fiore meccanico, come le stelle siano state contate per noi, come i sorrisi della Luna, il settimo dio planetario, siano stati tradotti alle forme delle alture e delle coste, sulle quali, dalla prima misurazione del tempo, le atomizzate maree di luce si rompono senza alcun suono, come il Dio fatto a nostra immagine, con guanti, cappello e camicia bianca, non se ne stia più seduto a trastullarsi con le sue stelle, ma curvi la propria infinita lunghezza fino ai limiti della teoria di un ebreo, e come, ad ogni alba di Pasqua, il sole arretri della lunghezza di un dito nell'Oriente, passando, per soddisfare le convinzioni cristiane degli astrologi, nel segno dell'Ariete, il segno dell'agnello.
  Vorrei poter vedere questi uomini e queste donne che passano soltanto come spettri e contemplare le loro vili forme e sostanze come la stessa mediocrità della mia mente che si ammanta, per il capriccio di un minuto, in tutte queste diversità. Ma li vedo concreti e brutali; se sono spettri, io sono rapa e segatura, e tu sei la più lunga ombra che sia mai caduta sotto il sole. Vorrei poterli vedere come le case pagane di carne e di sangue, come creature disossate e sessuate di ciclo, come gli esseri che sono cresciuti simili a un insetto dal paradiso terrestre, come le carni cui non occorre un cervello, ma soltanto la consapevolezza delle loro carni e della libertà e dello splendore messicano. Se io, incorreggibilmente romantico, potessi vederli come un popolo dello Yucatan, chiamarli a una cerimonia in cui si beve latte e conoscere i loro nomi come gli infantili Nazul, Tilim, e Yum-Chas, il mio verme domenicale scomparirebbe come un topolino giapponese in un lampo di luce verde
  ricordi la favola  e la mia lettera sarebbe affettuosa come la desidero. Affettuosa lo è già adesso, ma in modo recondito e squamoso come lo Scorpione zodiacale.
  Vorrei poter vedere questi uomini e queste donne che passano nel sole come pulviscoli delle virtù, questo ometto come una solare Fedeltà, questo donnone chiuso nel busto come l'Amore Materno, questo zoticone villano come lo Spirito della Gioventù, e questa bambina eminentemente abbordabile, in quello che era un tempo un abito da sera, come l'impersonificazione ambulante dell'innocenza. Ma non posso. I passanti sono spaventosi. Li vedo in tutti i loro piccoli orrori.
  Vorrei poterli vedere come i compassionevoli prodotti di un sistema capitalista, schiavi delle paghe, eunuchi economici, sistematizzati dalla massa, i Lavoratori con la lettera maiuscola che Sir Richard Rees, e uomini i quali non hanno bisogno di lavorare, sono cosi intenti a fare martiri della loro Inquisizione intellettuale. E di nuovo non posso. Che cosa sono questi Lavoratori per me? Non è ogni pensiero, ogni alzarsi delle palpebre, ogni sorriso, ogni bacio, un Lavoro che nessuna creatura tranne questo divino, questo razionale uomo che divora l'uomo può compiere? L'uomo stesso è un lavoro. Oggi è un sudicio lavoro. Ma domani può mettere ali sotto le spalle di sargia, può essere sfaccettato e squadrato come Acquario, che è la prima costellazione dell'anno vitale. Può essere un brusco, bianco Zar che impone agli insetti della terra, le lumache e gli scarafaggi, i predicatori e i gangster, gli amanti e i lebbrosi, e persino i piccoli, innamorati scrittori di lettere come noi, la più folle missione su tutta questa terra in mutamento. Potrebbe essere benevolo come l'Alhambra, o tenebroso come la Porta degli inferi. Oggi è sanguinario, ed io ne ho avuto abbastanza, accidenti.

 

Commento. Notte

 

  Ho riletto quel che ho scritto stamane. È tutto stupido, ma perché dovrei cancellarlo o gettarlo via. È soltanto una piccola parte in più di me con la quale ti troverai alle prese. E questo suona ancor più presuntuoso di molte delle altre cose che ho messo nelle lettere indirizzate a te. Spesso mi sono domandato  ho pensato di chiedertelo, ma sono sempre così enormemente felice con te che non mi piace affrontare argomenti morbosi ed egocentrici  se tu mi giudichi un piccolo giovane presuntuoso come penso molte volte che tu debba credermi. Non lo sono, in realtà; sono profondamente l'opposto. Ma ho notato che quando, ad esempio, tu - del tutto sinceramente e spesso fuorviata - demolisci la tua poesia, io non ricambio mai, come ogni leale poeta dovrebbe, dicendo quanto è fallita anche la mia poesia. Non lo dico mai, ma non perché non lo pensi. Lo so. E quando tu dici, di una mia poesia, «È brutta», ed io cerco di ragionare e di dimostrarti quanto sia bella in realtà - anche questo deve sembrare presuntuoso. Tesoro, non è vero. Non sopporterei che tu mi giudicassi sempre contento di me stesso, egocentrico, soddisfatto di me, per quanto concerne... be', soltanto una piccola cosa, quello che scrivo. Perché non lo sono. E non sono nemmeno la metà coraggioso, dogmatico e padrone di me, in compagnia di letterati, come potrei averti indotta a credere. Grazie a Dio è buio. Adesso non posso vedere la gente fuori. Potrei trovarmi in un mondo di mia creazione, senza dover nulla tranne i semi dell'odio a tutti gli oscuri passanti, che si affrettano verso la tiritera negli strabattuti campanili delle chiese fetenti, e di nuovo tornano frettolosamente a casa o frettolosamente escono per le loro mezzo-frustrate spedizioni amatorie dopo che il peccato dell'amore è stato sottolineato da san Paolo e dai suoi foruncolosi apostoli. Spegnerò la luce; i pessimi acquarelli alle pareti perderanno ogni significato, il lago di Como un lago del cervello, e persino il nudo lanciatore di frecce greco umano come i frammenti di pietra che ingombrano l'orto dietro casa. Non voglio vedere i miei libri; una biblioteca è una clinica di menti malate. Non voglio vedere le mie carte dappertutto sul pavimento; perché dovrei portare il mio letto in sanatorio? Non v'è nulla di meglio, adesso, che sedere in una cerchia di tenebra, osservare la forma del corpo divenire informe, e udire sempre e sempre più forti gli intimi fruscii della stanza. Perché non sei qui con me, nella mia piccola cerchia, tenendomi la mano e sfidando con me il mondo malvagio? Non dirmelo... lo so. Il mondo è così perfidamente malvagio che io non ti permetterò di sfidarlo con me. Devo soltanto continuare a sperare e ad aspettare. Posso fare in modo che una forma di te sieda con me in questa cerchia; amo la forma, ma la forma non basta. Cerco di pensare a te abbandonata nella tua isola tenebrosa. Fammi posto, tesoro. Sono magro come Ugolino, non occupo molto posto. Ecco, adesso sto comodo. Indietro, compagni della notte dalla faccia di verme. Pamela ed io, su un'isola accerchiata, sediamo e puntiamo le dita contro di voi.


Commento. Martedì mattina

 

  Lunedì è stata una giornata morta, il foro nello spazio di cui tu parli, il così profondo-umido foro nel quale devo essere caduto dall'ultima volta che ti ho lasciata. Non riesco a ricordare quasi nulla di lunedì, certo non lo spuntare e il tramontare del giorno. Non credo di aver letto o scritto. Ricordo di avere alzato un cuscino per vedere se tu fossi là sotto. Non c'eri. Questo è accaduto nelle prime ore del mattino, ed è stato in seguito a ciò, credo, che sono precipitato con un gran strepito nello spazio. In fin dei conti, quando sollevi un cuscino e non vi trovi nulla sotto... è una sorpresa terribile. Naturalmente, sarebbe stata alquanto una sorpresa se tu ti fossi trovata là. Ma ancora non mi sono tolto di mente l'idea che se aprissi molto rapidamente lo sportello di una credenza, potrei vederti seduta con un sorriso radioso là dentro. Se apri rapidamente il portello di una caldaia, vedi il demonio, ghignante su una brace. Ma devi chiuderlo ancor più rapidamente. E se, magari, tu ti trovassi nella dispensa quando io dovessi aprirla un giorno, la forma di te che vedrei potrebbe  e lo sarebbe, credo  non essere altro che un trucco molto diabolico. E quando io ti toccassi, come indubbiamente farei, non mi stupirei vedendoti cambiare colore rapidamente come se io fossi un pingue satiro, e scomparire in una fiammata acre attraverso i buchi del formaggio. Lunedì è stata una giornata morta. So che volevo scrivere un'altra parte di questa lettera, e dirti con molti particolari quanto ti amo. Ma sono morto verso le dieci, e credo che tu sia morta con me. Ora martedì, oggi, è tutto un altro genere di giornata. È così abominevolmente calda e luminosa che io dovrò accontentare la mia coscienza, la quale, come quasi tutte le altre cose, è racchiusa in te, prendendo l'autobus di Gower e camminando sui dirupi. Odierò questo perché sarò così solo. Ma sarà fatto, tutti i tuoi comandamenti saranno ubbiditi. Sto scrivendo queste cose su una sdraia, sotto la corda dei panni. Questo dovrebbe essere in realtà un appunto molto sessuale (non lo sarà), perché sopra di me e intorno a me tutta la biancheria intima disincarnata di questa rispettabile Drive sta eseguendo una maliziosissima danza. Non tanto disincarnata, però. Quelle mutande dalle lunghe gambe, due corde più in là, hanno le loro ariose membra; le ha abitate un demone della primavera: O abitate mutande! E quella maglietta (la mia, credo), sta respirando su e giù come se il vento-Carnera stesse sviluppando il proprio torace sotto ad essa.
  Pranzo. Dopo pranzo esco per compiere il mio dovere e ottemperare ai tuoi ordini sulla rocciosa solidità del Galles. E più tardi, in serata, terminerò questa lettera. Arrivederci, ho lasciato lo spazio bianco perché non riesco a pensare niente di abbastanza bello con cui chiamarti. Arrivederci, tesoro. E immetto un'inflessione tale nella parola che suona una parola quasi bella come quella con cui voglio chiamarti.
  La mia ultima canzone: «Vieni in giardino, mezzana».


Mercoledì mattina

 

  Non ho potuto scrivere ieri sera, ero troppo stanco dopo la passeggiata terapeutica che mi ha portato nel villaggio di Llangenith, a chilometri da ogni luogo, vicinissimo al nulla. Ora, molto presto in un'altra azzurra e luminosa giornata, siedo nella stanza più disordinata che tu abbia mai visto, scrivendo le ultime poche pagine. Ho appena terminato l'incapace disegno a pastello di un negro a cavalcioni di un leopardo giù per le nubi, e sebbene mi abbia fatto sentire in uno degli stati d'animo più gai e ultraterreni, cercherò di rispondere alla tua domanda.

  Ti ho detto la risposta a pranzo un giorno, mentre tu stavi annebbiando le pareti accanto al tavolo con i tuoi lunghi sospiri di infelicità. Ti ho detto che, per quanto ti amassi, sarei stato ancora capace di dire «abietta» ad ogni abietta cosa da te scritta, e di dirti di dedicarti ai lavori con la rafia se avessi pensato che le tue poesie non avevano, e non avrebbero potuto avere, alcun valore. E lo direi. Ho detto «abiette» a molte delle tue poesie, e senza dubbio tornerò a dirlo, così come tu hai trattato con disprezzo le mie spigolosità e le mie bionde ossa. Ma nel profondo, nei precordi del mio ventre, so che tu puoi essere brava, che sei stata brava, e che tutti i pidocchietti nell'orecchio della tua musa un giorno si alzeranno e se ne andranno. Non posso ancora entusiasmarmi per la tua poesia, e tu sai bene che sbaglierei se lo facessi. Ma posso dire, francamente e onestamente, che v'è una cosa nella tua poesia, nelle tue Donne loto, Sinfonie, Ninnenanne e Soli Mattutini, che è l'essenza di tutta la vera poesia. E se non so dare un nome a questa cosa, non è colpa mia né tua. Tu non potresti rinunciare a scrivere. Lo sai che non potresti. Sarebbe criminoso se lo facessi. Ti sono stati dati certi talenti e certe capacità di scrivere poesia che tu devi, nell'interesse di tutto ciò in cui credi, amare e dei quali devi essere all'altezza. Quello che è sbagliato è il tuo atteggiamento, o, per lo meno, gran parte del tuo atteggiamento, nei riguardi di tali talenti. Perché il talento, che è molto facile a scorgersi in venti sulle ventiquattro pagine del tuo libro, non basta di per sé; la lavoratrice nella tua poetessa, l'intellettuale, l'artigiana pensante, non hanno avuto abbastanza da fare, nemmeno la metà. Tu devi lavorare il talento come lo scultore lavora la pietra, scalpellando, lisciando, arrotondando, affilando e rendendo perfetto. E mi hai detto inoltre, durante quello stesso pranzo, che non avevi avuto il tempo e l'energia per fare tutto ciò. Mia cara, lo so; so che non l'hai avuto; e so che è ingiusto, ingiusto quanto ogni altra ingiustizia sotto il sole, che tu debba lavorare in un tedioso e metodico ufficio, tutto il giorno, tutto il lungo, selvaggio e meraviglioso giorno che ti aspetta e non può mai averti. Ma invece di tornare a casa la sera e, dopo cena, sederti a scrivere una poesia o due, perché non siedi a scrivere magari non più di tre versi perfetti? Invece di tre o quattro poesie mediocri, ognuna con un verso, una frase o un accenno di bellezza in essa, avresti in ultimo un'unica poesia, o una strofa di una poesia che conterrebbe tutti questi versi, frasi e accenni riuniti. Mi hai detto che Donne loto è stata scritta molto rapidamente, anche se a me è sembrata la cosa migliore che tu avessi fatto. Lo penso tuttora, ma mi è piaciuta per non più di due versi e due frasi; il resto era comune. Se, su quella poesia tu avessi trascorso tante ore quanti minuti vi hai dedicato, ogni verso e ogni singola frase sarebbero tali da piacermi. Questo consiglio è facile a darsi e difficile ad attuarsi. Non devi sprecare il tuo piccolo frammento di genio. Non devi leggere brutte poesie, devi dimenticare il tuo Tennyson e anche il tuo Housman. Devi comprimere strettamente le tue poesie, lavorare ad esse in ogni momento libero che hai. Qualunque cosa tu faccia, io credo in te. Credo in te nel tuo peggio e nel tuo meglio. Manda all'inferno le riviste e le recensioni. Lavora alle tue poesie. E fammi avere ogni verso che scrivi. Fino a quando avrò te alle mie spalle sarò bravo. E lo stesso è per te, con me alle tue spalle. Ed io sarò dietro di te e con te sempre.


Mercoledì pomeriggio. Soliloquio

 

  Sei la mia unica amica. Dico in tutta serietà che non ho mai realmente parlato ad alcun altro essere umano, e che tu sei il chiaro punto di fede con il quale il salmista alzava gli occhi alle colline. Quando ti ho lasciata, è sembrato che tu mi avessi abbandonato a me stesso. E quando ero con te, dopo tutti quegli anni di ricerca, ci siamo trovati faccia a faccia, soli. E tu eri uno spirito minuscolo che galleggiava intorno alla stanza, e volava sempre e sempre più rapido fino a diventare invisibile, ed io potevo udire soltanto le tue ali. Era un suono molto sommesso, monotono, e proveniva da un cane rognoso, senza coda, che attraversava la stanza zoppicando. Alzai un piede per sferrargli un calcio, ma era il piede di un gigante che si alzava per prendere le stelle a grappoli. Allora tu fosti alle mie spalle, bisbigliando «Fa' giochi di destrezza con queste. Fa' giochi di destrezza, ti dico. Continua».
  Vorrei sapere che cosa significasse quel soliloquio. Significa qualcosa di molto grande, ma non riesco a capirlo. So che non eri tu il cane rognoso, cara. Ma chi era? Questa è la cosa peggiore dello scrivere senza pensare: scrivi più di quanto tu pensi. Devo essere stato io il cane rognoso, ma oggi non mi sento affatto in vena di autocompatimento. All'inferno l'assurdità. Dimenticala. Sembro essere molto molto vicino a te questo pomeriggio. Ed essere vicino a te vale tutte le assurdità del mondo.
  Ora berrò un po' di caffè e poi finirò questa pagina. Riceverai la mia lettera domani mattina. Scrivimi durante le vacanze di fine settimana in modo che riceva la tua lettera entro lunedì. Caffè. Anche il caffè è diventato un rito simbolico. Comporre la mia lettera e - meglio ancora - ricevere la tua, sono diventati i più grandi eventi della mia settimana, più sacri del rituale del bagno, dell'intrecciare dolci arie e frasi, della notte con i suoi sogni. Non più mugik, depressione allo stomaco. Non più verme per nessuno di noi due, o, se dev'esservi un verme nelle nostre lettere, che sia quello allegro e rosso-panciuto del quale mi hai parlato e non l'operaio grigio-baffuto della tomba.

 

  Sonda le ondulate caverne di tutte le stelle,

  Conosci ogni aspetto di ogni sabbia della terra,

  E comprimi in poco tutta la sapienza dell'uomo

  Come una goccia di rugiada miniatureggia il sole.

  Ma non sperare mai di imparar l'alfabeto

  Con cui la geroglifica anima umana

  Più mutevolmente è dipinta dell'arcobaleno

  Sulle pagine nebulose di un acquazzone,
  I cui cardini un vento selvaggio gira.
  Conosci tutto di tutto! quando ogni cosa muta il suo pensiero

  Più spesso in un minuto, che dell'aria
  II pulviscolo su un sentiero estivo.

 

  Questo è il mio grande Beddoes. Vorrei, in nome di Dio, che giacessimo accanto al fuoco, leggendo l'uno all'altro la sua bella tristezza prima che il Ragno intessa una tenda sottile per gli Epitaffi nostri.

 

   Oh non siamo a nostro agio in questo mondo di Dicembre,

   Gelidi signori e signore.

 

  Vivremo su un'isola in qualche punto del Mediterraneo, scrivendo e leggendo, amandoci e dormendo, cantando le nostre dolci e scabre rime alle foche? Ti amo, tesoro. Arrivederci.

 

Dylan

 

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II 22 aprile 1934 Dylan vinse il secondo premio importante conferito dall'«Angolo dei poeti», ove fu dato l'annuncio che un volume di sue poesie sarebbe stato presto pubblicato. Il libro di Pamela Hansford Johnson era appena uscito.

 

a Pamela Hansford Johnson

25 aprile 1934

 

Introduzione

  Quando ho ricevuto la tua busta gigantesca, non avevo idea di che cosa contenesse e ho incominciato a domandarmi se tu non mi avessi mandato la storia particolareggiata della tua vita. Mi aspettavo senz'altro di vedere la lettera incominciare con «Nacqui in una gelida e schifosa giornata di maggio in una soffitta di Park Lane», o qualcosa del genere. Invece, naturalmente, tu mi hai dato abbastanza materiale letterario da riempire un libro, e come, in nome del ciclo, potrò criticare tutto entro giovedì non ne ho idea. Vedi sto scrivendo questa lettera mercoledì mattina, sebbene abbia ricevuto tutte quelle prove del tuo effervescente cervello con la seconda distribuzione della posta di lunedì. Avrei dovuto cominciare a scriverti prima, ma in realtà sono stato occupato... tra le mie deplorevoli passeggiate (sono spaventosamente lieto che anche tu abbia preso l'abitudine di farle), le prove di una commedia (non so perché continuo a far questo), i disegni per la commedia (è un lavoro con pretese artistiche di Coward), battere a macchina e rivedere il materiale per Vicky, e tentare, del tutto inutilmente, di terminare un racconto abbastanza lungo che volevo mandarti. Sicché adesso mi rimangono soltanto poche ore nelle quali dirti tutto il poco che mi è accaduto, dirti una volta di più che ti amo e pensare a te continuamente, e fare del mio meglio con i tuoi racconti e le tue poesie.
  Mio padre ha letto il tuo libro e gli è piaciuto moltissimo. Lo ha giudicato quasi tutto fresco e grazioso. «Scrematura piena di grazia» è stata la sua frase, credo, e in complesso si addice molto. Ma tu non scremerai più. Le poesie di oggi
  o almeno sono le poesie di oggi per me  sono incomparabilmente migliori. Vorrei che avessero potuto stampare anche queste.
  Grazie a Dio, adesso posso dire una parola. Ti interesserà sapere che la BBC ha bandito i miei versi. Dopo la mia poesia pubblicata nel «Listener» (La luce irrompe dove non splende il sole) il direttore ha ricevuto innumerevoli lettere, le quali si lagnavano tutte per l'oscenità disgustosa in due dei versi. Uno dei frammenti per cui protestavano era questo:

 

      «Non chiusi da recinti o palizzate, gli irroratori del ciclo

      Zampillano alla verga divinando in un sorriso

      L'olio delle lacrime».

 

  I piccoli segugi di oscenità hanno pensato che io avessi scritto un inno copulativo. In realtà, naturalmente, si trattava di una immagine metafisica della pioggia e del dolore. Non oscurerò mai più le porte di Sir John Reith, poiché non si è tenuto conto di tutte le mie smentite di oscenità. Gesù, contro che cosa ci stiamo battendo, Pani?
  La poesia che non ti era piaciuta, insieme a Quando il mare Galassio fu risucchiato, e a una nuova poesia che ti mando, saranno pubblicate nel «New Verse» di aprile. Quella particolare poesia non è brutta come tu pensi. Non v'è assolutamente alcuna ragione per cui non dovrei scrivere di rapinatori, cinematografi e piloni se quanto ho da dire lo richiede. Quelle parole e quelle immagini erano essenziali. Così come taluni hanno un complesso per quanto concerne gli agnelli e non vi accennano mai anche se gli agnelli sono necessari al loro pensiero, tu, mia cristiana, ti rifiuti di guardare in faccia un pilone. Non stavo concedendo nulla. Mi occorrevano rapinatori e, possano spaccarmisi le natiche (un'imprecazione tua, ma così meravigliosa che non deve esserti consentito averla tutta per te), li ho avuti e come, maledizione. Ah! Verrò da te il più presto possibile sabato, ma non tenere niente in sospeso (non voglio dire che tu debba tenere sospesa una bandiera o le adenoidi di un vecchio sotto spirito: sai a che cosa mi riferisco), perché potrei non riuscire a partire da Swansea fino a venerdì sera. È più che probabile che venga, naturalmente, ma ti dico questo nell'eventualità che... È superfluo da parte mia dire che sono impaziente di rivederti. Tu sai fino a che punto lo sono. Che cosa faremo? Sorrideremo oscuramente davanti al fuoco? Voglio vedere Love for Love di Congreve al Sadler's Well, se le recite continuano. Verrai? O c'è qualcos'altro che tu preferiresti? C'è Country Wife; dovrebbe far scaturire le tue migliori e ribalde risate. Accerta se danno ancora Juno and the Paycock. Non è nel West End, lo so, ma può darsi che la rappresentino in qualche oscuro teatro.
  Che lettera ciarliera e insignificante è questa. Niente altro che fatti. Dev'essere
  è  l'effetto di questa giornata pedante. Il ciclo sembra il grafico di un calcolo celeste.
  No, non ho fatto nulla che non dovrei. Ho fumato soltanto due sigarette dall'ultima volta che ci siamo visti. Tu non puoi
  anzi, sì, puoi  capire quanto sia stato terribile rinunciarvi. Ho fumato a catena per quasi cinque anni; il che deve avermi fatto un monte di bene. Mi è consentita la pipa... tabacco dolce, non troppo. Questo mi mantiene in vita, sebbene la odi come l'inferno. Faccio passeggiate al mattino e fingo che vi sia il sole in questi cieli delusi. Esco persino senza cappotto (a volte) con questo tempo gelido, e cammino con due giacchette sui campi disseminati di pecore.
  Ti ho detto, credo, della pecora con la tosse che affligge la mia esistenza. Davanti alla mia bella, piccola villa v'è un campo in cui contadini in bancarotta fanno pascolare le loro bestie prima dell'ora del mattatoio. Si stenta a credere quante di queste creature condannate siano tisiche. Cari divoratori di carne. Tra una settimana, quella pecora particolarmente malata che mi tiene desto per una buona metà della notte con la sua tosse centenaria verrà uccisa, tagliata in varie lunghezze vendibili e appesa a ganci nelle vetrine dei macellai. A qualche soave bimbetta verrà il mal di gola, uno di questi giorni, o a un tratto i polmoni le si spezzeranno come un piatto [gioco di parole intraducibile basato sul doppiosenso di «plate»: piatto e dentiera]. E basta con i carnivori. Un giorno mi trasformerò senza dubbio in una patata. Non ti piacerò più, allora. E, in quel giorno di Trasformazione, senz'alito tu non mi piacerai, salata fetta di pancetta!
  Mi piace avere idee ordinate, ma mi capita così di rado. Ora i fili di idee ricordate a mezzo, i frammenti di episodi ricordati in parte, soffiano nella mia testa. Posso scrivere, oggi, soltanto goffamente e a stento, il pennino con le mani ai fianchi e i gomiti in fuori. E voglio scrivere così diversamente: in una prosa luminosa e non affettata: con tutto il calore del mio cuore, o, se il cuore è freddo, con tutto il limpido calore intellettuale della mente.
  Non v'erano tracce visibili di forbici nella mia ultima lettera per la ragione che non avevo tagliato nulla. Non lo farò mai nelle lettere, anche se il materiale non tagliato può, quando vi ripenso, farmi soffrire moltissimo. E quanto è orribilmente facile essere feriti. Io vengo ferito tutto il giorno e dalle cose più fini e più sottili. Così ecco che metto la corazza quotidiana, e l'io, anche l'io ferito, rimane nascosto a tante persone. Se tolgo i metalli, non sparare, cara. Nemmeno con un sorriso, o un sorriso piacevole, o un sorriso studiato. (Come un discorso tolto da un dramma russo. Guarda, piccolo Ivanovic, vi sono cadaveri nel Volga. Uno è quello della tua piccola zia Pamela. Va a darle un bacio freddo come neve. No, o piccolo miserabile, quello è un postino morto. È quella là la tua zietta, quella con la poesia tra i denti).
Che bambina prevenuta! «Dolphined» è una parola tua. Nulla te la toglierà. Tutte le mie parole sono le tue parole (imbeccata). La sola ragione per cui non ho mai terminato la poesia nella quale figurava originariamente la tua parola è stata che non sono assolutamente riuscito a renderla bella abbastanza. Tu sei con me quando scrivo (imbeccata).
  E ora mi alzerò da davanti al bel fuoco, mi calcherò con forza e dolorosamente il cappello in capo, e andrò fuori nel giorno grigio. Sono forte, forte come un cavallo da circo. Andrò a passeggiare, solo e severo, su chilometri di grige colline in cima a questa mia collina. Mi fermerò in un bar e berrò birra con operai che parlano il gallese. Poi tornerò indietro di nuovo sulle colline, solo e severo, nascondendo una malinconia devastatrice e una tormentosa, tormentosa debolezza con un'aria di determinazione feroce e addirittura da Avamposto-dell'-Impero e un passo da sette leghe. Forza! (e che il diavolo mi porti se addirittura voglio uscire. Voglio suonare dissonanze sul pianoforte, scrivere stupide lettere o più stupidi versi, mettermi a sedere sotto il pianoforte e gridare Gesù ai topi).
  Se avessi denaro girerei il mondo, cercando un luogo in cui il sole splendesse sempre, bello e vicino al mare. E là mi costruirei una casa splendida come quella di Keawe, in modo che la gente la chiamasse la casa della luce. Tutto il giorno vi sarebbe musica e vergini dalla pelle olivastra, portando vino in coppe color loto, soddisfarebbero ogni mia più piccola necessità. Donne dalla voce d'arpa mi leggerebbero per tutta la giornata, e un giorno, saltando su dal mio divano profumato, griderei « Per amor di Dio, datemi un tram».

 

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Geoffrey Grigson era allora direttore di «New Verse». Nel 1934 e nel 1935 Dylan figurò spesso in quella rivista. In seguito Geoffrey Grigson si schierò contro la poesia di Dylan ed essi litigarono.


a Geoffrey Grigson

maggio 1934

Cwmdonkin Drive 5,

Uplands, Swansea

 

Caro Grigson,
   grazie infinite per avere scritto. Mi dispiace che non abbiamo potuto trovarci a pranzo, ma la sua malattia è stata una fondatissima giustificazione. Sarò a Londra tra circa un mese e spero che potremo vederci di nuovo. Le farò sapere quando verrò.
  Mi domando se non le sarebbe possibile, quando si sarà rimesso e potrà essere di nuovo attivo, vedere se non vi sia qualche possibilità per me di fare un lavoro di recensione. Spero che non le dispiaccia se glielo chiedo, ma le cose non stanno andando troppo bene per me attualmente, e gradirei ogni genere di lavoro giornalistico.
  New Verse era spaventosamente buona questo mese, e mi ha fatto piacere vedere Carlos Williams prenderne uno nell'occhio.
  La poesia che mi ha detto avrebbe letto per poi parlarmene è incompleta nella sua versione. Le accludo il testo completo.
Sinceramente suo,

 

Dylan Thomas

 

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Pamela Hansford Johnson stava ora cominciando a trovare la sua vera vocazione come scrittrice di prosa, e doveva incominciare di lì a poco il romanzo This Bed Thy Centre, che le avrebbe dato la fama. Nel frattempo aveva inviato a Dylan una serie di racconti, che egli criticò, come al solito, in tono blando ma accettabilmente sarcastico. Abbiamo omesso circa 1500 parole di tali critiche. Poeti del «Referee» n° 2 si riferisce naturalmente all'imminente libro di Dylan, lei essendo stata la n° 1. Il Libro rosso è il taccuino nel quale egli scriveva i suoi racconti. Si trova ora nella Lockwood Memorial Library, a Buffalo. L'accenno a un viaggio nel Mediterraneo è curioso, così come la possibilità di un viaggio in Russia. «Percy» era un personaggio immaginario intorno al quale lui, Dan Jones e Pamela fantasticavano.


a Pamela Hansford Johnson
2 maggio 1934

 

Molto presto

 

  Ho deciso di non alzarmi oggi, di restare serenamente a letto e di scrivere delle cose che passano intorno a me, le forme delle ombre sulle mie ginocchia montagnose, l'incurvarsi del mio petto immacolato e la vita nelle mie dita eternamente scribacchianti. Mi son messo un bel pigiama nuovo, quindi questa sarà una giornata piacevole, e forse non penserò affatto ai vermi, ma soltanto al sole che, ne sono sicuro, sta splendendo nel curioso mondo esterno, e ad altre altrettanto pigre persone che anch'esse, dalle isole bianche dei loro letti, stanno scrivendo agli amati sul mare commerciale. In pericolo sul mare commerciale. Che cosa sono questa morte, questa nascita e sofferenza apparente, questo sciolto amore... questo violento affluire alla testa di tante estranee creature dell'aria che gremiscono le mie parole e non mi consentono mai di fermare una frase su una bella interruzione ritmica? Non dirmelo.
  E questo, credo, è, press'a poco, l'inizio più piacevole d'una lettera ch'io possa mai pensare. E, avendoti detto che intendo trascorrere l'intera giornata a letto, ora contraddico la mia infingarda intenzione e spingo indietro il lenzuolo. Uscirò immediatamente per essere in comunione con il sole... sì, l'ho accertato: il sole sta splendendo caldissimo... oppure, ripensandoci, mi ritirerò in un mondo trasandato di fogli di carta e matite e scriverò deboli odi ad un parelio letterario.
  Ora è molto ovvio che non dovrei cominciare a scrivere così presto. Per metà nel sonno, per metà fuori, non posso scrivere altro che un monte di ampollose assurdità. Quasi tutte le parole sono Boogum alle otto. E non posso mai dire, «Ascolta, ascolta il Drago» fino a dopo la colazione, per lo meno.
  Bene, perché sto scrivendo adesso? Tu ti sei già alzata e stai fissando, non molto intelligentemente, le notizie di morti improvvise sull'«Express». O forse può darsi che sia più tardi di quanto credo, e stai comprando le sigarette nel negozio ove la ragazza che mi giudica ameno rimarrebbe molto stupita se dovessi entrare adesso, scarmigliato e con gli occhi rossi, fegatoso e lagrimoso. O forse sei seduta sull'autobus, stai attraversando Chelsea o Kronsky, e ti domandi che diavolo di parola faccia rima con pianoforte. Ed io giaccio qui, in un bagno tiepido di dormiveglia, con i rubinetti non lucidati delle parole completamente aperti. Sì, perché? Volevo raccontarti il sogno davvero straordinario che ho fatto stanotte, nel quale salivo scale continuamente e salutavo con la mano cavalli che avevano la faccia di Pamela sulla cima di torri di manicomi. Ma quando ho cominciato a riordinare il sogno, mi ha avuto l'aria di un discorso inarticolato, o, per lo meno, inintelligibile.


Dopo colazione

 

  È ancora troppo presto per essere intelligente. A volte penso che sia sempre così e che verso le quattordici potrei davvero alzarmi e dire qualcosa di brillante. Ma in ogni modo non ti piacerei se lo facessi e la brama di maestria è l'hobby (parola errata prescelta per l'allitterazione) che, in teoria, odio più di ogni altro. Mi piacerebbe indulgere a una rapida sparatoria di arguzia tipo Oscar  non necessariamente concernente il mondo di Oscar (Pouff è la cosa più piacevole)  e non dire mai cose intelligenti sul sesso e le falene e i sentieri solitari e tutti gli altri lussi di questo mondo da pane imburrato.
  L'accenno a Oscar mi ricorda Oscar Browning, quello snob dal sangue divinamente blu degli anni novanta a Oxford. L'ultimo episodio che lo concerne l'ho letto ieri
  vorrei poter dire di averlo letto Gomorra [Gioco di parole intraducibile basato sull'assonanza tra «Gomorrah» e «tomorrow»]  in un libro intitolato Swan's Milk di Louis Marlow. Ti riferirò la semplicissima storia, ma prima devo spiegarti che Oscar era un piccolo docente universitario calvo e molto anziano, di quelli che si soffermano sempre  speranzosi  a leggere le scritte sulle pareti dei gabinetti pubblici. Oscar e un altro uomo sedevano sul fianco d'una montagna e conversavano. «Che differenza c'è tra i capelli tagliati a zazzera e i capelli tagliati à la garçonne?» domandò il vecchio docente. «Non c'è una grande differenza, soltanto che una testa con i capelli alla garçonne sembra quella, di dietro, di un ragazzo». « II di dietro di un ragazzo,  tuonò Oscar.  II di dietro di un ragazzo. Come posso restar qui ad ascoltare i suoi osceni discorsi? Il di dietro di un ragazzo. Non ho mai voluto vedere il di dietro di un ragazzo. Qualunque altra similitudine. Ma il di dietro di un ragazzo...» E, in preda a una pura felicità, prese a calci un cagnolino che per caso era venuto a trovarsi vicino a loro.
  È tutto. E basta per un'ora. Voglio leggere la pagina della cronaca nera nel «Telegraph». E ho, inoltre, un desiderio violento di disegnare pin-men.

 

Mezzogiorno

 

  O, per lo meno, all'incirca mezzogiorno. È stata la parola ad attrarrai. Ti ho mai parlato della teoria secondo la quale tutti gli scrittori lavorano o avvicinandosi alle parole o allontanandosene? Anche se te ne ho già parlato, tornerò a dirtelo, perché è vero. Ogni poeta o romanziere cui tu voglia pensare, lavora o fuori delle parole o nella loro direzione. Il romanziere realistico  Bennett, ad esempio  vede cose, ode cose, immagina cose (e tutte cose del mondo materiale o del mondo materialmente cerebrale) e poi va verso le parole come il mezzo più adatto attraverso il quale esprimere queste esperienze. Un romantico come Shelley, d'altro canto, è in primo luogo il mezzo di se stesso, ed esprime attraverso il suo mezzo quello che vede, ode, pensa e immagina.
  Un brandello bello e vero di dogmatismo, superbamente inetto in una simile mattinata di maggio. Ho notato nelle mie ultime lettere
  tu sei innocente come sempre  la tendenza a scrivere un monte di cose senza importanza, e a pigiare poi tutte le risposte effettive alla fine. Per cui metà delle tue pagine rimane senza commenti da parte mia, anche se mai, tesoro mio, non lette. Consentimi di essere una volta tanto un corrispondente modello, e di rispondere alla tua lettera pagina per pagina, assolutamente nell'ordine.


Il nostro avvenire

 

  Io credo con tutto il cuore che vivremo insieme un giorno, felici come due aragoste in una casseruola, come due cimici su un muscolo, con un solo sorriso, anche se destinato a non svanire mai, sulla faccia estatica. Ma io non riuscirò mai ad esaurire il mio fiume di pessimismo, poiché, sadicamente, provo una felicità o una sofferenza, e un piacere misto a dolore, immaginando che ci accadano le cose più spaventose, immaginando un lungo avvenire di smarrimento e delusioni concluso dagli esattori delle imposte (non voglio mai più sentire il loro dannato nome), dalla vendita di fiammiferi e da periodi sterili nella produzione di quelle pazze rime che noi, nella nostra megalomania senza speranza, immagineremo come gli ignorati frutti del genio. Che un giorno tu vomiterai vedendo la mia faccia, ed io udendo i toni della tua voce. Che io impazzirò e tu diventerai una rimbambita. Quindi lasciami occasionalmente intervenire con un accordo profondo di infelicità, e permetti che mi lanci su un abisso di speculazioni disperate e del tutto innaturali concernenti l'avvenire di due piccole e innocue creature le quali, in armonia con tutto ciò che Dio ha detto, o si dice abbia detto dal principio del mondo, si amano e si desiderano a vicenda.


29 maggio

 

  È una data che è divenuta molto importante nel calendario. Io ti rivedrò, a meno che non accada qualcosa e che i venti delle circostanze non mi soffino alla rinfusa in pigiama sull'Adriatico o sui Caraibi, per questa data; e i venti e passa giorni di attesa saranno lenti come una tartaruga, più di quanto lo sia mai stato ogni altro periodo di venti giorni.
  Quando ho detto che dovrò avere qualcosa di preciso in mente allorché verrò, non intendevo che, altrimenti, sarei morto di fame per tutta la miserabile giornata nel parco popolato da fischioni. No, mi riferivo all'estrema noia che dovrei sopportare negli intervalli tra gli addii e i ciao a te. Quindi dovrà trattarsi di qualcosa di preciso... il fiero ricevimento di Vicky, o un futile colloquio con un editore indifferente, o anche alcuni appuntamenti a pranzo con pessimi poeti. Scriverò e prenderò qualche accordo con qualcuno, e probabilmente il risultato sarà altrettanto vago. Guai in famiglia. Che frase blanda e pazza. No, no, non ve n'è alcuno, o per lo meno nessuno che conti. Ma mio padre e mia madre stanno per andarsene da qui alla fine di giugno e per trasferirsi in campagna, Dio-solo-sa-dove. Io non voglio andare in campagna. Verrò in città. E mi occorrerà una divinità molto filantropa, davvero, per dirmi che cosa farò, o dove dormirò, o anche
  se non fosse per te  perché, perché. Non voglio nemmeno abitare con mia sorella. Troverò un'alta soffitta convenzionale, per invocarvi le sadiche muse ubriacarmi un poco d'aria, e salutarti con la mano oltre la Cupola.

 

[...]

 

Poeti del «Referee». N. 2

 

  Grazie per il tuo fallito elenco di poesie. Mi sono trovato in completo disaccordo con te. Vediamo alzarsi il vento segretoNei dieci paradossiL'occhio del sonno e L'alito tuo fu diffuso sono tutte davvero pessime. Ho riscritto quasi completamente L'occhio del sonno, ed è adesso un po' migliore, sebbene ancora vacillante sui propri ritmi e molto nebuloso per quanto concerne la sua intenzione (ammesso che ve ne sia una). Ma so quanto è difficile compilare un qualsiasi esteso elenco per chiunque altro.
  Includerò alcune poesie che sono state pubblicate, così Ragazzi d'estate, sebbene modificato e raddoppiato in lunghezza, aprirà il libro. Le altre poesie sono: La luce irrompe ove non splende il solePrima che bussassiNon v'è cibo che basti (riveduta). Quando il crepuscolo si chiude (riveduta), I nostri sogni di eunucoUn processo nel climaLa forza che attraverso il verde steloOve un tempo le acque del tuo visoChe la totale sanità (riveduta). Non per sempre il Signore (riveduta). E circa sei o sette altre poesie che sto tuttora potando o limando. Dici che Vicky è ostinato. Sai bene che lo sono anch'io. E nulla che io non voglia andrà nel libro.

 

Libro rosso

 

  Sicché, ecco dove l'ho lasciato. Disperavo di ritrovarlo. Sei un angelo a non leggerlo. Confesso che se tu avessi lasciato il tuo taccuino in qualche posto, e mi avessi detto implicitamente di non toccarlo, per prima cosa non appena tu ti fossi voltata, avrei curiosato tra le pagine, con una maligna espressione non-sono-un-bel-tipo. Ma ti credo e sono contento che tu non l'abbia letto perché contiene più cose assurde per centimetro quadrato di quasi tutte le corsie nelle cliniche per persone che immaginano di essere ciambelle o francobolli o mai eccetera.
  Vorrei aver potuto camuffarmi da vecchia zitella
  pince-nez, verruche e vocali flautate sono essenziali, presumo  ed essere venuto ad ascoltare la tua appassionata conferenza. Hai letto la tua Sinfonia? Se intendi leggerla qualche altra volta, una buona idea consisterebbe nel coltivare  se è questo il termine, e sono certo che non lo sia  una violenta indigestione prima di cominciare. Pensa quanto facili sarebbero allora i timpani. Ma temo che ti occorrano denti artificiali per rendere piena giustizia all'arpa. Che cosa si prova, in realtà, leggendo le proprie poesie a un gruppo di persone compite le quali, con ogni probabilità, immaginano che il trocheo sia un nuovo tipo di gioco all'aperto? Eri nervosa? Spero che tu lo fossi, o donna scostumata, perché non dovresti leggere poesie a vecchie zitelle. Ho una gran voglia di scovare un'Associazione di Vecchi Scapoli e di leggere loro le fatiche più rabbiose e più uterine che abbia partorito.


Risposte e primizie


  La commedia era Strange Orchestra, che abbiamo recitato già altre volte. Io ho impersonato, come al solito, un artista degenerato. Ma i disegni erano buoni. Uno era una grande composizione astratta, eseguita principalmente con vernice per mobili, e il cui titolo veniva dalle Rivelazioni: La stella chiamata mortificazione. E gli altri due erano pastelli nello stile del primo periodo vittoriano di donne nude che si rotolavano nei campi. Alcuni tra il pubblico sono rimasti del tutto inorriditi, gli idioti con-Genitali! Non riesco a immaginare quali commedie potremmo interpretare noi, ma credo che saremmo soprattutto buffi come i Macbeth. Tuttavia, nella nostra società orientata verso il futuro, mi rifiuto di impersonare continuamente padri incestuosi. Consentimi di cambiare di quando in quando e di interpretare un maggiordomo omosessuale. Tu, mia cara, interpreterai prostitute e soltanto prostitute. Sesso, di Mae West, potrebbe essere per noi un buon trampolino di lancio, sebbene io mi rifiuti di mostrarmi senza calzoni per più di due atti su tre.
  Ti piacerebbe impersonare la signora Avling in Spettri? A me piacerebbe la parte di Oswald, anche se è tuo figlio. Daremmo loro nevrosi con una F maiuscola.
  Cercherò alcune commedie e te le mostrerò quando verrò. Ti accludo una poesia e un racconto. Tesoro, vuoi battere a macchina il racconto per me, in modo che possa mandarlo a Lovat Dickson? Forse non ti piacerà proprio molto, ma mi rifiuto di anticipare ciò. Dimmi che cosa ne pensi. All'inferno i particolari; dimmi soltanto se, come un tutto, è riuscito.
  La poesia è, credo, la migliore che abbia scritto... ti ho detto la stessa cosa di molti altri miei versi, tra i quali ogni sorta di bestie verminose. Può essere oscura, non lo so, ma sinceramente non intendeva esserlo. È troppo ...
  non riesco a farmi venire in mente la parola  per poter essere pubblicata in qualunque rivista tranne «New Verse». Convincerò Grigson a pubblicarla. Ma non voglio l'opinione di Grigson. Voglio la tua. E che cosa sono questi «nuovi standard» ai quali sei pervenuta. Spero che non siano troppo alti. Appena un'ora fa, un ragazzo del fato, camuffato da fattorino telegrafico, è venuto con un telegramma di «New Stories» che accetta il mio racconto Nemici. Era stato accettato da un altro giornale un mese o due fa, ma rifiutato all'ultimo momento a causa della parola «copulazione» nell'ultima pagina. Ora «New Stories» lo ha preso, con copulazione e tutto, e lo pubblicherà il mese prossimo.
Prova con «New Stories», Banbury Road 118, Oxford. Indirizza a E. J. O'Brien... della rubrica «I migliori racconti dell'anno».

 

Denaro

 

  I racconti come quelli che scrivo io difficilmente fruttano qualcosa. «New Stories» ad esempio, forse la migliore pubblicazione di racconti tra tutte, non paga affatto. E la poesia non manterrebbe in vita nemmeno un pesciolino rosso. I romanzi e i racconti popolari, narrativi, sono quel che ci vuole. Il diavolo mi porti se scriverò per lo Strand, anche se potessi, cosa di cui dubito molto, e i romanzi sono una fatica lunga e ardua. Del resto, è inutile scrivere un romanzo soltanto per scriverlo. Occorre avere qualcosa da dire e che soltanto il romanzo possa esprimere. Il mio  ho terminato il primo capitolo  non sarà altro, quando e se lo terminerò, che il guazzabuglio di un poeta smarrito, o il collegamento di numerose sequenze di racconti. Lo scarterò tra pochi giorni. No, i romanzi non fanno per me... ancora. Sicché, qual è l'alternativa? Sei mesi Fa avrei proposto i moli o il forno con la più grande equanimità. Ma adesso devo vivere. Capisco, più quando mi trovo con altre persone che quando sono solo, quanto ti voglio e quanto estremamente lontana tu sei da me. Sono disposto a lavorare. Lavoro già, ma in una direzione quasi anti-mercenaria. Il che non giova affatto a te o a me. Occorre fare qualcosa, ma solo Cristo sa che cosa. E Vicky non può aiutarci. Riesce a fare poco di più che mantenere in vita se stesso, e nemmeno molto comodamente. E i letterati che io conosco sono quasi a terra quanto me. Potrei fare ogni genere di cose. Potrei entrare in una compagnia con un pessimo repertorio a Coventry, o in qualche altra località del genere... ho dimenticato il posto esatto. Ma questo significa essere lontano da te come sempre ed è del tutto futile. Un tale vuole condurmi a fare un lungo viaggio nel Mediterraneo e potrei andare in Russia con una organizzazione comunista gallese. Tutto molto bello, ma a che diavolo servirebbe? Potrei divertirmi, ma non guadagnerei un soldo, e se pensassi a te stando sul molo a Odessa, mi si spezzerebbe il cuore. Quindi occorre fare qualcosa. E con questa simpatica e comoda banalità, riaffondo in un letargo consueto e continuo a scrivere dei miei vermi non commerciabili.

 

Percy cade ancora

 

  Non più Percy, di nuovo. Mi manca il tempo. Questa lettera deve partire con l'ultima posta. Percy, il dotato di ubiquità, l'imperscrutabile e l'interamente elusivo, dovrà aspettare. Ma verrà. Che libro profondamente non divertente potremmo trarre da lui. Mi domando quanta follia il lettore inglese possa immettere nella sua oncia di assurdo. Riesci a immaginare il Supplemento del Times che recensisce La qualità di Percy? «Questo libro elusivo...» «Conglomerati di scatenati giochi giovanili, di oscenità senile, e di lunatica oscurità». Gerald Gould... «Puah! » No, non riesco a immaginare né l'uno né l'altro.


  A proposito, le carote crude sono splendide. Ma le patate crude sono schifose. Ci ho rinunciato, del resto, e ieri sera ho cenato con pane e latte. Aveva un sapore abbastanza nauseante, ma l'ho mandato giù in qualche modo e ho finto che fosse buono. Smettila di guaire per la mia dieta. Mia cara Pam, tu stessa non mangi la metà di quanto dovresti. Non sarò soddisfatto finché non avremo giocato insieme un'eccitante partita di pallamaglio. E, dopo la partita, ci ritireremo nella legnaia
  dove accadono cose sudicie di ogni genere  e ci uc-ci-de-re-mo.
  Ancora una volta non ho risposto a nemmeno la metà della tua lettera, e ancora una volta ho lasciato non dette troppe cose. Non credo di aver detto che ti amo. Ma ti amo. Oh ti amo. Arrivederci, Pamela, e scrivi presto, molto presto.

 

Dylan xxxxxxx

un numero magico, cara

 

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Durante quasi tutto il mese di maggio 1934 Dylan rimase nel Galles lavorando alle poesie che dovevano formare il suo primo volume di versi, 18 PoesieThe Old Tin Kettle era una canzone da music-hall. Tom Warner era un intimo amico di Dylan, un compositore. A. R. Orage dirigeva il «New English Weekly». La poesia «piccola, debole, acquosa» di Dylan era Orecchie, una poesia considerata in genere tra le sue più belle. A quei tempi, tuttavia, gli sembrò probabilmente troppo lucida, insufficientemente densa. Ho omesso circa quattrocento parole di critiche delle poesie di Pamela. La fine di questa lettera manca.

 

a Pamela Hansford Johnson
9 maggio 1934


  Ieri, ho ricevuto da Southampton una scatoletta rotonda di polvere dentifricia, inviata, secondo il biglietto esplicativo, su richiesta di una certa signora Johnson di Battersea Rise. «L'Eucryl distrugge i germi in ogni parte della bocca». Era questa l'intenzione della richiesta di tua madre, per la quale devo molto ringraziarla? O forse l'hai mandata tu, dopo la mia singolare poesia, affinché potessi pulirmi a fondo la bocca? Di' il mio affetto a tua madre, e ringraziala per la polvere. Se distruggerà i germi o meno, non sono in grado di dirlo. Spero di no. Io ammiro i germi. E, se me ne ricorderò, includerò alcuni paragrafi più ribaldi del solito in questa lettera per soddisfare i loro lascivi pruriti.
  E, già che me ne ricordo, inoltre, consentimi di emettere un minaccioso ringhio per la tua malignità senza precedenti nel pizzicare la mia lettera al Neuburg. Gli scrissi una lettera gelida, non impegnativa, ricevetti il tuo patetico appello e immediatamente strappai le precedenti effusioni e imbucai una incantevole missiva alla Micawber. E non continuare a schernire la mia cravatta con i colori della scuola. Odio le cravatte con i colori della scuola. Non ne ho alcuna. Ora cercherò di accendere una sigaretta russa nel modo più libertino, e di assumere un'aria tutta sexy accanto alla mensola del caminetto. Ma non funziona. Sono destinato ad essere inglese sotto la mia apparenza russa. Però non continuare ad additare la mia cravatta. Fingi, semplicemente, che non esista. In ogni modo, è stata una cara lettera, e, se non altro, pensavo sul serio quello che ho detto di Pamela Johnson, sebbene, se avessi immaginato che avrebbe letto la lettera, avrei introdotto un lungo e osceno paragrafo tutto sulla sua disgustosa piccola musa dal naso che cola.
  Di nuovo non sto bene. Introduzione melodrammatica
  che ricorda uno Shylock ansimante  a una pagina di rimorso e di autocompatimento. Ma no, non lo sarà. Ancor più melodrammatica. Sir Jasper Murgatroyd entra passando per la botola con un ringhio, e immediatamente si sbottona il panciotto e distribuisce, togliendoli dall'ombelico, opuscoli dell'Empire Marketing Board su L'amnio delle Colonie. Per dirla chiara  è una impossibilità intellettuale esprimere qualsiasi cosa con chiarezza  mi sento press'a poco assai più utile come (un improvviso puritanesimo mi induce a cancellare questa parola. Molto indecente) (sto facendo del mio meglio per smentire la polvere dentifricia, e per dedicare tutto il mio corpo [Qui Dylan usa il termine «bawdy»  ribaldo  anziché «body» - corpo - in un gioco di parole intraducibile] e l'anima mia alla composizione di allusioni tipo Old Tin Kettle. Ma è inutile. Questa mattinata di maggio è in-naturalmente chiesastica. Gli uccelli cantano l'Ave Maria. I miei germi mi dicono che Ave Maria ha il suono di una malattia venerea. Bisbiglio loro «Poonah», e sfoggio una gotta invisibile. Svaniscono). Ma sono malato, infernalmente malato. Ho avuto il mal di capo per quindici giorni, e non ho dormito per molto più tempo. Ho perduto ogni speranza di poter mai ricominciare a dormire. Rimango disteso al buio e penso. Penso a Dio e alla Morte e ai Triangoli. Penso a te moltissimo. Ma né tu né i triangoli riuscite a farmi dormire. Ho preso sonniferi fino alle palpebre. Ho una scatoletta di compresse, con istruzioni sul coperchio che dicono di non prenderne, per nessun motivo, più di tre. Io ne prendo nove, e continuo a restare sveglio. Ho provato tutto. Ho provato ad ubriacarmi. Ho provato a rimanere astemio. Ho contato le pecore e le sdraie della spiaggia. Ho letto fino a non riuscire più a vederci. Ho provato a stare completamente sotto le coperte e sopra le coperte, voltato sul fianco destro e su quello sinistro, con il pigiama, senza il pigiama. Una buona idea, naturalmente, è quella di avvelenarsi con il gas soltanto un pochino. Ma non riesco a immaginare come vi si possa riuscire.
  Basta, Tesoro, fammi addormentare. Basta. Eternamente patetici, questi squilibrati miei piccoli appunti non possono servire ad altro che a dimostrarti, ancora e ancora, quanto ho bisogno di te. E niente Mediterraneo per me. Mi piacerebbe il sole, e mi piacerebbero i luoghi in cui il sole mi condurrebbe. Ma è tutto inutile, perché, al ritorno, mi ritroverei esattamente allo stesso punto di prima di partire... un po' meno pallido, forse, ma ignaro come sempre riguardo a ciò che debbo fare in questo triste, grigio paese, e a come sia possibile ricavare un unico piccolo colore da te e da me. I cromosomi, i corpuscoli del colore che contribuiscono a costruire le cellule di questi cadaveri ambulanti, hanno in sé un dio che se ne infischia degli ululati dei nostri cervelli. È un dio savio e organico che si muove secondo un ciclo stagionale nella carne, che sempre regola e raddrizza ciò cui i nostri ululati alle stelle degli astrologi e al destino del sole ci conducono. Se lo ascoltiamo, siamo O.K. Ed egli mi dice, «Non andartene adesso. Resta fedele ai tuoi poco amabili scritti e alle tue morbosità che non saranno mai popolari. Rimani più vicino che puoi a quanto ami». Così non vi sarà per me alcun piroscafo vagabondo su un mare blu. Datemi Pamela e una soffitta a Chatterton. È sufficiente per quelli come me, e persino troppo, in quanto Dio solo sa perché ella ami questo idiota che scrive e scrive, prezioso come un'aringa, su carta scolastica.
  Deve essere questa mattinata ecclesiastica a spingermi fino a un simile stadio di malinconia. E così, standomene astutamente seduto in una stanza che domina la fuliggine dei comignoli di terracotta di Swansea, evito il sole e tutto il clericalismo di maggio. Siedo e divoro con gli occhi i muri di mattoni, sperando di estrarre un po' dell'oppio dei muratori che, caldo delle loro puzzolente pipe, cementò insieme queste conigliere. Ma la stanza è soffocante, colma del fumo di tabacco con il quale non dovrebbe essere saturata e dei miei indecenti pensieri che saltano, come quelli di Toni Warner, dagli osservatori clinici a Vienna ai cabaret sifilitici di Buenos Aires, da Builth Wells a Chimborazo, dalle altezze degli ideali poetici, alla rima di «catalessi» e «autopsia» [«Catalepsy» e «autopsy», in inglese]. Non avrò nulla da mandarti. I giorni fertili di un tempo sono tramontati, ed ora una poesia è il più difficile e il più ingrato atto creativo. Ho scritto una poesia dopo la mia ultima lettera, ma è così interamente oscura che non oso mostrarla nemmeno agli occhi di un mondo buono e capace di commiserazione come il tuo. Sto diventando più oscuro di giorno in giorno. È per me una sofferenza fisica, adesso, scrivere poesia. Sento tutti i miei muscoli contrarsi mentre cerco di trascinar fuori, dalle parole che ruotano a gorgo intorno alle mie incessanti idee sull'importanza della morte per i vivi, alcune parole connesse capaci di spiegare come il sistema stellato della morte sia veduto, ordinato come nel ciclo della tomba, lungo l'orbita di un piede o di un fiore. Ma quando le parole vengono infine, le privo così completamente delle loro associazioni vive, che in esse rimane soltanto la morte. E potrei urlare, con autentico dolore fisico, quando un mio verso è veduto nudo sulla carta e ritenuto privo di significato come un'assurda stanza sanscrita. Non sarò mai compreso. Credo che non manderò altre poesie, ma scriverò soltanto racconti. Per tutto il giorno, ieri, ho lavorato, duramente come uno sterratore, su sei versi di una poesia. Li ho finiti, ma nel corso della fatica su di essi, li avevo tanto limati e ripuliti che rimanevano soltanto i loro barbarici suoni. Oppure, se scrivevo un verso, «II mio morto sull'orbita d'una rosa», mi rendevo conto che «morto» non significava «morto», «orbita» non significava «orbita» e «rosa» quasi certamente non era «rosa». Anche «sulla» aveva una sillaba di troppo, aggiunta per ragioni inibite di ritmo [Il verso in inglese è «My dead upon the orbit of a rose»]. I miei versi, tutti i miei versi, sono della decima intensità. Non sono le parole ad esprimere quanto voglio esprimere; si tratta delle sole parole che io riesco a trovare e che si avvicinano appena ad esprimere la metà. E questo non è bello. Sono un eccentrico utente di parole, non un poeta. Questa è la reale verità. Nessun autocompatimento in questo caso. Un eccentrico utente di parole, non è un poeta. È terribilmente vero.


      «Non sarò sciocco come l'usignuolo
      Che rimane desto sino a mezzanotte senza birra,
      Facendo un suono con il naso»

 

è una citazione che trascrivo qui senza alcun motivo. E nemmeno penso che sia giusta. Poiché io sarò sciocco come la iena, che rimane desta fino all'alba senza alcun piacere, facendo un suono con le viscere. Questo non è in armonia con l'umore della giornata. Dovrei scrivere qualche paragrafo solare, immaginando nelle parole per te una verde e azzurra distesa di campagne gallesi, in cui il bestiame, in armonia con tutte le convenzioni, «muggisce», in cui gli agnelli «saltellano», e i ruscelli di cristallo «mormorano» o «rotolano» a seconda della rima. Andrò a passeggiare nel pomeriggio, e, forse, a tarda sera, quando ti scriverò ancora, la bellezza della vicina estate sarà penetrata in me così profondamente che tutte le buffonerie e il pretenzioso scandagliamento gastrico degli ultimi due fogli non saranno altro che un'eco la quale si rifiuta di «cantare» nelle tue orecchie, o un odore il quale si rifiuta di «spandersi» fino al tuo naso. Ma prima che esca, molto solitario e almeno due volte più pallido e macilento del solito  non peso quasi nulla, meno di cinquanta chili, adesso  diretto alle mie baie di Gower, vi sono parecchie cose pratiche nella tua ultima lettera alle quali voglio rispondere.
  Dunque è risaputo che Orage, pur essendo un uomo simpaticissimo e molto sincero, manca quasi completamente di gusto. Dirige le sezioni letterarie del «New English Weekly» con un sistema di schedari. Ha nel suo ufficio letteralmente centinaia di poesie, di brevi bozzetti e di racconti. Per la maggior parte sono pessimi, ma questo non conta. Per lui conta la quantità, non la qualità. E, settimana per settimana, uno o due di quei racconti e una o due di quelle poesie, vengono tolti dai loro scaffali polverosi e pubblicati. Tu devi soltanto aspettare il tuo turno, e poi toccherà a te. Sicché v'è in realtà ben poca soddisfazione nel veder pubblicare qualcosa sul giornale di Orage. Egli non paga affatto, e il livello che impone è così basso da far sì che difficilmente sia lusinghiero essere accettati da lui. È per la mediocrità. Titolo di testa, quali che siano i suoi difetti
  e incomincio a sospettare che i difetti principali, in questo momento, possano essere colpa mia  non è mediocre, e non è abbastanza originale  come soggetto, almeno  per stupirlo e far sì che lo accetti. Non ho idea di dove tu possa collocare Titolo di testa. Il suo contenuto, direi, sarebbe troppo comune per «New Stories», che ospita lavori piuttosto fuori del consueto. «The London Mercury» potrebbe apprezzare Un uomo e una scimmia, sebbene ritenga che siano soliti fare aspettare piuttosto a lungo prima di rispondere. L'«Everyman» pubblica racconti, e così «John O'London»: ma, per quanto concerne quest'ultimo, più sono convenzionali meglio è. Darò un'occhiata a qualcun'altra delle riviste sparse per casa. Non riesco a ricordare il titolo, ma il racconto sull'orologio, la bimbetta e il vecchio signore cattivo, è un lavoro più commerciale di tutti gli altri tuoi che mi vengono in mente. E anche se tu, probabilmente, lancerai grida fino al ciclo per la proposta, potresti far di peggio che mandarlo a un giornale come «Nash's». Vi sono decine di giornali simili, a un livello più alto di «Strand» e di «Pearson's», che potrebbero ampliare i loro criteri di gusto quanto basta per accettare il tuo allegro raccontino. E non hai mandato nessuna poesia a J. C. Squire? E ne hai mandate a Harriet Monro? E che ne diresti di una moderata (molto moderata) poesia a Frank Kendon del «John O'London»? Ha pubblicato una piccola cosa mia terribilmente debole e acquosa  non te l'ho mai fatta leggere  la settimana scorsa (sabato 5 maggio). Questi sembrano suggerimenti spaventosamente poco nobili. Ma non sono sprezzanti. Tutt'altro. Tu sei pervenuta a un medium così curioso nella tua poesia, di recente, che la pubblicazione diviene molto difficile; rimangono così pochi giornali medi. Con ciò non intendo accusarti di mediocrità o di alcunché di simile. Ma tu hai portato la poesia «convenzionale», derivata da Tennyson e dai vittoriani di mezzo, a un punto di quasi-perfezione, e ogni moderno, anche ogni influenza vivente, manca. Per cui i direttori di quasi tutti i periodici rimangono alquanto perplessi dinanzi alla tua poesia, in quanto nella grande maggioranza i direttori (e, purtroppo, anche le direttrici) cercano per prima cosa le influenze e poi l'individualità. Se una poesia della scuola di John Donne è abbastanza buona, la pubblicano; se è ottima, ma appartiene alla scuola di Tennyson, la rifiutano. Ciò di cui non si rendono mai conto  non possono, naturalmente, in quanto servono soprattutto i gusti in voga in questo momento, e gusti che hanno scartato Tennyson e succhiato a grandi boccate il buono e il cattivo di John Donne  è che la convenzione, l'eredità della poesia non importano un fico. È l'individualità del poeta, una individualità che non deve nulla ai poeti del tempo di Giacomo I e ai vittoriani, a contare realmente. Se tu, che ancora (e inevitabilmente) conservi l'individualità del vecchio Johnson, dovessi lasciare consapevolmente influenzare i tuoi versi da Donne, Tourneur, Traherne o Manley Hopkins, saresti pubblicata dappertutto e diverresti il successo clamoroso del momento in ogni sala pubblica. Ma tu non farai questo, perché ti rendi conto che è indegno, e che quanto Jack Common (il quale ignora completamente tutto ciò che sia al di fuori del socialismo intellettuale) ha rifiutato per l'«Adelphi» ha di gran lunga più pregio della maggior parte dei rampolli procreati da Donne che egli scarica entro le sue belle copertine gialle.

[...]

 

- - - – o – - - -

 

Probabilmente questa è la prima descrizione che Dylan Thomas fa di Laugharne, la piccola cittadina sul mare che rimarrà legata per sempre al suo nome. Glyn Jones, il notissimo poeta, autore di racconti e romanziere, aveva pochi anni più di Dylan ed era uno dei suoi primi amici «letterari». Il libro più noto di Richard Hughes nel 1934 era A High Wind in Jamaica, davvero un romanzo cosmopolita. L'accenno a Rimbaud è interessante, tenuto conto della successiva identificazione di Dylan con il poeta-fanciullo («il Rimbaud di Cwmdonkin Drive»). Dylan non conosceva il francese, ma lo aveva letto probabilmente nella traduzione di Edgell Rickwood o in quella di Norman Cameron. A. L. Basham fu il terzo, e ultimo, poeta de «L'angolo dei poeti» a ricevere il premio consistente nella pubblicazione in volume delle sue poesie. Abbiamo omesso una storiella non molto divertente su Mae West, il simbolo sessuale di quei tempi.


a Pamela Hansford Johnson
11 maggio 1934

Laugharne

 

  Sto trascorrendo la Pentecoste nella più strana cittadina del Galles. Laugharne, con una popolazione di quattrocento anime, ha un municipio, un castello e un primo magistrato. La popolazione parla con uno spiccato accento inglese, sebbene sia circondata da ogni lato da centinaia di chilometri di campagne gallesi. Il mare neutrale giace ai piedi della cittadina, e Richard Hughes scrive nel castello i suoi romanzi cosmopoliti.
  Sono ospite di Glyn Gower Jones. Rammenti che ti feci leggere una delle sue brutte poesie nell'«Adelphi». È un giovanotto simpatico e avvenente, senza vizi. Non fuma, non beve e non va a donne. Mi guarda assai minacciosamente lungo l'aristocratico naso se prendo più di una Guinness a pranzo, e si insospettisce molto quando esco per conto mio. Pensa, credo, che vada a sedermi sulle mura del castello del signor Hughes con una bottiglia di whisky di segale o che mi dia a orge nella dolce confusione di una pescatrice dai fianchi larghi.
  Sia detto di sfuggita, gli ho fatto leggere alcune delle tue poesie, le ultime. E non è riuscito affatto a capirle. Ardente ammiratore del «Criterion», non riesce a capire te. Ed è verissimo. Tu stai diventando piacevolmente oscura, e gran parte di ciò che scrivi in questo momento deve sembrare del tutto labirintico e difficile quasi a tutti, tranne me. Ma d'altro canto, la ragione è ovvia. Anch'io sono intricato e difficile. Lo siamo entrambi nelle nostre vite di carne. E permettimi di dirti che tu troverai detestabilmente difficile disfarti del mio corpo. «Quella particolare femmina» (tue parole da Barbablù) ha trovato un vedovo. Io non troverò mai nessuno eccetto te. L'unica soluzione sarà un po' di veleno nel mio bicchiere. Anche allora vi sarebbe il fantasma Thomas, con la testa sotto il braccio, ammantato in tre impermeabili, debole di mento e trasandato, a cercarti e a gemerti ribalderie incorporee all'orecchio. O, naturalmente, tu potresti strangolarmi mentre mangiucchio i vermicelli [In italiano nel testo].

 

                                    (Complotto rosa,

                                   Pozza frangiata,

                                     Carretta di felce).

 

  Ho l'aria di lagnarmi continuamente perché non riesco ad adattare l'umore delle mie lettere all'umore del mondo esposto alle intemperie che mi circonda. Oggi mi lagno di nuovo per una nebbia dalla bocca d'inferno che sta soffiando sul traghetto di Laugharne, e le nubi giacciono sul cielo scampanante (che ricercatezza) come le lenzuola di polvere su un pianoforte. Consentimi, o oracolo nella mina della matita, di lasciar cadere questa buffoneria consuetudinaria, e di spargere qualche parola innamorata sulla carta (carta strappata di nascosto dal quaderno della figlioletta della padrona di casa). Desideri, sempre desideri. Mai un realizzarsi di azione, carne. La consumazione dei sogni è un misero surrogato dell'ansito al termine dell'opportuno ventoso galoppo, viaggio sul letto, cogitazione musicale sul mucchio di letame della nazione.
  Il mio romanzo della valle Jarvis è più lento che mai. Ne ho già scartato due capitoli. È ambizioso quanto la Divina Commedia, con un coro di peccati mortali anagrammati come anziani gentiluomini, con le figure incarnate dell'Amore e della Morte, una pagina ulisside di pensiero dalle menti delle due anagrammatiche zitelle, Miss P. e Miss R. Sion-Rees, un'Immacolata Concezione, una ragazza calva, un vagabondo celestiale, un Cristo burlesco, e lo Spirito Santo.
  Io sono un Simone Simbolo. Il mio libro sarà pieno di luci della ribalta e Stiliti, e di giochi di parole pessimi come questi, kiss me Hardy? Dewy lo ve me? Tranter body ask? [Giochi di parole intraducibili basati su assonenza: «Hardy» (cognome) «hardy» (avverbio), o «dewy», «do you»]. Io Laugharnerò [Da «to laugh», ridere; quindi: «Riderò di...»] di questo posto maledetto perché è umido. Farò giochi di parole così spesso e così ferocemente, che la pioggia sprizzerà indietro spinta da un ambiguo impulso, e che il sole balzerà fuori per illuminare le screpolature di questo sudicio mondo. Ma non ti riferirò i miei giochi di parole, perché sconfinano oltre la ragione, e voglio che tu pensi a me, oggi, non come a un ragazzetto sconcertato che scrive una lettera idiota sull'orlo melmoso di un traghetto, contemplando gli uccelli e domandandosi quale tra essi sia l'anatra selvatica «dal collo sinistro» e quale il terribile cormorano, ma come a un uomo dalle forti spalle che contamina l'aria con il puzzo del suo tabacco da otto penny, e del vestito sportivo di tweed Harris, che cammina a gran passi, calzando scarpe da golf, sulle colline e canta forte come Beachcomber in un mondo liberato da Prodnose. Ecco che va, quella figura immaginaria, sulle soffianti montagne ove tutte le capre sembrano Ramsay MacDonald, giù per i dirupi e nei fori che celano topi sul pendio della collina, fino alle pianure melmose che continuano per chilometri nella direzione del mare. Là sosta per una pinta chiassosa e scherzosa, fa il solletico alla ragazza che serve, là ove le ragazze che servono vengono sempre solleticate, ride con l'oste dell'arguzia del barcaiolo («II vento, ah quello, è incomparabile, quello. Alza le gonne delle signore di passaggio per i tipi come me. E ti fa venire una sete da matti. Per piacere riempi la tazza sempre vuota, oste, con un altro bottiglione del tuo dilettevole liquore. Eh, sì, eh sì». E così via), poi si affretta a proseguire, sempre cantando, fino all'Ostello dell'escursionista, si toglie i foruncoli con il coltello per il pane, e spruzza un po' di iodio sui centoquaranta pipistrelli che fanno suonare le variazioni nei campanili dell'Ostello dell'escursionista.
  Ma l'occhio della verità, stanco di romanticismi, torna a posarsi con un punto di vista materialistico sul mio io, e rileva la tortura nella mia mano troppo ossuta e l'elettrica vitalità nei corpi dei pesciolini rossi che porto nella fodera del cappello. Pamela, diffida sempre dei pesciolini rossi sotto la fodera. Gocciolano piombo sul bel feltro nuovo. E i loro liquefatti escrementi cadono, con lo stesso strepito dei tamburi in Berlioz, sul cranio aperto.
  Sono torturato oggi da ogni dubbio e da ogni brutto presentimento che un'immaginazione ereditariamente contorta, una sete ereditaria e un commerciale estinguerla, una brama per un corpo che non sia il mio, un'istruzione movimentata e troppa poesia egocentrica, e una feroce giornata piovosa in una cittadina assediata dalla marea, sono capaci di evocare dalle loro infernali profondità. Infernali profondità. Ve una tortura nelle parole, tortura nel loro collegarle e compitarle, nella traccia da lumaca del loro procedere su un foglio di carta rubato, nel loro suono che i quattro venti raddoppiano, e nella mia consapevolezza che sono inadeguate. Con un peso pedante alla fine, la frase cade. Tutte le frasi cadono quando il peso della mente è distribuito inugualmente lungo le sacre consonanti e vocali. All'inizio v'era una parola che non so scrivere, non un Dog rovesciato [Dog rovesciato è «God», Dio] o una luce fisica, ma una parola lunga come Glastonbury e breve come pith [essenza]. Né è blesa come l'ultima parola, e neppure scorreggia come Balzac attraverso una finestra calligrafica, ma parla tagliente ed eterna con le intonazioni della morte e della condanna sulle magnifiche sillabe. Mi domando se amo la tua parola, la parola dei tuoi capelli
  amando i capelli respingo ogni mondo alla Oscar, poiché l'omosessualità è calva come una folaga  la parola della tua voce. La parola della tua carne e la parola della tua presenza. Per quanto sia piacevole, non posso mai amarti come la terra. La buona terra del tuo sangue è sempre lì, sotto la pelle che amo, ma si tratta di due mondi. Deve esservi soltanto un mezzo mondo tangibile, udibile e visibile per l'ignorante. Ed è quella la metà migliore? O è il passato completamente fantomatico? E il traghettatore monocolo, che non sa leggere una parola stampata, rema forse su un fiume di parole, in cui le sillabe del pesce sfrecciano fuori e sono catturate sul suo amo rimante, oppure egli si sente uno spettro totale in un mondo che è positivo come un sasso? Se questi fossero i soli interrogativi, potrei essere felice, poiché vi si risponde rapidamente con un senso alterato della vecchia metafisica. Ma vi sono altri e più spaventosi interrogativi ai quali ho paura di rispondere. Sono abbastanza capriccioso oggi per immaginare che gli uccelli ostricai in volo sui più perlacei banchi di melma stanno interrogando continuamente. Conosco la domanda e la risposta, ma non ti dirò né l'una né l'altra, perché ti renderebbe triste sapere con quale facilità la risposta gocciola dalla punta del cervello. Colma la coppa del cranio con seme di miglio. Ogni seme sarà un granello di verità, e dai granelli accoppiati salterà fuori una risposta. (Mandami all'inferno).
  Vorrei poter descrivere quello che sto contemplando. Ma nessuna parola potrebbe dirti quale disperato, caduto angelo di giorno sia questo. Molto lontano, accanto alla linea del ciclo, tre donne e un uomo stanno raccogliendo molluschi. Gli ostricai protestano a centinaia intorno a loro. Anche vicinissimo a me, una turba di donne silenziose sta raschiando la sabbia umida, grigia, con i manici frantumati di caraffe, e puliscono i molluschi Cardium nelle sudice piccole pozze d'acqua che guardano in su di tra le erbacce e anelano al sole. Ma, come vedi, ne sto facendo di nuovo una giornata letteraria. Non riesco mai a rendere giustizia ai chilometri e chilometri e chilometri di melma e grigia sabbia, allo snervante silenzio delle pescatrici, e alle strida da anime spregevoli dei gabbiani e degli aironi, alle forme delle mammelle delle pescatrici che penzolano, grosse come barili, sulla parte superiore insudiciata delle tute mentre esse si chinano sulla sabbia, alle mucche, nei campi che si estendono a nord del mare, e al quasi spezzarsi del cuore mentre il sole spunta per un minuto dalla sua nuvola e illumina le lacere vele di un peschereccio. Queste cose sembrano abbastanza comuni sulla carta. Le si vede come informi cose letterarie, e il mare è un mare di parole, e le piccole barche da pesca giacciono immobili su una tela di decimo ordine. Non posso immettere realtà in queste cose, eppure sono vive quanto me. Ogni muscolo nelle gambe delle pescatrici è grande come una collina, e ogni rozzo passo nella sabbia miseramente colorata è profondo come l'inferno. Queste donne stanno sudando l'olio della vita dai pori dei loro stupidi corpi, e sudano il cervello che avevano affinché le loro figlie possano mangiare, essere sposate e violentate, e possano concepire nei loro uteri impressi con le aringhe, e, esse stesse, mettere al mondo un'altra generazione di idioti dalle labbra tumide perché sperperino sudando le loro energie su queste sabbie indicibilmente mortali.
  Ma ora esce di nuovo un frammento di sole. Sono contento, o, per lo meno, esente dalle torture del mattino. Glyn è andato a pesca e tra mezz'ora I tre Marinai si saranno slacciati i panciotti. Berrò birra con il primo magistrato, e nessuna severa gattamorta mi dirà no.
  Ho dimenticato di portare la tua lettera. È chiusa a chiave in casa nel cassetto di Pamela. Il suo ricordo rende un po' più luminosa Laugharne
  ma non ancora abbastanza luminosa  e si concludeva con le sole parole che dovrebbero concludere una lettera. Ma non riesco a ricordare molti dei suoi particolari. Risponderò ad essi un'altra volta, o forse possono aspettare finché non ti rivedrò. Mi darò da fare per il tuo ricordo senza coda. Ho dimenticato di portare anche Anna. È il racconto migliore che tu abbia scritto. Stai diventando molto abile, cara, e i tuoi racconti sono tutti tuoi. Ho molte cose da dire su Anna, ma anch'esse devono aspettare.
Oh, al diavolo il vento mentre sparge qua e là questi fogli. Non ho alcun Rimbaud per poggiarvi un libro o il foglio, ma soltanto una pulita roccia bruna sulla quale ho disegnato tre ferocissimi travestimenti del tuo viso... uno senza occhi, uno sdentato, e tutti interamente esangui. E al diavolo il sole che, accidenti, non splende. Ti vedrò presto. Presto ti saluterò con un bacio.
  Sta incominciando a far freddo, troppo freddo per scrivere. Non ho una maglia e il vento soffia sul Canale di Bristol. Sono d'accordo con Buddha che l'essenza della vita è malvagia. A parte il non essere nati affatto, è preferibile morire giovani. Sono d'accordo con Schopenhauer (egli, nella sua filosofica polvere, si rigirerebbe compiaciuto per il mio consenso) che la vita non ha alcun disegno e alcuno scopo, ma che una contorta venatura di male, come il veleno nel bicchiere del bevitore, si alza a spirale dal fondo alla cima del mondo avvelenato dalla cicuta. O almeno potrei essere d'accordo. Ma vi sono talune cose migliori di altre. Le minuscole formiche scarlatte che strisciano dai fori della roccia sulla mia mano indaffarata. Le forme delle rocce, scolpite nel caos da un mare alticcio. I tre alberi spezzati, come tre chiodi nel petto di un Messia di legno, che spuntano in lontananza da una nave arenata. La voce di una bambina nariciuta e mocciosa che, seduta in una pozzanghera, si mette crostacei nelle mutandine. Le centinaia e centinaia di conigli selvatici che ho veduto ieri sera mentre giacevo, incorreggibilmente romantico, in un campo di ranuncoli e scrivevo della morte. La mandibola di una pecora che vorrei potesse entrarmi in tasca. Le vite minuscole che continuano lente e languide nelle gelide pozze d'acqua accanto alle mie mani. I vermi bruni nella birra. Tutte queste cose, come Rupert Brooke, le amo perché mi ricordano te. Sì, anche le formiche rosse, la morta mandibola e lo sfortunato chimico. Anche i conigli selvatici, i ranuncoli, e gli alberi che inchiodano.
  Presto ti vedrò. Scrivi entro la fine della settimana.
  Tesoro, ti amo                     xx

 

Mattina. Domenica 13.

 

  Ma la notte non viene mai. E due giorni dissoluti son passati da quando ti scrissi queste ultime parole in inchiostro. Sono stati giorni dissoluti, e accetto il rimprovero - prima ancora che venga - a capo chino e con la bocca triste da canarino. Non so perché lo faccio. È stupido e infantile, ma, non so come, inevitabile, specie in una assolata sera di sabato, in un villaggio sul mare ove, per quasi tutto il pomeriggio, ero rimasto disteso al sole cercando di colorarmi la faccia e di assumere l'aspetto di chi vive all'aperto. Odio i piccoli, insignificanti inconvenienti del mondo - la dimenticanza di lettere, la perdita di carte, le piccole cadute, i contrattempi e le delusioni che affiorano, regolarmente come il desiderio di uccidersi, in ogni erbosa giornata.
  Ieri notte, nella deserta sala da fumo di un bar sul mare, mi sono trovato a un tratto posto con le spalle al muro da tre giovinastri repellenti di aspetto, con camicie colorate, i quali mi hanno chiesto, nella maniera più compita e alla Turpin, le mie sigarette. Poiché erano tutti esattamente identici a Wallace Beery in uno dei suoi momenti meno gioviali, ho dato loro le sigarette e abbastanza soldi per tre pinte di birra. Hanno sorriso, allora
  o piuttosto mi hanno mostrato circa dieci (o meno) denti rotti (tra tutti e tre)  e si sono ostinati a bere la male acquisita birra davanti a me, facendo commenti villani sulla lunghezza dei miei capelli. Ebbene, non mi importa delle loro idee comuniste, e nemmeno del fatto che le mettano in pratica. Ma perché le mie sigarette, la mia birra, e i miei capelli buffi? Sono i piccoli incidenti come questo che ti fanno sentire molto debole e piccolo in un paese pieno di gagliardi barbari. Prima di lasciarmi  probabilmente per intimidire un'altra solitaria, piccola creatura  mi hanno raccontato una storiella a quanto pare sporca in gallese. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e più tardi il sole si è spento.
  Stamane, leggendo le non impegnative osservazioni di Vicky su Dylan Thomas, lo sperimentalista, mi sono sorpreso a domandarmi chi fosse questo poeta dal malinconico nome, e se avesse un'esistenza separata da quella della più malinconica persona, della sera prima, privata con la prepotenza delle sue legali sigarette, da tre uomini robusti, e ripiegante, a causa della sua buffa viltà, su una gelida catasta di parole. E perché allo sperimentalista dovrebbero essere dedicate così numerose righe in un giornale nazionale, e i miei desperados dalla bocca che sapeva di birra, dovrebbero essere consegnati alla mortalità del foglio di una lettera?
  In ogni modo, non sono uno sperimentalista, e non lo sarò mai. Scrivo nel solo modo in cui so scrivere e il mio lavoro deformato, screditato, rinchiuso in un piccolo spazio, non è il risultato di un teoreggiare, ma della pura incapacità di scrivere le mie inutili tortuosità in qualsiasi altro modo. L'articolo di Vicky è assurdo. Se lo vedi, digli che non sono modesto, non sono sperimentale, non scrivo del presente e ho una scarsissima padronanza del ritmo. Il mio Pegaso, inoltre, è molto, molto più affetto da spavento di quello di A. L. Bashman, che è a sua volta impacciato, o di quello di Pamela Johnson, la cui ultima Poesia pubblicata è una dolce sciocchezza da ragazza. Digli inoltre che non so niente di ritmo di vita. Digli che scrivo di vermi e di corruzione perché mi piacciono i vermi e la corruzione. Digli che credo nella fondamentale malvagità e indegnità dell'uomo, e nel putridume della vita. Digli che sono tutto per i cancri. E digli, inoltre, che odio la poesia. Preferirei in qualunque momento essere un anatomista o il custode di un obitorio. Digli che vivo esclusivamente di unghie di dita dei piedi e tumori. Dormo in una bara, inoltre, e un sudario verminoso è il mio vestito estivo.

 

      «Ho sognato la genesi di John muffito

      Che si dibatté dai ragni nella tomba»,

 

è l'inizio della mia nuova poesia. E dunque. Ma non mi piacciono nemmeno le parole. Mi piacciono cose come «ungum» e «casa-bookch» xxx, per te, mia salassatrice.
E tutto ciò, credo, deve essere causato dalle condizioni del fegato.
  Il mio romanzo, intitolato provvisoriamente, molto provvisoriamente, Una condanna sul sole, sta progredendo, tre capitoli sono già terminati. Fino ad ora è alquanto terribile, una sorta di favola deforme nella quale la lussuria, l'avidità, la crudeltà, il rancore eccetera, appaiono continuamente come anziani gentiluomini sullo sfondo della vicenda. Ho scritto un breve brano stamattina presto... un incantevole episodio in cui Mr Stripe, Mr Edger, Mr Stull, Mr Thade e Mr Stritch guardano un cane morire avvelenato. Sono una piccola anima per bene, e il mio libro sarà per bene quanto me.

 

[...]


  Il che mi conduce, molto logicamente, alla fine di questa ridicola lettera. (Scusami. Ho dovuto cancellare queste parole. Erano indecenti). Ti amo, Pamela, di più ogni giorno, penso a te ogni giorno di più, e ogni giorno di più voglio essere con te. Non dare troppa importanza alle mie declamazioni e ai miei brontolii, e meno che mai all'orrida poesia che ti ho mandato la settimana scorsa. Ti amo e ti amo. Credo soltanto in te. Bella, tonda Pamela, ti amo. E inoltre ti amerò continuamente, sempre. Scrivi prestissimo e mantienimi in vita. Scusa tutte le mie lettere. Non sto troppo bene... forse si tratta di questo. Non ti importa quanto squilibrata è la lettera, vero? Se si tratta della maschera che so io, non sollevarla mai, mia due volte benedetta. Il mio amore, e le crocette che non posso scrivere perché manca lo spazio. E ora arrivederci. Sembra che stia tornando alla mia vena di un tempo per quanto concerne le lettere, e in realtà non voglio smettere di scrivere. Ma devo pure fermarmi a un certo momento, e ho già fatto tardare questa lettera più a lungo di quanto volessi. Rispondi tra pochissimi giorni, ti prego. E sii sincera. Ricorda, amo molto gli uccelli (Maledizione, di nuovo questo!) Sì, rispondimi presto. Saluta con la mano tua madre per me, e da' a te stessa un bacio di buon mattino e di buonanotte.

 

Dylan

 

PS. Che cosa vuoi per il tuo compleanno? Libri? Anelli? Un organo Wurlitzer?

La data della stranissima lettera che segue è molto dubbia. Le deduzioni sulla quale si fonda sono queste. Nel suo diario inedito, Pamela Hansford Johnson annotò, lunedì 27 maggio: «Lettera da Dylan spaventosamente penosa. Ho pianto... quasi tutto il giorno e ho dovuto scrivergli e dirgli che tutto deve finire. Basta dunque con questa relazione». Queste parole non potrebbero applicarsi a nessun'altra lettera che ci sia rimasta della loro corrispondenza. Egli era stato di recente a Laugharne, e può darsi benissimo che si fosse trattenuto là, o con suo zio al lato opposto dell'estuario, a Llanstephan, per una settimana ancora.

 

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a Pamela Hansford Johnson
? 26 maggio 1934

Domenica mattina

A letto

 

Domanda prima.      Non posso venire.
                  seconda.  Non sto dormendo affatto meglio.

Domanda terza.        No ho fatto tutto quello ch'era sbagliato.
                  quarta.     Non oso andare dal medico.

Domanda quinta.     Sì ti amo.


  Mi trovo in condizioni spaventose adesso. Quasi non riesco a tenere la matita o a tenere la carta. Questo andava preparandosi da settimane. E gli ultimi quattro giorni hanno completato l'opera. Sono assolutamente al punto di rottura ormai. Ricordi com'ero quando ti dissi arrivederci la prima volta. Nel Kardomah quando ti amavo tanto ed ero troppo timido per dirtelo. Bene, immaginami cento volte peggio di allora con i nervi oh tesoro assolutamente sul punto di spezzarmi in tanti piccoli pezzi. Non riesco a pensare e non so quello che mi faccio. Quando parlo non so se sto urlando o bisbigliando, e questo è un indizio terribile. Sono tutti nervi e altro. Ma non avevo mai immaginato niente di così grave.
  Ed è tutta colpa mia oltretutto. Come meglio posso ti dirò la sincera sincera verità. Non voglio mai mentirti. Ti adirerai terribilmente con me lo so e non mi scriverai mai più forse. Ma tesoro vuoi che ti dica la verità non è vero. Ho lasciato Laugharne mercoledì mattina e mi sono recato in un bungalow a Gower. Avevo bevuto molto a Laugharne e mi sentivo un po' torvo anche allora. Sono rimasto a Gower con un mio amico nei giorni più sprecati dell'ufficio del cronista. Mercoledì sera è arrivata la sua fidanzata. Era alta e magra e bruna con una molle bocca rossa e più tardi siamo usciti tutti insieme e ci siamo ubriacati. Lei ha cercato di fare all'amore con me durante tutto il tragitto di ritorno a casa. Le ho detto di chiudere il becco perché era ubriaca. Quando siamo arrivati ha cercato ancora di fare all'amore con me, selvaggiamente come un'idiota di fronte a Cliff. È andata a letto e il mio amico ed io abbiamo bevuto ancora un po' e poi molto modernamente egli ha deciso di andare a dormire con lei. Ma non appena si è messo a letto con lei la ragazza ha urlato ed è corsa nel mio. Ho dormito con lei quella notte e per le tre notti successive. Eravamo tremendamente ubriachi giorno e notte. Ora posso capire ogni genere di cose. Credo di averle capite.
  Oh tesoro, mi fa soffrire dirti questo, ma devo dirtelo perché ho sempre voluto dirti la verità sul mio conto. E non voglio mai dividermi. È te e me o nessuno, te e me e nessuno. Ma sono stato un dannato idiota e rimarrò a letto per una settimana. Sono proprio sul limite della MORTE tesoro, e ho sciupato una parte del mio tremendo amore per te con una spilungona dalla bocca rossa, la cui reputazione è infernale. Non l'amo neanche un po'. Amo te Pamela sempre e sempre. Ma lei è un assillo. Poiché Cristo soltanto sa perché mi ami. Ieri mattina ha restituito l'anello a Cliff. Devo mettere duecento chilometri tra lei e me. Devo lasciare il Galles per sempre e non vederla mai più. Vedo frammenti di te in lei continuamente, e mi avvinghio a quei frammenti. Devo essere ubriaco per avvinghiarmici. Amo te Pamela e devi essere tu. Non appena tutto questo sarà finito verrò subito. Se me lo permetterai. No, per il meglio o per il peggio verrò la settimana prossima se mi vorrai. Non essere troppo irritata o troppo arrabbiata. Che diavolo devo fare? E che diavolo mi dirai tu? Tesoro ti amo e penso a te continuamente. Scrivi a giro di posta e non spezzarmi il cuore dicendomi che non devo venire a Londra perché sono stato un così maledetto idiota.


xxxx tesoro. Tesoro oh

 

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Dylan scrisse a Pamela una lettera, che lei ricevette il 30 maggio, «implorando un'altra opportunità». Pamela glielo concesse e ricevette un'altra lettera da lui il 6 giugno, alla quale rispose, stando al suo diario: «Ho scritto... perdonandogli per cui spero in una migliore fortuna la prossima volta». Il 12 giugno Dylan arrivò di nuovo a Londra e il loro idillio continuò, felicemente. Rimase a Londra per due settimane, Pamela era ormai innamoratissima di lui, e una volta tornato a Swansea, Dylan decise, se ne sarebbe andato dalla cittadina non appena gli fosse stato possibile. A quanto pare si illudeva che Gertrude Stein potesse trovargli un impiego come rappresentante di una marca di biciclette. Pinker era un agente letterario di New York che poi fu condannato per aver frodato i suoi autori, mentre Curtis Brow era un agente letterario di Londra dall'onestà impeccabile. Abbiamo tagliato la maggior parte di questa lettera, che consiste di battute scherzose private, di critiche dei racconti di lei, e di pettegolezzi su «II Vicky-bird» e la sua cerchia. Vale la pena, comunque, di citare il commento di Dylan alla propria poesia Se fossi solleticato dall'attrito dell'amore. «Ti accludo la mia nuova poesia. Spero che ti piacerà. Apparirà in "New Verse " questo mese. Le ho dedicato molto tempo, e in questo momento, almeno, ne sono un pochino soddisfatto. Non molto... soltanto un pochino». La conclusione della lettera è molto affettuosa.

 

a Pamela Hansford Johnson
2 luglio  1934

 

Scuse

 

  Questa lettera è breve e tardiva per due ragioni: primo, ho aspettato fino ad oggi una risposta di Gertrude Stein, sperando che, in seguito alla sua lettera, sarei potuto venire in città molto presto e con una buona, anche se futile, scusa. Secondo, ho fatto parte di una squadra di cricket martedì sera, la partita è terminata con il rimarchevole risultato di 34 punti contro 60 e rotti e 3 porte, i turno per colpire la palla, 2 prese fallite, e da allora sono stato un relitto fisico, torturato dai reumatismi, e con il braccio destro irrigidito. La lettera della Stein è arrivata stamane. A tutti i fini è stata un vero disastro, ma mi fornisce una specie di pretesto, e sarò a Londra mercoledì o giovedì della prossima settimana. La Stein, a quanto pare, non ha niente a che vedere con le biciclette, che appartengono a un certo signor Magnus Cohen. Non v'è alcuna prospettiva per me, naturalmente, ma gli darò un'occhiata, e magari canterò alcune battute dello Horst Wessel fuori della porta del suo ufficio. Ho rinunciato alla mia carriera nel cricket, ed ora posso barare al Mah Jong con somma destrezza.

 

Agenti

 

Che bella parola, oltretutto. Pensa al Pinker [Gioco di parole tra «Pinker» e «thinker», il pensatore] di Rodin, e la logica irritazione conseguente al loro sbaglio nel non tentare di rendere vendibile ciò che è invendibile soltanto per una mente contraffatta dai racconti di sdolcinate riviste si allontanerà in una più giusta prospettiva. Ed è tutto per il meglio. I Pinker venderanno Titoli di testa e la poesia per te, e tu, alla fine, venderai il resto. Questo è l'aspetto peggiore dell'essere «di classe». Devi guardare sempre spaventosamente in alto. Non sarai molto famosa, ma cara! cara! sarai amata. Anche Curtis Brown non mi garba troppo. Penso che abbiano una mentalità morbosa, perché i primi due racconti che distribuiscono sono Martha e L'Occidente. Ebbene, se vogliono racconti osceni...

 

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Tre giorni dopo le stava scrivendo di nuovo. È quasi certo che Dylan Thomas non si iscrisse mai al partito comunista, e un amico il quale si trovava con lui mi dice che in realtà non andò al comizio di Mosley. La maggior parte di questa lettera è, una volta di più, costituita da critiche degli scritti di Pamela, da pettegolezzi insignificanti sugli amici e da caustici commenti su poeti ormai dimenticati. Abbiamo pertanto un migliaio di parole.


a Pamela Hansford Johnson
settimana del 5 luglio 1934

 

  Buon mattino. Spero che sia mattino per te. Sennò, buon mattino ugualmente. Il sole nel mio cuore spunta come un'arancia giavanese: per immagini analoghe raffronta qualunque poesia de l'Angolo dei poeti. Sono di nuovo alla finestra aperta e guardo fuori, adesso, ragazzi rossi di capelli che giocano al cricket. Come sempre a questa finestra magicamente e sudiciamente intelaiata, mi sento felice e solo. Sì, posso pensare a te che fai le cose consuete nella tua consueta casa, immaginare i tuoi stracci su per il Rise e la tua ardente Minor sull'autobus. Ma io, per te, mi muovo in una favolosa terra celtica, circondato da castelli, da alti cappelli neri, da fantasmi di accenti, e da eterni Eisteddfoddau [Congressi di bardi gallesi]. Vieni a trovarmi, ma vieni, amor mio, in estate quando possiamo allontanarci da questo soffoco del Nord di Londra per il mare, e giacere su grandi scogliere accanto a villaggetti ed io potrò aggiustarmi i baffi non su un pubblico roteante catino ma sull'orlo di ogni onda personale. A compensare i miei svantaggi rispetto a te, ecco uno schizzo ambiguo e del tutto inadeguato della mia casa e del quartiere. Stazione della GWR [Great Western Railway]. Vie malconce, mal costruite, malinconia indicibile che soffia lungo le linee dei tram. Tragitto di un quarto d'ora in tram su per una strada lunga e stanca. Una piazza, una manciata di negozi, un bar. Su per una collina alberata, un campo da un lato, case dall'altro. Vicino alla sommità della collina una piccola casa, non molto ben pitturata, senza cancello. Stanza grande, stanza più piccola, studio, cucina. Quattro camere da letto, gabinetto. Spazio sul retro grande abbastanza per lavatoio, corda dei panni, sdraia e tre passeri. Scuola privata nel campo di fronte. Bel campo. Campo di tennis in alto. Molto per bene, molto rispettabile. Non c'è un gran traffico. Passeri in abbondanza. La mia camera è una minuscola camera da letto rimessa a nuovo, tutta carte e libri, mozziconi di sigarette, quasi nessuna luce. Molto minuscola. In realtà devo uscire per voltarmi. Tagliare l'atmosfera con il tagliacarte. Nessun cuscino rosso. Nessun cuscino di nessun genere. Sedia dura. Puzzolente. Insopportabile. Tubazioni dell'acqua calda molto vicine. Gorgogliano continuamente. Quasi impazzisco. Bella veduta di muro dalla finestra. Grazioso giardino pubblico nelle vicinanze. Mare a ottocento metri. Mare migliore a sette od otto chilometri. Manicomio a un chilometro e mezzo. Ospizio di mendicità a ottocento metri. Tutto questo sembra deprimente, ma devi venire. E vieni presto, più presto che potrai. Se fa caldo ed è una giornata estiva possiamo divertirci un mondo. E se piove possiamo restare in una stanza soffocante tutto il giorno e tutta la notte con il più grande piacere del mondo. Mi hai domandato di Pa'. Non sta meglio e deve andare anche più spesso a farsi visitare dal suo medico di Londra. Mia madre è debole, ma sempre garrula. Non ti piacerà. Parla troppo, troppo spesso, e troppo poco intelligentemente perché sia possibile che ti piaccia. Ma è molto buona e sarebbe felice di conoscerti. Perciò esplora questa tenebra gallese, mio tesoro, potrei anche condurti a Laugharne che è la più vicina approssimazione sotto il sole a un borgo stigio.


È questo lavoro politico?

 

  Se leggi i giornali, vedrai che Swansea è il centro del centro di ogni attività rivoluzionaria questa settimana. È la settimana del processo di Tom Mann e di Harry Pollit. Ho appena lasciato il partito socialista e offerto i miei servigi ai comunisti. Sono arrivato in tempo al comizio di Mosley e mi hanno gettato giù per le scale. Nessun danno, però. Ho appena terminato un articolo sedizioso che attacca i gentiluomini in camicia. To'!

 

[...]

 

- - - – o – - - -

 

Dylan trascorse quasi tutto il mese di giugno a Londra e nei dintorni. Questa fu forse la fase culminante del suo romanzo d'amore con Pamela. Insisteva perché lei lo sposasse ed ella per poco non accettò. Una sera decisero di procurarsi la licenza di matrimonio, ma la mattina dopo Pamela ebbe dei ripensamenti. Dylan tornò nel Galles alla fine del mese, e per tutto luglio e i primi di agosto le scrisse con regolarità. Ci rimane una sola di queste lettere. Il «Compagno Trick» era A. E. Trick, a quei tempi droghiere e attivo nella politica laburista locale. Con le sue consuete esagerazioni, Dylan soleva riferirsi a lui come a un comunista. Bert Trick, che anch'egli conosceva notevolmente bene la poesia e componeva versi, era stato uno dei primi a incoraggiare Dylan. Dylan e i suoi amici erano soliti riunirsi regolarmente una volta alla settimana nell'appartamento di Bert Trick sopra il negozio per parlare d'arte e di politica. Il passo politico in questa lettera è una chiara eco di tali conversazioni. La lettera comprende una storiella non molto divertente, omessa, e critiche dei racconti di Pamela, anch'esse omesse.

 

a Pamela Hansford Johnson
20 luglio 1934

 

  La tua lettera ha reso molto felice anche me. Sto ascoltando il Ballo delle Ingrate, di Monteverdi. Ed è questa una musica molto festosa nonostante Fiutone ed una Venere coloratura [«Coloratura» è in italiano nel testo]. Ho appena finito di leggere The Stranger di Algernon Blackwood  una divertentissima storia, nonostante lo spettro. Sto fumando una buona sigaretta turca, e ho rubato un bicchiere di porto per invalidi sul comodino di mia madre. La tua lettera si trova sul tavolo davanti a me e, più tardi questa sera, Compagno Trick verrà per condurmi a una dimostrazione fascista. Non potrebbe esservi molto di meglio. La tua presenza renderebbe ogni cosa perfetta. Attraverso la corposità delle parole ti faccio con il solletico un saluto cortese sotto il mento. Tu hai adesso una lunga barba bianca e io mi ritrovo a solleticare il generale Booth dell'Esercito della Salvezza. Ma questi piccoli intoppi dell'immaginazione sono prevedibili. Ieri ho indovinato la posizione di una lumaca in giardino. Là, sotto quella particolare zolla, quel quadratino di terra (ho detto) si trova una grassa lumaca. Ho sollevato la zolla, ed ecco la lumaca, sorridente come Monna Lisa. Aggiungo ora al mio elenco di reconditi e del tutto non commerciali conseguimenti quello di saper disseppellire lumache in qualsiasi determinato momento. Se mai avremo un pappagallo o un canarino, questo mio dono sarà nettamente utile. Sennò, potrà ugualmente essere impiegato come un metodo per gettare un ponte su ogni pausa imbarazzante nella conversazione. «Trova una lumaca per il signore». «Ma certo, mia cara». E, cosi dicendo, io tolgo dall'aiuola delle patate un succoso esemplare nero dalla lunga criniera.

 

[...]


  Torniamo sulla terra, adesso. Non più discorsi di cancrena e di aberrazioni sessuali. Ti accludo un nuovo racconto, Il panciotto, il quale fornirà tutto ciò che è necessario in fatto di violenza e oscenità generale (Oscenità Generale del Quinto Buffs) [I Buffs, reggimento del Kent orientale].

 

[...]

 

Ancora (proprio senza nessun motivo) sui miei per lungo tempo rimandati Angoli Politici (Ad ogni modo, sono molto onesto. Segno questa parte in modo che tu possa saltarla.)

 

  Un sistema economico (egli latrò) deve avere una sanzione etica. Se si riesce a persuadere la gente del fatto che l'attuale sistema economico è eticamente errato, si è piantato il seme che può con il tempo sbocciare in un bel fiore rivoluzionario. Convinci la gente che una cosa è male e tutti sono disposti ad ascoltare un piano ragionevole per eliminarla. V'è e sempre deve esservi una corrente di energia rivoluzionaria generata là ove la società è composta, in alto e in basso, di carrieristi finanziari e di un esercito proletario di spodestati. Dalla negazione deve sorgere una società senza classi. Ma non v'è un grande avvenire per il partito politico che si basa esclusivamente sulle rivendicazioni dei lavoratori, in quanto il lavoro umano nell'industria è quasi caduto in disuso. La negazione è emersa, e l'avvenire della politica deve trovarsi, nella sintesi della produzione e del consumo. È inutile possedere una banca nazionale se manca il credito finanziario sufficiente a farla funzionare. Il controllo del denaro  vale a dire la tecnica bancaria, il credito, il consumo  è la sola chiave per arrivare allo stato della comunità. L'industria è capace di assicurare alla comunità un alto livello di vita, e soltanto un sistema monetario difettoso impedisce all'industria di consegnare i prodotti. I prezzi composti sono più alti dell'insieme dei redditi e delle paghe della comunità. Il sistema monetario e del credito è soltanto un sistema di tenuta di libri o di contabilità. Quel che occorre non è una rivoluzione sanguinosa, ma una rivoluzione intellettuale. Come alternativa, v'è la confisca delle proprietà con la forza. I partiti politici rivoluzionari non si trovano d'accordo su tale punto. Il partito comunista, con il debole appoggio dell'ILP [Partito laburista indipendente], sostiene la necessità del ricorso alla forza per arrivare al potere. La Lega Socialista, il Nuovo Partito Socialista, il Partito Laburista Ortodosso, ritengono che occorra anzitutto arrivare al potere costituzionale, e porre poi in pratica le loro politiche. Se il governo costituzionale non può, entro il limite di un anno dalle elezioni generali, attuare la loro politica, allora occorre formare un fronte unito, l'esercito e le forze di polizia debbono essere sottomessi e la proprietà deve essere confiscata con la forza. Nessuno può essere neutrale, né il lavoratore, né l'intellettuale, né il reazionario, poiché la composizione delle classi è mutata. La lotta di classe è essenzialmente la lotta intellettuale, e per quanto essa possa sembrare remota dal processo economico, ne è ciononostante condizionata. La sola cosa che conti è il diritto di vivere e i mezzi per vivere, e non resta altro da fare che scoprire, non già ipotecandolo, ma sperimentando a titolo di prova il costituzionalismo, e poi, se ciò fallisce, ricorrendo alla forza, il modo più scientifico di introdurre la società nuova. Il principio di governo deve essere quello del consumo. Il lavoratore è soltanto un fattore della produzione, e, in quanto a questo, un fattore quasi superato. Ma il consumatore è un fattore perpetuo in ogni società. Ogni società cessa di essere dominata dalle classi quando è considerata puramente come un insieme di consumatori. L'organizzazione più giusta ed efficiente è quella sotto il controllo diretto dello Stato. Coloro che dirigono lo Stato guadagneranno in fatto di credito come consumatori non più del lavoratore che si occupa delle fognature dello Stato. Il profitto privato deve finire. Riserve contro la svalutazione devono essere il solo costo gravante sull'industria.
  La liberazione dell'umanità dalla fatica è dovuta da un pezzo. Lunghi orari lavorativi e paghe basse sono anacronistici. La sferza della povertà può fustigare soltanto un cavallo morto. L'urlo del direttore di circo equestre è una lingua morta. Il nostro retaggio è il piacere prodotto a macchina. Abbiamo il desiderio, i mezzi e l'occasione, ma non il fronte comune e unito che non si lascia spaventare, se le elezioni e le pressioni del governo costituzionale falliscono, dalla necessità di difendere, e mettere in pratica, l'ultima riserva della forza collettiva. Lo Stato dell'avvenire non sarà un dispotismo economico o una utopia cristiana. Sarà lo Stato dell'Anarchia Funzionale.
  E un ta-ta-ta e un rocchetto di cotone. Basta con questo argomento. Sto preparando un saggio sull'Anarchia Funzionale dal quale, con il permesso dei miei lettori, citerò passi nella prossima lettera aperta agli elettori della circoscrizione di Battersea.
  Anche questa è un disastro di lettera. Sbava e declama dappertutto come Maurice Chevalier. Addosserò la colpa al clima che è un miscuglio malsano di azzurri e di grigi. Non appena avrò finito la lettera, andrò a sedermi al sole e guarderò una partita di cricket della contea. Anche i degenerati come me hanno quell'atavico impulso di lealtà che nulla può domare. Sto cercando la mia cravatta con i colori della scuola che, credo, sta fungendo da specie di corda intorno a una pila di letteratura pornografica prestatami alcuni mesi or sono da un ometto sulla spiaggia. Mi sto inoltre esercitando a dire a bassa voce
  ben giocata, figliolo  e  maledetta scalogna  quando una palla colpirà alla pelvi il battitore. Mio mondo felice, buffo, maledetto, peccaminoso, osceno, bello. Oh, perché non sono con te, mio tesoro.
  E naturalmente ti vedrò prima delle tue vacanze. Verrò a Londra in agosto. E non dimenticarti il Galles.
  Scrivi presto e scrivi molto. Dimmi tutto quello che v'è da dire. Continua a lavorare sodo. Non disegnare baffi sulla mia fotografia. Di' il mio affetto a tua madre. Lascia ti prego un altro segno di bruciatura nel Chelsea Bells. Bevi alla mia salute. E augurami il buongiorno con un bacio prima che mi cinga i lombi e vada. Tutto il possibile amore. Chiama il tuo gatto Egitto.

 

Dylan

 

xxxx. Qualche giorno in agosto. (Farò in modo, credo, che qualcuno si metta a sedere  di nuovo  sulla mia faccia, così, rivedendomi, non mi riconoscerai, e potremo ricominciare ad essere innamorati. Un desiderio osceno). Ti amo. Faccia-sanguinaria ti ama.

 

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Dylan tornò a Londra ai primi di agosto, ospitato nella casa della madre di Pamela, ove fu scritta la lettera successiva, fino alla metà di settembre. La tensione di quella vicinanza in circostanze platoniche incominciò a farsi sentire sui due giovani. Egli prese l'abitudine di restar fuori fino a tardi e di rientrare in uno stato d'animo ancor peggiore a furia di bere. A queste occasioni seguì una serie di sconvolgenti litigi, e Pamela, pur rimanendo innamorata di lui, incominciò ad avere seri dubbi sulla saggezza della sua scelta. Per di più stava incominciando a sentire le conseguenze dell'eccesso di lavoro. Non soltanto lavorava a orario pieno in una banca, ma stava anche terminando il suo primo romanzo, scritto con frenetica fretta. Eppure era ancora più o meno fidanzata con Dylan, e a metà settembre lei e sua madre lo accompagnarono a Swansea, per conoscerne i genitori. La visita non fu, tutto sommato, un successo. La signora Hansford Johnson trovò la signora Thomas molto noiosa. Piovve per due settimane. Pamela scoprì la vera età di Dylan, diciannove anni, e si rese conto che il matrimonio era fuori questione. Infine si ammalò, venne chiamato un medico ed ella tornò a Londra con la madre. Dylan stava litigando adesso con Victor Neuburg in merito alla scelta delle sue poesie, e si presentavano difficoltà con l'editore. Infine David Archer, della Parton Street Bookshop, accettò di stampare il libro. Alfred Janes, il pittore, era uno dei più intimi amici di Dylan. Stavano proponendosi di prendere in affitto insieme uno studio a Londra; là li avrebbe raggiunti un altro pittore di Swansea della loro stessa età, Mervyn Levy, e in seguito, dopo il trasferimento, un terzo pittore, William Scott dell'Ulster. Anche le Hansford Johnson stavano per trasferirsi da Battersea a South Kensington. La riunione dell'associazione letteraria John O'London fu sfruttata da Dylan come un'occasione per scandalizzare i suoi concittadini. Incominciava ad affiorare l'enfant terrible dedito al bere.


a Geoffrey Grigson
estate 1934
Battersea Rise, 53 (per il momento), S.W. 11

 

Caro Grigson,

  so che lei scuserà questo biglietto, ma è assolutamente essenziale che io approfitti della sua offerta fattami, credo seriamente, la settimana scorsa. Non posso ancora tornare nel Galles, perché anche le fondamenta della Casa Avita sembrano franare. Se al té di ieri mi fossi reso conto che le cose erano a questo punto di gravita, avrei potuto fare a meno di disturbarla con questo poco dignitoso biglietto. Il mio mondo di buoni padri morenti e di cattive poetesse, sta dimostrando di essere affettivamente instabile. Non mi curo della soffitta, della crosta di pane e così via, ma preferirei di gran lunga avere in prestito una somma di denaro e rinviare questo convenzionalismo. Torno a scusarmi per il contenuto e lo stato d'animo della presente.
  Alle cinque, mercoledì?
  Molto sinceramente,                                      

 

Dylan Thomas

 

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a Pamela Hansford Johnson
inizio ottobre 1934

 

PS. Maglione alla fine della settimana (mamma).

 

Prendi nota e sta' a vedere


  Anzitutto, per rispondere alla breve lettera contrassegnata privata e confidenziale, accidenti. Runia sembra averti fatto un riassunto abbastanza esatto della corrispondenza tra noi. Un'altra lettera
  scritta in collaborazione da Neuburg e da Runia, in realtà con qualità diverse di inchiostro  mi è pervenuta in seguito, spiegando molto meticolosamente tutta una serie di cose che io non riesco affatto a capire, e chiedendo  come tu mi avevi lasciato capire  una poesia per il «Referee» di questa domenica. Be', sai una cosa? Sospetto vagamente provvedimenti alla Capone. Vicky, io credo, vuole mettermi in imbarazzo. Anche se in quale imbarazzo, e perché, Dio solo lo sa. Le mie lettere, come forse Runia ti avrà detto, chiedevano la restituzione del libro. Ma non è più probabile che lo riceva di quanto possa trovare nel mio ombelico la Storia del Cristianesimo di Gibbon. Non resta che il ricorso alla forza. Non posso accettare seriamente l'idea di una seconda scelta di poesie ancor più immature e insoddisfacenti. Trovo, dopo averle rilette, che le poesie nel dannato possesso di Vicky sono in complesso povere cose, con molti versi esili, molti sentimenti balordi, parecchi esempi di un Cristo da due soldi, parecchie comicità non intenzionali, e molte assurdità ampollose espresse in un linguaggio dolce, davvero dolce. Devo avvicinarmi di più alle ossa delle parole e ad un inferno alla Matthew Arnold con la convenzione del significato e del senso. Non che importi, del resto. La vita è soltanto onde, onde radio e vibrazioni elettriche. Importa forse, per il mio piccolo programma radiofonico da Battersea, che l'alta o la bassa tensione si interrompano? Ho, naturalmente, nella debolezza del mio spirito, inviato alcune goffe poesie al «Referee». Ma, il diavolo mi porti, sarò fermo e la data di ottobre rimane valida. Grazie infinite per le confidenze maledettamente private.


La casa presta un po' di sedie


  A proposito del mio futuro studio. Janes ed io verremmo definitivamente verso la seconda settimana di novembre, in automobile per fortuna, portando con noi macchine per scrivere, cavalietti, coperte e lenzuola, reggipetti per le modelle e panfrutti per i leoni di Nelson... una ciliegia o due per Eros, una copia del «London Mercury» per Nurse Cavell. Vogliamo una stanza che costi sui quindici scellini alla settimana; dev'essere grande il più possibile, più grande se possibile, non arredata, con una buona illuminazione. Preferibilmente a gas, la luce elettrica nuoce ai nostri occhi e alle nostre carnagioni sensibili. Ma non preoccuparti di cercarla; la troveremo noi, anche se sarà un po' fuori da Chelsea. Ma tu potresti tenere un occhio aperto; uno solo. Hai un materasso e una sedia da regalare o da vendere ai due poveri geni, non riconosciuti? Non voglio portare a Londra un materasso; è troppo voluminoso, e non voglio acquistarne uno perché ho paura di prendermi la rabbia o la tricofizia. Non gettare nessun vecchio mobile oltre i muri dei vicini. Avrebbe per noi una utilità vitale. Se hai un tavolo abbastanza grande e sudicio che non intendi portar via, mettilo in qualche posto, e io lo comprerò. Non dimenticare i miei panni filantropici in futuro, o fornitrice dei poveri artistici! Tavolo, materasso, sedia! Non voglio acquistarli in una bottega di roba usata, a causa della possibilità di malattie; se tu li avessi mi piacerebbe acquistarli al N. 53 (stanno traslocando... hanno traslocato) di Battersea Rise.

 

[...]


Ricerca

 

  Beh, io non la sceglierei. Lascerei perdere la dannata cosa. Può andare al diavolo per quello che me ne importa. Secondo me è abietta, semplicemente abietta. Non ha proprio nessun merito: è lenta, è turgida, è affettata, è nauseante. Non posso, temo, approvare la Nuova Maniera, che a me sembra un modo dannato come non mai di legare insieme vecchi manierismi. No, voglio dire, non puoi assolutamente continuare cosi. È criminoso. So che non stai bene, ma non puoi attribuire questa povera cosa al cuore che batte troppo in fretta. Mi spiace di essere cosi rude. Non posso darti alcuna critica costruttiva.

 

[...]

 

Circoncisione del «John O'London»

 

  Un indubbio successo. Il pubblico era formato da trentacinque persone, tutto qui, trenta delle quali donne. Ma che donne! Tutte di un'età vaga e incerta, la maggior parte vergini, e tutte con qualche infarinatura di Freud e Lawrence. Il Presidente, un rompiscatole panciuto, mi ha presentato come un Giovane Rivoluzionario (ero convenientemente vestito di nero) che affrontava un Compito Difficile e Coraggioso! Mi sono poi fatto sentire. All'inizio vi è stato un silenzio gelido e inorridito, ma infine sono riuscito a strappare qualche risatina e, in ultimo, un autentico, innegabile interesse. Uno sguardo vitreo è affiorato negli occhi delle zitelle. Ho inserito parecchie spiritosaggini, e ho concluso con «Che la copulazione prosperi». Poi le signore, in massa compatta, mi hanno bombardato di domande. Nel futuro comunista di cui avevo parlato non vi sarebbero state perversioni? Quelle che noi consideriamo perversioni, ho risposto (scusa la forma da romanzuccio di questo mio rapporto), sono, per la maggior parte, sentieri appartati sani e naturali della vita sessuale. Come avrebbe potuto una donna difendere il proprio onore in un simile stato? Mediante mutande di latta, ho risposto, con Pronto Umorismo. Crede negli anticoncezionali? Il giorno, ho risposto, in cui il controllo delle nascite legalizzato e l'aborto clinico saranno accolti nella prassi, entrerà negli annali della storia come il giorno del Diaframma Francese. E così via per due ore, finché le mature signore, che prima di quella sera sarebbero arrossite o sarebbero rimaste inorridite sentendo menzionare il pigiama, stavano parlando allegramente di irrigazioni vaginali, abitudini lesbiche, pannolini igienici, latrine, fornicazione ed ogni altra cosa quotidiana e normale. Trick ha pronunciato un simpatico discorsetto sulla inevitabilità della Rivoluzione, un gentiluomo ha difeso la repressione con occhi molto iniettati di sangue, Janes ha detto una battuta sui calcoli biliari, e la riunione ha avuto termine. Dio solo sa che cosa abbiamo fatto a queste ardenti e zelanti signore, ma spero che dolga. Più vedo il Galles, più penso che sia una terra popolata completamente da pervertiti. Non escludo me stesso, che ricavo un acuto e sentimentale piacere dicendo alle donne, abbastanza anziane per poter essere mia madre, perché sognano facoceri a due teste in un campo di sperma. (Ho saputo, in seguito, che aveva avuto luogo una riunione del comitato, e che bisognava stare attenti in avvenire a chi veniva invitato a tenere conferenze. Quelle maledette donne si sono destate nella luce gelida del mattino, pentendosi delle poche ore di libertà verbale  se non di altro).

 

L'ultimo weekend l'ho trascorso a Aberystwyth con Caradoc Evans. È in gamba. Abbiamo fatto il giro dei bar la sera, bevendo alla distruzione, augurabile al più presto, dei Luoghi Sacri di Latta. Gli studenti universitari vogliono bene a Caradoc e gli lanciano sassi ogni volta che esce.

 

Non ho niente da mandarti (tranne una libbra d'amore), ma ho quasi terminato un racconto. Sto lavorando molto a una poesia; sarà una poesia molto lunga; ho completato cinquanta versi fino ad ora, è senz'altro la cosa migliore che abbia scritto. Non credo che l'avrò terminata nemmeno quando ti vedrò, ma tu leggerai quello che ve ne sarà allora.

 

  Quanto altro hai scritto del tuo romanzo? Naturalmente, voglio leggerlo tutto prima che lo abbiano i Pinker.

 

  Adesso amore e arrivederci, più amore che arrivederci, perché ti rivedrò tra non molto, ma scrivi presto e tanto, e ristabilisciti, mio tesoro, per me. Non mi piace pensarti malata. (E a te, del tutto logicamente, non piace essere malata). Non dimenticare nessuna vecchia masserizia... specie il materasso, il tavolo, la sedia. Di' il mio affetto a tua madre. Amore ancora, una quantità terribile d'amore. xxxxxxx.

 

Dylan

 

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Il questionario era quello sottoposto a numerosi poeti, da «New Verse», e pubblicato in quella rivista nell'ottobre 1934.

 

a Geoffrey Grigson
luglio 1934 ?
Cwmdonkin Drive 5, Uplands, Swansea

 

Caro Grigson,

  grazie per il biglietto.
  Non ho alcuna poesia, per il momento, o almeno nessuna poesia che gradirei farle leggere. Spero però di potergliene mandare due nuove tra pochi giorni.
  Accludo le risposte al questionario. Temo che suonino alquanto presuntuose in alcuni punti, ma non ho potuto evitarlo. Mi fanno apparire, inoltre, molto soddisfatto del mio lavoro, mentre non lo sono di certo. Se le risposte non sono quello che lei vuole, o sono troppo lunghe, sarò dispostissimo a scriverne altre.
  Lei mi ha pregato di ricordarle, qualche tempo fa, i libri da recensire. Ho fatto un certo numero di recensioni, di recente, e sarei molto lieto se potesse mandarmi, come mi ha promesso, alcuni volumi.
  Mi dispiace di non avere poesie pronte. Gliele manderò durante la settimana, se posso.
Sinceramente,                                               

 

Dylan Thomas

 

  Spero di essere a Londra verso la metà di agosto. Sono venuto qualche tempo fa, ma ho saputo che lei si trovava in vacanza. Mi è dispiaciuto non aver potuto incontrarmi con lei.

 

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a Geoffrey Grigson
luglio 1934
Cwmdonkin Drive 5, Uplands, Swansea

 

Caro Grigson,
  eccole le due poesie che dissi le avrei mandato. Spero che non sia troppo tardi. Più ancora, spero che le piacciano. Sono state scritte entrambe molto di recente. Mi faccia sapere se è troppo tardi, in quanto potrei disporre altrimenti delle poesie. Ma spero, ancora, che le piacciano e che possa pubblicarle.
  Vengo in città alla fine di questa settimana. Sarà assente, allora?
  Sinceramente,                                               

 

Dylan Thomas

 

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Dylan e il suo amico Alfred Janes, il pittore, dovevano trasferirsi a Londra ai primi di novembre, e là avrebbero coabitato in una stanza. Dylan non era mai stato fuori dell'Inghilterra e del Galles, e senza dubbio non nelle Baleari. T. S. Eliot era direttore e revisore di poesie nella casa editrice Faber & Faber. Se in effetti avesse mai preso seriamente in considerazione la possibilità di pubblicare il volume edito poi da Dent e intitolato 18 Poems non si sa, ma è probabile. Norman è Norman Cameron.

 

a Geoffrey Grigson
Cwmdonkin Drive,
ottobre 1934 , Uplands, Swansea

 

Caro Geoffrey,
  ho avuto l'intenzione di scriverle per tutto il mese scorso, e sono stato felicissimo di ricevere la sua lettera. Per rispondere alle domande: a) mi trovo nel Galles, b) sarò a Londra tra circa dieci giorni, e) sono stato di quando in quando nelle isole Baleari, d) sono morto, inoltre, una o due volte, e) non sono mai lascivo. Squattrinato sono fuggito da Londra, e squattrinato vi ritorno. Sono ospite un po' dappertutto, di Caradoc Evans a Aberystwyth, di una madre indulgente ma inferma, in questo momento di una grossa signora e del suo albergo sulla penisola di Gower, e di un cottage nel Carmarthenshire, gloriandomi nel nome di Blaen Cwm, ove ho vissuto di carote (no, questo non è esattamente vero, avevo anche cipolle). Ma tra dieci giorni prenderò una stanza con un altro tronfio aristocratico in città. Spero di vedere lei e Norman molto presto.
  Ha visto di recente Papa Eliot. Sta facendo cose buffe con il mio libro. Tre o quattro giorni fa la sua segretaria mi ha spedito una lettera per espresso
  non so bene che cosa significhi per espresso, ma occorre pagare sei pence al fattorino alla porta  chiedendomi di non prendere nessun accordo fino a quando non avessi avuto notizie dal Papa in persona che avrebbe scritto quella sera. Quali terreni accordi potrei prendere? E il diavolo mi porti se ha scritto. Una tizia mi disse una volta, ricordo, di aver adoperato una delle mie poesie come una specie di imbuto da mettere in una bottiglia, in quanto un dottore sadico voleva un campione della sua uri-na. Cerchi di accertare se tutto il personale della Faber & Faber sta facendo cose analoghe con le mie venti poesie.
  Naturale che può utilizzare qualsiasi mia poesia lei voglia. Ne ho scritto una nuova
  un po' migliore delle altre, credo  che le accludo. Forse le piacerebbe utilizzare anche quella, o utilizzarla al posto dell'altra.
  Grazie infinite per la promessa dei libri. Ma certo non vale la pena di spedirli se vengo entro dieci giorni, no? Me ne mandi alcuni, comunque. Faccio conto sulle recensioni per assicurare le carote e le cipolle.
  Suo,                                                                        

 

Dylan

 

  Crede che sarebbe meglio se la poesia acclusa non fosse divisa in strofe? Ho provato in questo modo, ma sembrava più oscura.
  Ross Williamson, del «Bookman», mi ha procurato alcune recensioni. Crede che me ne procurerebbe anche Janet Adam Smith se le scrivessi una bella lettera tubante?

 

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Dylan e Fred Janes si erano trasferiti a Londra il io novembre 1934. Neuburg aveva pubblicato di recente ne «L'angolo dei poeti» una critica delle poesie di Dylan di A. E. Trick. «Vanoc» scriveva l'articolo politico per il «Sunday Referee». Come si può constatare, Dylan era uscito molto rapidamente dall'orbita di Victor Neuburg e dei seguaci della Vita Creativa. La principessa Marina sposò il duca di Kent il 29 novembre 1934 e pertanto riteniamo che la seguente lettera senza data sia stata scritta nei primi giorni di dicembre.

 

a Bert Trick
dicembre 1934
Redcliffe Street 5, Londra, S. W. 10

 

Caro Bert,
  questo sembra essere un momento piacevole e adatto per scrivere la lettera che, lo so, avrei dovuto scrivere almeno una settimana fa. Il «Sunday Referee» ci ha resi entrambi molto orgogliosi, anche se, personalmente, non credo che Neuburg abbia scelto i passi più lusinghieri sia della tua lettera, sia di quella del Compagno Thompson. La tua critica era buona e naturalmente io mi sono trovato d'accordo con ogni parola. Conteneva, espresso in modo mirabilmente condensato, ciò che tu ed io abbiamo discusso per tante ore, e dovrebbe senz'altro, accidenti, vincere il premio (in che cosa consiste il premio, a proposito?) Compagno Thompson ha scritto molto più a lungo di te, spiegando sottigliezze della mia poesia di cui io non ero, e non sono tuttora, consapevole, e il tuo Oxford Vanoc (che ha scritto l'articolo politico nel «Referee») è stato altrettanto buono. Ho udito due gentiluomini anarchici discuterlo vigorosamente in un caffè ieri sera. Non v'è alcuna novità o vi sono tutte le novità. La città continua a vivere, ed io ne sono adesso una parte molto insignificante. Abito con Janes vicinissimo a Fulham Road, ai margini di Chelsea, Fulham, South Kensington e Brompton, in una grande stanza con bagno e con una specie di più modesto gabinetto annesso.
  Questo è l'alloggio degli pseudoartisti, dei barbuti, delle indecenti espressioni di un periodo di importanza artistica completamente passato di moda e delle più noiose feste bohémiennes che io abbia mai creduto possibili.
  Lievemente ubriachi, lievemente sudici, lievemente peccaminosi, lievemente pazzi, ripetiamo i nostri luoghi comuni su Gauguin e Van Gogh come se fossero le cose più originali del mondo. Vi sono, naturalmente, decine e decine di persone migliori che io frequento, ma queste piccole larve sono i miei compagni per la maggior parte del tempo. Credo che cambierò alloggio molto presto.
  Un altro ragazzo di Swansea
  Senti, senti la Pompa Parrocchiale  abita nella stanza sopra di noi. È Mervyn Levy, un piccolo ebreo che esegue piccoli e abili disegni e che, in questo momento, non lavora nel Royal College Kensington.
  Questo dannato paese è pieno di gallesi e, giorno per giorno, mentre banchetto con gli occhi sulle loro volgari e meschine sembianze, mi sento come Caradoc Evans i cui libri stanno diventando, almeno in una piccola cerchia, un successo intellettuale grazie alle mie lodi ininterrotte.
  Per il momento non sto lavorando molto. Trovo difficile concentrarmi in una stanza disordinata e caotica come lo è la nostra quasi sempre. Per metri intorno a me non vedo altro che poesie, poesie, poesie, burro, nova, patate schiacciate, schiacciate tra i miei racconti e le tele di Janes. Un giorno dovremo dare una bella lavata, e allora forse potrò cominciare a lavorare sul serio. Così come stanno le cose, quasi tutto il materiale che avevo portato qui è stato accettato da vari periodici. Una nuova intellettualissima rivista intitolata molto originalmente «Arte», deve stampare Burning Baby nel suo primo numero trimestrale del gennaio 1935. L'«Adelphi» sta per pubblicare il mio Albero in questo mese di dicembre. Il prossimo «Criterion» pubblica Il visitatore. Circa a metà del mese. «New Verse» pubblica una lunga poesia (Metà della persona) che tu hai nel tuo album di ritagli, ed anche una recensione della nuova poesia di Spender Vienna. E il mio libro di poesie uscirà prima di Natale. Nutro speranze, inoltre, di trovare un editore, probabilmente Spottiswoode, disposto a pubblicare i miei racconti in primavera. Per continuare questa rassegna egoistica: ho conosciuto numerose nuove personalità, tra le quali Henry Moore, lo scultore, Edwin e Willa Muir, Wyndham Lewis e, certo non ultima, Betty May. Ed ora, come va il tuo mondo? Si è riformato il «Guardian» e ha cominciato a pubblicare di nuovo le tue disgustose piccole superficialità? E che cosa stai facendo in tutte queste lunghe notti invernali, stampi propaganda? Poesie propagandistiche? O scrivi altre di quelle lettere deplorevoli indignate e ingiuriose? O leggi altre di quelle deplorevoli notizie sediziose che riesci a cavare da ogni sorta di sediziosa regione? Ho tenuto da parte per te il supplemento del «Daily Worker» dedicato alla principessa Marina, ma, come mi succede di solito con tutte le cose del genere, ho finito per perderlo. Era uno speciale e particolarmente sedizioso libello che offendeva l'intera famiglia reale e ostentava caricature quasi ribalde di «Nemico il Re». Ottimo. Londra era un inferno il giorno di quella tempesta regale, le vie così affollate da essere quasi impossibile camminarvi, l'intero traffico disorganizzato e i bar aperti fino alle undici in tutta la città. Vi sono state donne con i loro bambini, le ho viste io, che hanno aspettato tutta la notte fuori dell'Abbazia tenendo quei fanciulli morenti nel gelo e nella nebbia per almeno ventiquattr'ore. Ne ho parlato a Norman Cameron e ho detto che dovrebbero essere ricoverate tutte quante in manicomi. Mi ha risposto che non era necessario, bisognava soltanto tenerle in Inghilterra. Non è battuta bene a macchina questa lettera? Scrivimi presto, dicendomi tutto quello che sai o ti piacerebbe sapere, tutto del «Guardian» e della sedizione in generale. Dato che questa è la prima lettera, non deve, stando alle regole dell'etichetta, essere troppo lunga. Andiamo, bugiardo, non mi preoccupo dell'etichetta, è soltanto pura pigrizia. Salutami la signora Trick e Miss Trick, le cui poesie, così mi dice Vicky, sono di gran lunga le migliori e le più sincere che riceva. Scrivi presto e non dimenticare tutte le notizie.


Dylan

 

Ho veduto ieri, in possesso di un tale che non conosco e al quale non posso chiederlo in prestito, il primo vero scritto sul fascismo e sul nazismo. È intitolato La forza è ragione ed è stato stampato in Australia negli anni novanta. L'autore si chiama Raynor Redbeard. Se puoi, con qualunque metodo, mettici su le mani.

 

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Press'a poco nello stesso periodo, e forse anche nello stesso giorno, Dylan scrisse a Glyn Jones. Aspects of Modern Poetry di Edith Sitwell era stato pubblicato di recente. Il duro giudizio di Dylan era condiviso da molti altri, ed egli aveva un motivo personale per detestare il libro, in quanto conteneva una parodia delle sue prime poesie. Poche settimane dopo, Edith Sitwell doveva lodare pubblicamente una sua poesia nel «London Mercury». Egli la conobbe e divennero e rimasero buoni amici fino alla morte di lui.


a Glyn Jones
Londra, primi di dicembre 1934

Redcliffe Street 5, S.W. 10

 

  Grazie molte per la lettera, e tante scuse per il fatto che hai dovuto scrivere per primo da quando sono arrivato in città circa un mese fa. Sembra che sia stato occupatissimo e ho scritto soltanto due lettere a casa durante tutto questo periodo. Non ho scritto assolutamente ad alcun amico e spero che mi conoscano abbastanza bene ormai per rendersi conto che si tratta soltanto di una pigra noncuranza da parte mia... anche se una pigra noncuranza è abbastanza riprovevole, Dio lo sa.
  Tanto, tanto contento di sapere che verrai a Londra verso Natale. Non vedo l'ora di rivederti e di presentarti a Grigson. Alloggio, come mi sembra di averti detto l'ultima volta che ci siamo incontrati, durante la famosa spedizione Caradoc, con un pittore a nome Janes. Possediamo una vasta stanza in una via tranquilla a South Kensington... a South Kensington, cioè, ufficialmente, ma siamo vicini a Chelsea, Fulham e Brompton. Tutto è piuttosto in disordine, ma se non te ne importa e, non so perché, penso di no, allora vorrei proprio che tu dormissi con noi. Janes resta quasi sempre in casa e si cucina i pasti, ma io consumo quasi tutti i miei pasti scarsi nei ristoranti... scarsi non a causa di un'estrema penuria, sebbene abbia attraversato e attraversi e stia attraversando in questo momento un periodo particolarmente difficile, ma a causa del demone alcool che da qualche tempo è divenuto un amico un po' troppo opprimente e un po' troppo intimo.
  Vieni ad ammucchiarti con noi, eh? Avremo inoltre il sommo piacere di offrirti eccellenti colazioni gratuite. Ti alletta, questo? Ma sì, certo. Sicché, quand'è che verrai, precisamente? Io non torno a casa per Natale, o almeno non credo in questo momento. Il mio libro di poesie uscirà allora e spero di ricavarne quel tanto di denaro che basta per tenermi allegro nei pochi più importanti giorni della settimana.
  Sicché hai recensito l'ultimo esempio di vergine stereo di Edith Sitwell, eh? Non è una donna velenosa, sempre pronta a mentire, a nascondere, a colpire, a plagiare, a citare erroneamente, e sempre una pubblicista letteraria scaltra e sleale quanto mai? Spero proprio che tu abbia fatto rilevare nella tua recensione le vere caratteristiche negative del libro (lo hai fatto, lo so, ma mi piace essere dogmatico)? La maggior parte del libro è stata plagiata da Herbert Read e Leavis, effettivamente e criminosamente plagiata. Ella ha citato erroneamente Hopkins almeno venti volte, e ha riportato molte poesie senza il consenso dell'editore e dell'autore. Sì, quella era la mia poesia, criticata in modo assurdo. Ho debitamente protestato con Gerald Duckworth, il quale ha risposto dicendo di avere ricevuto un così gran numero di proteste analoghe da non poter ancora fare nulla al riguardo. Si spera che dovrà ritirare il libro. Mi piacerebbe leggere la tua recensione.
  Le notizie che vi sono possono aspettare fino a quando ci rivedremo. Fa' in modo che sia presto e non dimenticare di farmi sapere quando sarà. Starai con noi naturalmente.

 

Dylan

 

  Scusa se ho battuto a macchina la lettera, ma ho trovato la penna e l'inchiostro soltanto adesso.