La lettera successiva a Trevor Hughes, il cui amatissimo fratello era morto di tubercolosi e la cui madre era gravemente malata, rivela una volta di più la capacità di Dylan di rispecchiare stati d'animo. L'accenno al cattolicesimo romano dovrebbe essere inteso in relazione all'interesse di Trevor Hughes per le cose spirituali. La zia morente è Ann Jones, e la «fattoria malsana» Fern Hill.

 

a Trevor Hughes
gennaio 1933,
Cwmdonkin Drive 5, Swansea

 

  Caro Trevor,
  grazie per la tua lettera, e scusa la mia, scritta a matita sulla carta peggiore del mondo. Spero in una sola cosa, che sia leggibile. Tu hai senz'altro lasciato che la mente si sbrigliasse, schernendo anche il mezzo meccanico della macchina da scrivere, e scrivendo a penna i tuoi pensieri
erano calati naturalmente in una malinconia più profonda di quanto la mia potrebbe mai essere in una scrittura immacolata. La tua lettera era mirabilmente sincera. Nel mio tempietto d'avorio, immune dai venti e dalle sferzate del mondo, chiuso, se ti piace, alla maniera di Proust nella mia serra, trovo difficile pensare in un modo che non sia cinico e teorico al sangue e alle malattie distruttrici di cui hai una conoscenza così di prima mano. La bellezza, tu dici, emerge dalla sofferenza. Poiché siamo nati nella sofferenza altrui e periamo nella nostra. Ciò, a coloro che hanno sofferto, e che, nonostante le sofferenze, sono ancora capaci di apprezzare e, talora, creare, la bellezza, deve sembrare perfettamente vero. Io non riesco a rendermene conto, in primo luogo perché ho conosciuto ben poche sofferenze fisiche e nessuna vera e propria avversità né crepacuori, e in secondo luogo perché, alla radice di tutto ciò, non riesco a conciliare la vita e l'arte. Ovviamente, uno nasce prima di poter diventare un artista, ma in seguito non ha importanza quello che accade. La consapevolezza artistica esiste o non esiste. La sofferenza non può toccarla. Il senso della bellezza... e che cosa sia questa entità illusiva non ne ho la più remota idea; non è la donna, perché muore. Nulla di ciò che muore è realmente bello... nasce con te o non esiste affatto. La sofferenza non può creare questo senso della bellezza, né può crearlo la felicità, né alcun'altra cosa che tu possa sperimentare. La vera bellezza, ne sarò sempre convinto, risiede in ciò che è indistruttibile, e perciò, logicamente, è ben poco. Ma esiste. Non che quanto tu hai sofferto non ti influenzi profondamente e terribilmente. Non può non sconvolgerti e disilluderti, e portarti, a meno che tu non sia prudente, fino ai margini della pazzia. Ma non toccherà assolutamente in alcun modo tutto ciò che davvero fa di te un artista; la conoscenza dell'effettiva e deplorevole meschinità del mondo e dello splendore invisibile del mondo (non il paradiso con Dio vestito come un diacono, seduto su una nuvola d'oro, ma i luoghi mai visti che formano nubi sopra il cervello). Per quanto tu possa soffrire, il mondo rimane. È soltanto l'aspetto del mondo esterno, e assurdo, a cambiare.

  Le parole sono così ingannevoli. Non esorto a un isolamento monastico, e a un assillo per i luoghi invisibili (vedi, anche il mio facile fluire di immagini consce di se stesse vien meno, ed io rimango con la parola «luoghi» che è del tutto insoddisfacente). Questo è cattolicesimo romano. (Un giorno potrò diventare cattolico, ma non ancora). Devi vivere nel mondo esterno, soffrire in esso e con esso, goderne i mutamenti, disperarti per essi, tirare avanti mediocremente con le routine del guadagno, innamorarti, accoppiarti e morire. Devi far questo. Il vero artista differisce dai suoi simili in questo, che per lui non si tratta dell'unico mondo. Egli ha la luminosità interiore (e questa sembra una frase di D. H. Lawrence o una frivolezza di Dean Inge). I mondi esterno e interiore non sono, lo ammetto, completamente separati. La sofferenza colora i luoghi interiori, e probabilmente aggiunge ad essi bellezza. Altrettanto fa la felicità.
  Ti potrà sembrare strano da parte mia credere in questa filosofia
che, in effetti, è soltanto un lievissimo adattamento della religione cattolico romana. Di rado le mie poesie ne contengono qualcosa. Ecco perché non mi soddisfano. Sono quasi tutte le poesie esteriori. I tre quarti della letteratura mondiale concernono il mondo esterno. Ed è così anche per la maggior parte della moderna narrativa. Una parte di essa, naturalmente, è una pura cronaca di incidenti esteriori. Non che questo debba condannarla. Le più grandi opere d'arte sono forse quelle che conciliano, perfettamente, l'esteriore e l'interiore.
  Non v'è alcunché di nuovo in quanto ho detto. Ma mi è venuto in mente quando ho letto la tua risposta al mio sincero consiglio
evita la morbosità (come non ho fatto io). Tu dici, o almeno lasci capire, che non ti sarebbe possibile a causa delle tue disgrazie terribili. Ed io dico che puoi. La morbosità è malattia, anormalità della salute. Essa non deve avere una grande parte nei tuoi racconti. Potrebbero essere racconti bellissimi in ogni caso. Ma saranno migliori senza. Questa non è una commovente esortazione ad essere inglese, ma soltanto a lasciare che la coscienza interiore tu ce l'hai perché sei un artista da quel poco che ho letto di tuo si sviluppi. «Alza gli occhi tuoi sulle alture».
  Ed ora, quando rileggo ciò che ho scritto, mi rendo conto che v'è nelle mie parole una quantità terribile di presunzione
presunzione intellettuale ed emotiva. Sembra un brano di Chesterton adulterato riveduto da Sir Edward Elgar. Rileggendo di nuovo la lettera dubito della sua sincerità, tale è la natura orribilmente polemica e contraddittoria della mia mente. Dammi un foglio di carta, ed io non posso fare a meno di riempirlo. Il risultato, il più delle volte, è buono e cattivo, serio e comico, sincero e insincero, lucido o assurdo, a seconda delle svolte di quella giostra che è la mia personalità, incominciata dalla parte sbagliata, una mentalità che si è messa a correre prima di saper camminare, e che forse non camminerà mai, che ha voluto volare prima ancora di avere anche soltanto il diritto di pensare alle ali. Domani, tra un momento, potrò credere nel mio interiore ed esteriore bestiale. Potrei credervi anche adesso. Può essere una frode facile e immatura. O ancora può essere l'espressione di una vera fede. Il principe delle tenebre è un gentiluomo. Ma le sue convoluzioni e contraddizioni sataniche non si conformano ad alcuna condizione da gentiluomo.
  Mentre sto scrivendo arriva un telegramma. La sorella della mamma, ricoverata nella Carmarthen Infirmary affetta da cancro all'utero, sta morendo. Si odono molti lamenti in famiglia e la mamma se ne va. La vecchia zia sarà morta prima che lei arrivi. Questo è un episodio abusato nella narrativa, e un episodio che è accaduto innumerevoli volte nella vita reale. L'odore della morte puzza attraverso mille libri e mille case. Di rado io mi sono imbattuto in esso (a parte le inchieste giornalistiche), e lo trovo piuttosto piacevole. Immette un po' di gradito melodramma nella tragicommedia da salotto della mia esistenza priva di eventi. Dopo che la mamma è uscita sono rimasto solo in casa, sentendomi lievemente teatrale. Telegrammi, zie morenti, cancro, specie in una parte del corpo così intima come l'utero, madri disperate e imprevisti viaggi in treno, capitano di rado. Devono essere assaporati opportunamente e goduti nel giusto spirito. Ho trascorso felice molte settimane d'estate con la zia ammalata di cancro nella sua fattoria malsana. Mi amava del tutto smoderatamente, mi dava dolciumi e denaro, sebbene non potesse troppo permetterselo, mi coccolava, mi accarezzava e mi viziava. Scrive
mi domando se non dovrebbe essere già un imperfetto regolarmente. I suoi poscritti sono affettuosi. Mi ama o mi amava ancora, anche se non so perché. Ed ora è morente, o già morta, e tu vorrai perdonarmi il modo di scrivere teatrale. Consentimi il mio momento di dramma.
  Ma la cosa sozza è che non mi sento assolutamente commosso, se non, come ho detto, dal piacevole fetore di morte nelle mie narici negroidi. Non provo davvero il benché minimo interesse per lei o per il suo utero. Sta morendo. È morta. È viva. È tutto la stessa cosa. Mi mancheranno i suoi vaglia postali due volte all'anno. Eppure mi piace... mi piaceva. Mi ama... mi amava. Sono forse, disse, con il suo assillo mellifluo ed egocentrico di diarista per le proprie dannate reazioni psicologiche alle proprie banali faccende, insensibile e perfido? Dovrei piangere? Dovrei compassionare la vecchia creatura? Per un momento sento che dovrei. Deve esservi qualcosa che manca in me. Non mi sento mai, o quasi mai, crucciato per gli altri. È l'Io, l'Io, continuamente. Di rado mi interesso ai sentimenti altrui, tranne quelli dei miei personaggi di cartapesta. Preferisco (a parlare è uno dei mille demoni contraddittori) lo stile alla vita, le mie reazioni alle emozioni anziché le emozioni stesse. Significa questo, riflette, un'assenza dell'anima?
  V'era un certo che di teatrale anche nella tua lettera, un po' dei sogni di porpora dei gialli novanta, le rose rosse del vino, e il cadere finale del sipario sull'ultimo atto. Ed ora vorrei non averlo detto. La qualità istrionica era sincera. La tua risposta alla mia esortazione NON ESSERE MORBOSO bastava a spingermi sotto il tavolo. Continua a scrivere le future lettere altrettanto teatralmente. Dal teatro escono tonnellate di cose buone. Anche questo può sembrare faceto. Non sto deridendo ciò di cui parlavi. È troppo profondo per la platea. I consci di se stessi possono sfuggire, momentaneamente, vestendo di ermellino e di astrakhan i gridi dell'anima loro, e lasciandoli in piedi dinanzi alle luci della ribalta prima che le luci della ribalta si spengano.
  Mi interessa quanto dici del tuo modo di scrivere racconti... l'improvvisa e silenziosa idea venuta in sogno, l'alzarsi della penna, e poi le facce di miserie e orrori del passato che cancellano ogni cosa. Posso capire il motivo per cui la tua produzione è così scarsa. Nella tua lettera dici che potrà ammontare a qualcosa se riusciremo ad aiutarci a vicenda verso, ho dimenticato la tua immagine esatta, il piantare semi nella foresta della letteratura o qualcosa di analogo. Dal mio seggio tra gli antichi, posso, per un momento, scuotermi alcune stalattiti dalla barba gelata, e darti un piccolo consiglio? Ti ho chiesto, in una lettera, di scrivere con le viscere. Lo hai fatto. E naturalmente lo fai nei tuoi racconti. Ma perché, soltanto per alcune volte, non mettere dinanzi a te un foglio di carta, e, senza pensare due volte, scrivere la metà, o un quarto, di tutto un racconto? Non incominciare con un'idea levigata nella quale ogni episodio è già stabilito nella tua mente. Spingi semplicemente una ragazza sulla spiaggia in un giorno d'estate e lascia che costruisca il proprio racconto. Scrivi, scrivi, noncurante di tutto. Il tuo metodo attuale per scrivere racconti
una stesura dopo l'altra, l'interminabile rivedere daccapo può essere paragonato al metodo del tiratore che trascorre settimane e settimane lucidando il fucile, settimane e settimane pulendolo, settimane e settimane procurandosi le munizioni adatte, settimane e settimane prendendo una decisione per quanto concerne il bersaglio, settimane e settimane soppesando il fucile nella mano, settimane e settimane pesandolo in un modo diverso, e, alla fine dell'anno, spara un colpo sul centro del bersaglio. Perché, tanto per cambiare, non sparare un caricatore dopo l'altro con qualsiasi vecchio fucile sul quale tu riesca a mettere le mani? Mancherai il bersaglio centinaia di volte, ma è anche probabile che tu faccia centro parecchie volte. Constaterai che la tecnica del "o la va o la spacca", dello scrivere senza trama, ti aiuterà in misura considerevole a sciogliere la mente e a liberarti di quegli antichi e soffocanti ricordi, i quali possono, a meno che tu non sia cauto, ostacolare il tuo progresso letterario. Ora mi riposo di nuovo la barba sulle ginocchia, e i corvi tornano ai loro nidi.
  Swansea continua ad essere dov'era. Nessuno ha fatto saltare in aria le chiese. Il Comitato di sorveglianza continua a reggersi sulla sua unica gamba e passa tutto attorno da un membro all'altro il proprio occhio di vetro. Vi sono le taverne e i caffè. Vi sono l'ospedale e l'obitorio. Job
l'ho veduto parecchie volte da quando l'ho lasciato ronza ancora alla periferia delle notizie locali come un'ape della Cornovaglia. Il mio amico Dan continua a strappare il suo pauroso accordo alle viscere di un maltrattatissimo pianoforte. Io continuo a scrivere nel modo più futile, contemplando a intervalli periodici il forno a gas con un bagliore desideroso nello sguardo. Mia sorella si mariterà presto. Andrà ad abitare a Londra. Io andrò a stare saltuariamente con lei. Il «London Mercury» non ha ancora pubblicato il mio racconto. Né ho ricevuto in compenso un assegno. Ho appena evitato un processo per diffamazione in seguito a qualche mio articolo scritto a scopo di guadagno per la Northcliffe Press. Un té solitario mi fa cenno dal tavolo.
  Ho tardato molto a rispondere alla tua ultima lunga lettera. Ti prego di perdonarmi e di fare in modo che la prossima tua sia più lunga.


Dylan

 

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Questa lettera, in apparenza scritta a titolo di consiglio a Trevor Hughes, può anche essere interpretata come un'asserzione da parte di Dylan del proprio scopo poetico, in quanto egli prevedeva che di lì a pochi mesi sarebbe partito da Swansea.

 

a Trevor Hughes
9 maggio 1933
Cwmdonkin Drive 5, Swansea

 

  Caro Trevor,
  molti mesi sono trascorsi tra il giorno in cui imbucai la mia lettera che, come tu dici, trovasti stimolatrice di pensiero, e il risultato scritto. Ho davvero una gran voglia di scriverti una lettera superficiale. Tu risponderesti, probabilmente, a giro di posta, dato che quanto più lunga e profonda (?) è la mia lettera, tanto più tempo tu sembri impiegare per rispondere. Fatto questo piccolo rimprovero, che spero non debba mai essere ripetuto, posso ora accingermi a risponderti nel modo più serio di cui sono capace.
  Mi chiedi una critica del tuo racconto, ma preferirei, se per te è lo stesso, e anche se non lo è, criticare l'atteggiamento mentale dietro la stesura del racconto, e non tanto il risultato di tale atteggiamento. Una volta di più sono stato colpito dallo splendore della tua lettera, uno splendore sotterraneo, se vuoi, e troppo vicino all'orlo per poter essere piacevole. Ma uno splendore, ciononostante, di alto livello immaginativo come dicono nei libri di testo. Ma quanto preferisco l'appassionata verbosità della lettera all'inutile verbosità del racconto! Non intendo, anche se potessi, demolire il tuo racconto con un paio di frasi abborracciate. È un brutto racconto, ma questo non ha importanza. Tu sei, e lo sai nonostante la tua sedicente apologia, capace di un racconto di gran lunga migliore. Deve essere insoddisfacente per te quanto lo è per me.
  Questa è la mia tesi fondamentale: Perché, quando puoi, come dimostri nella tua lettera, lottare con gli elementi essenziali della fede e con le idee di fondo dello smarrimento artistico, della morbosità e del disinganno, quando sai scrivere con una penna intinta nel fuoco e nell'aceto, quando hai qualcosa da dire, per quanto possa essere terribile, e il vocabolario con cui dirlo, perdi tempo nelle macchinazioni di una trama allo Stacy Aumonier e negli stati d'animo irreali di un personaggio di cartapesta del quale potresti trovare l'uguale in centinaia di novellette degli «anni novanta»? Perché andare nei caffè, e nei caffè francesi, oltretutto, per le tue trame? Tu non sei realmente interessato alla gente. Dubito addirittura che tu sia uno scrittore di narrativa. Perché andare nei caffè a cercare logore trame, quando le sole cose che ti premano sono il gioco reciproco e antagonistico delle emozioni e delle idee, l'attrito delle sensibilità, le corde cerebrali e nervose, le convoluzioni dello stile, le tortuosità di nuove espressioni?
  La mia tesi si riduce al fatto che il racconto non è il tuo mezzo di espressione. Quale sia il tuo mezzo, non posso fare altro che suggerirlo. È la prosa, senza dubbio, ma una prosa assolutamente non commerciale, una prosa di idee appassionate, una prosa metafisica. Ripeto il consiglio che ti diedi nell'ultima lettera: Scrivi, scrivi, scrivi, con le viscere, con il sudore della fronte, con il sangue delle vene. Non pensare alla guida del signor Potter sul modo di piazzare i racconti, prodotti, a quanto pare, sulle catene di montaggio delle officine Ford. Non starti a preoccupare della lunghezza di quanto scrivi. E non calare di tono, questo è il punto essenziale. Sei calato malamente di tono nel racconto che ho accanto a me mentre scrivo. Hai appiccicato, in seguito a qualche equivoco sulle capacità intellettuali del tuo pubblico, quel finale da rivista sull'inchiesta. Leggi finali del genere nei periodici «Windsor» e «Pall Mall», e persino nel «London Mercury» in un mese vuoto.
  (Ti prego di non pensare che quanto dico sia una canzonatura del tuo lavoro. Sto sinceramente facendo del mio meglio per aiutarti). Sei disceso dalle altezze stigie
un paradosso verissimo del tuo vero stile, che io ho veduto soltanto nelle tue lettere, quando hai fatto dire dai tuoi personaggi pseudofrancesi: «È molto difficile... difficile» [«difficult... difficile» nel testo originale] o altre parole del genere. Se l'aggiunta del termine straniero si proponga di aggiungere atmosfera, o semplicemente di istruire i giovani lettori, non lo so. In ogni modo, è una cosa spaventosa a farsi. Quello che devi fare è metterti a sedere e scrivere, indipendentemente dalla trama o dai personaggi, così come scrivi una lettera a me. Conosci la prosa di Middleton Murry, e la prosa non narrativa di Lawrence. Murry non è interessato alle trame o ai personaggi. Gli premono i simboli del mondo, il mistero e il significato del mondo, gli elementi fondamentali dell'anima. E scrive di queste cose. Le stesse cose che premono a te. Scrivine. Hai uno stile personale come quello di Murry. Murry scrive con una penna sobria, contemplativa, e tu con una penna inebriata. Ma non ha la benché minima importanza. Scrivi un racconto (se devi scrivere racconti) su te stesso in cerca dell'anima tua tra gli orrori della corruzione e della malattia, sui tuoi tentativi appassionati di arrivare a qualcosa che non conosci e non puoi esprimere. (Questo è uno dei pochi modi per conoscere il qualcosa e per esprimerlo).
  Ricordo di averti detto in una lettera di evitare il più rapidamente possibile la morbosità e l'introspezione morbosa. Ora ti dico di scavare, profondamente, profondamente, in te stesso, finché non troverai l'anima tua e finché non ti sarai conosciuto. Questi due piccoli consigli non sono contraddittori. La vera ricerca dell'anima è così lontana nell'ultimo cerchio dell'introspezione da essere fuori di esso. Tu dovrai prima, naturalmente, ruotare su ogni cerchio. Ma fino a quando non avrai raggiunto quel piccolo nucleo rosso e ardente, non sarai vivo. Il numero dei defunti che camminano, respirano e parlano è stupefacente. (Non mi sto dando alcuna pena nella stesura di questa lettera. Tu, dalla vetta della soffocante gloria ove gli dei delle proposizioni incidentali e delle virgole passeggiano sotto la luna esclamativa, potresti essere irritato dai miei sistemi rudi con le parole e la grammatica. Ma quanto più rapidamente scrivo, tanto più sincero sono in ciò che scrivo).
  Non è un consiglio utopistico quello che sto cercando di scodellarti. È tremendamente pratico. Dimentica il «rovescio annientatore» dei moduli di rifiuto, e il «catarro intellettuale». Gettati, piuttosto, a capofitto e audacemente, nella barca di Caronte. E di chissà? La barca di Caronte può voltare in ultimo nel Giordano e purificarti dei mali.
  Parla di un mondo in cui la fatica del pensiero sarà inutile. Scrivine. Parla del tuo «curioso stupirsi della bellezza» e della sua metamorfosi in bruttura; del tuo «crocifisso carbonizzato». Scrivi, scrivi, scrivi. Tu appartieni alla compagnia dagli occhi tenebrosi di Poe e di Thompson; di Nerval e Baudelaire, di Rilke e Verlaine. Sii un Thompson in prosa. Ti lamenti di non possedere il suo genio. Naturalmente non lo possiedi, ma hai le tue rosse scintille di genialità. E non devi consentire alle solite acque stagnanti di spegnerle. Dici di avere il miele. Dici di non avere altro che miele e grigiore. Hai miele e senna. Mescolali, intingi in essi la penna e scrivi.
  Non dimenticare: All'inferno tutte le idee preconcette sul modo di scrivere racconti, all'inferno il mondo degli editori dispeptici e dei moduli di rifiuto, all'inferno gli uomini e le donne di cartapesta. Nel mare di te stesso, come un cucciolo di cane, e portane fuori una perla.
  Ricorda: non sei un altro Aumonier, un altro Manhood, un altro Bullett. Appartieni al gruppo dei pallidi-in-viso le cui lacrime lavano il mondo.
  All'inferno tutto tranne la necessità intcriore di esprimersi e il mezzo di espressione, tutto tranne la grande necessità di sforzarsi eternamente di scoprire questo mistero e questo significato dei quali vado gemendo. Esiste un solo scopo: togliere i veli dall'anima tua e le croste dal tuo corpo. Pervenire alla libertà di se stessi è l'unico scopo. Tu ti avvicinerai ad esso scrivendo come ti ho consigliato
apporta tu stesso le varianti più che scrivendo innumerevoli racconti abili ed eminentemente vendibili. E, infine, non importa un fico se i tuoi scritti saranno pubblicati o no. È meglio un fascio di fogli sui quali ti sei sforzato per qualcosa per cui valeva la pena di lottare, che un racconto in ogni rivista e la fama internazionale.
  Torna nel Galles durante le avversità. Lascia Londra e vieni a Neath. Questo è un consiglio particolarmente pessimo ne sono certo, ma lo scrivo per motivi puramente egoistici... per il desiderio di rivederti e di parlarti, di leggere la tua folle prosa e di farti leggere le mie folli poesie. Tre mesi sono assolutamente troppo lunghi.

 

Dylan

 

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La lettera che segue non richiede chiarimenti, tranne il fatto che Coney Hill è probabilmente un errore e sta per Coney Hatch, un noto manicomio. L'imminente viaggio a Londra fu, con ogni probabilità, anche se non sicuramente, il primo di Dylan. Egli aveva adesso diciotto anni e mezzo.

a Trevor Hughes
luglio 1933,

Cwmdonkin Drive 5, Swansea


  L'altro giorno ho frugato in un mucchio di vecchie carte, e ho trovato l'ultima tua lettera. Rileggendola, ho capito quanto era splendida. Non conosco nulla, in tutte le opere letterarie che ho letto, di paragonabile. Tra la rubacchiata e chiusa, la tediata e strozzata distruttività di tanta parte della letteratura moderna, spicca, supremamente, un gran vento di pessimismo (sebbene non sia questa la parola giusta) tra le scoraggiate scorregge dei piccoli uomini. Poe non ha niente più di te. Lui aveva i suoi corvi, tu hai uno stormo di mostruosi divoratori di carogne. Dimentica il Segugio del Cielo e fai latrare i tuoi segugi infernali. Non vedo l'ora di leggere il tuo seguito a Guts of Melancholia di Burton-Hughes. Se soltanto riuscirò a farti scrivere sempre bene come sai scrivere nella lettera che ho qui accanto, allora farò, per una volta tanto nella mia vita, qualcosa di degno.
  Sto scrivendo questa lettera accanto a una statua di Eco alta sessanta centimetri, che reclina verso di me l'orecchio di marmo, ascoltandomi pronunciare a voce alta queste parole. Rivuoi il racconto? L'ho perduto, e ho perduto uno dei miei nel quale v'erano quattro personaggi... un morto e tre falchi. Era molto bello. Ti sto scrivendo in uno stato d'animo bizzarro, fumando e arrostendomi le dita dei piedi. Ho un mal di capo così forte che è difficile scrivere frasi coerenti. Quando mi viene un pensiero voglio trascriverlo, scorrettamente, in quello che con ogni probabilità è il punto più inadatto. La penna ha incominciato a scrivere «ebano».
  Oh, essere un critico! «Il signor X promette bene. Il capolavoro di questa settimana. Il signor Y non vale niente». Così semplice, nessun fastidio, senza sanguinare per scrivere. Io credo che tu sanguini più di me, che Dio ti aiuti. Ricorda il Worm, [Il Worm che significa «verme» è un promontorio roccioso a Gower] leggi un significato nel suo simbolo... la testa di un serpente che emerge dal mare pulito.
  Pensa questo autocoscientemente. Un mio amico pazzo, a Coney Hill, dice di continuo, così racconta sua zia: «Tenga la mazza diritta, signore». Abbiamo un nuovo manicomio. Guarda bieco la valle dall'alto come un idiota, o come una lumaca, con le due torrette delle cisterne simili alle corna di una lumaca.
  Come è piacevole sentire che posso scriverti qualunque cosa. La tua ultima lettera mi dimostra che capisci, anche se non saprò mai che cosa tu capisca più di quanto conoscerò la risposta alla domanda dello specchio, «Perché questo sono io?» Ricorda... «Non essere morboso». A volte soltanto un verme ti è compagno, la sua grigia voce accanto al tuo orecchio è la sola voce. (Anche di questo potresti ridere. «Opere giovanili». Una spallucciata. Una lieve condiscendenza. I ragazzi diventeranno vecchi).
  Verrò a Londra per quindici giorni, dal primo lunedì d'agosto in poi, alloggiando sul Tamigi presso Nancy, mia sorella, che si è sposata qualche mese fa. Scrivi e dimmi dove posso venire a trovarti, o dove posso incontrarti qualche volta. Potremmo andare ai balletti insieme. O potremmo metterci a sedere e conversare. O semplicemente starcene seduti. A un vagabondo delle spiagge questo piacerebbe.

 

Dylan

 

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Tornato da Londra, trovò la vita a Swansea ancor più soffocante di prima. Nella primavera del 1933 Geoffrey Grigson aveva pubblicato il primo numero di «New Verse», che è forse la più importante rivista del suo genere apparsa in Inghilterra in questo secolo. Fino ad ora, una sola poesia di Dylan Thomas era stata pubblicata a Londra, E la Morte non avrà più dominio, apparsa nel «New English Weekly» nel maggio di quell'anno, ma nessun altro suo scritto serio era apparso altrove. È curioso che a quanto sembra egli non avesse veduto una copia di «New Verse». Le poesie che inviò a Grigson vennero restituite; si ignora quali fossero ma è probabile che siano state pubblicate in seguito nel «Sunday Referee» e altrove.


a Geoffrey Grigson
agosto 1933,
Cwmdonkin Drive 5, Swansea

 

  Caro signore,

  Le mando alcune poesie da esaminare per la pubblicazione in «New Verse», di cui ho letto nel «John O'London's Weekly», uno o due mesi fa. Tra un gran numero di poesie, ho trovato estremamente difficile sceglierne sei da mandarle. In effetti, quelle accluse sono state scelte quasi completamente a caso. Se le giudica inadatte alla pubblicazione e, s'intende, se la cosa la interessa, potrei fargliene leggere altre. Probabilmente ne ho di gran lunga migliori in qualcuno dei miei innumerevoli quaderni.
  Alcune delle poesie accluse sono state scritte a considerevole distanza di tempo una dall'altra, come forse potrà capire. Se il passare del tempo abbia dato luogo a qualche miglioramento, mi riesce difficile dirlo, in quanto mi sono formato, almeno intellettualmente, nella presuntuosa oscurità di una cittadina di provincia, e soltanto in rare occasioni ho mostrato parte del mio lavoro a critici, in genere indifferenti o incompetenti. Se dovesse ritenere opportuno pubblicare una di queste poesie, o trovare in esse meriti sufficienti a giustificare la lettura di altre, mi farebbe un grande favore. Comporre faticosamente versi, siano buoni o cattivi, nell'atmosfera che mi circonda, è deprimente e scoraggiante.
Sinceramente suo,

 

Dylan Thomas

 

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Durante il soggiorno a Londra, in agosto, aveva offerto i suoi versi a Sir Richard Rees, divenuto direttore dell'«Adelphi» dopo Middleton Murry nel 1930; una poesia, Nessuno crede, apparve nel numero di settembre di quel periodico. Ma più importante, sia per la sua carriera come poeta, sia per la sua vita come uomo, fu la pubblicazione di Quel buon senso che conservava nel «Sunday Referee» del 3 settembre 1933. Quel giornale, ormai defunto da tempo, aveva una rubrica intitolata «L'angolo del poeta», titolo in seguito corretto, dietro suggerimento di Dylan, in «L'angolo dei poeti», che conferiva premi ogni settimana alle poesie pubblicate. I premi andavano da mezza ghinea (circa due dollari e mezzo nella valuta americana del 1933) come massimo, a piccoli oggetti quali temperini per le poesie giudicate meno riuscite. Il redattore de «L'angolo dei poeti» era una persona quanto mai eccentrica a nome Victor Neuberg, soprannominata «The Vickybird»; Neuberg voleva creare un cenacolo letterario, e pertanto cercava la compagnia di giovani poeti di entrambi i sessi. La migliore poetessa di cui avesse pubblicato i versi prima che apparisse la prima poesia di Dylan era Pamela Hansford Johnson, che doveva diventare nota come romanziera. Aveva due anni più di Dylan. Quando la poesia di lui fu pubblicata, ella scrisse dalla propria casa di Londra per congratularsi. La risposta di Dylan deve essere stata scritta pochi giorni dopo il dieci settembre. È tipico che egli abbia aggiunto due anni alla sua età: a quell'epoca si vergognava della propria estrema giovinezza. «Blaen-Cwm» era la dimora del fratello di sua madre, Tom Williams, un piccolo cottage tra Fern Hill e Llanstephan.

 

a Pamela Hansford Johnson
metà settembre 1933,

Blaen-Cwm, Llangain, presso Carmarthen


  Incominciare questa lettera così come faccio, elimina la necessità di ricorrere al formale «signora», al freddo «Miss Johnson» (alquanto ambiguo, ma del tutto involontariamente), e all'impudente «Pamela» (anch'esso ambiguo, anch'esso involontariamente). Elimina un ostacolo del genere nel suo caso.
  Se è «raccapricciante» rispondere alle lettere, allora io sono un perfido demone quanto lei. Rispondo spesso, nella scrittura scarabocchiata e senza carattere che Dio e un'istruzione modesta mi hanno dato.
  Sia detto di sfuggita, quando risponderà alla presente
e che sia a lungo e presto non scriva al sopraindicato indirizzo. È soltanto un cottage molto poetico ove trascorro a volte i week-end. Risponda al mio laido indirizzo provinciale.
Grazie per le poesie. Il signor Neuberg le ha fatto un grande e quasi meritato complimento. «Una delle poche squisite artiste mondiali dei nostri giorni», richiede poche lodi o critiche da parte mia. Ma, ciononostante, devo complimentarmi per L'usignolo, di gran lunga la migliore delle tre. Paragonarla con Poesia marina per G, uno degli esempi più perfetti di versi maledetti che abbia mai letto e con altre poesie del Referee, è come paragonare Milton a Stilton. Mi piacciono le altre due poesie che mi ha inviato, ma non altrettanto, e la prima strofa di Prothalamium non mi piace affatto. Troppi aggettivi, troppo zucchero. E i versi quinto e sesto sono un puro cliché. «Scrivo con il cuore», diceva il personaggio di un romanzo che ho dimenticato. «Scrive
era la risposta con le budella e dopo un forte emetico». Non che io applichi questa frase volgare a Prothalamium; la cito non per la poesia ma nel suo interesse.
  Naturalmente lei non è una matura vergine. Ma lo sono molte delle collaboratrici all'Angolo del poeta, ed è meglio corteggiare la luna in mancanza d'una migliore compagna di letto. Non posso essere d'accordo con lei che la maggior parte delle poesie pubblicate sono buone. Tranne poche eccezioni, sono pessime fino alla nausea. Lei è tra le eccezioni, naturalmente. Ricorda una poesia intitolata 1914 stampata un paio di settimane fa? Ricorda la Poesia marina"? Ricorda quei pochi versi diabetici su un gatto abissino? Che cosa ha pensato di Albero azzurro della gomma della settimana scorsa? Questo è un vero esame di gusto. Se le piacciono quei versi, le piace tutto. Sarebbe difficile rendersi conto del numero di persone bluffate e indotte a credere che l'Albero azzurro della gomma sia una buona poesia. La sua scomposta mancanza di forma vorrebbero chiamarla «moderna», lo stile «aspro ma efficace», e alcuni dei singoli versi, come ad esempio «II tessuto d'argento su una balaustrata bianca» possono farli cadere in una sorta di pittoresco rapimento. In realtà l'assenza di forma è il risultato di una completa incapacità prosodica, lo stile non è nemmeno fatto su misura ma già confezionato, e i versi «pittoreschi» sono come volgari chiazze vermiglie sul fondale di un music-hall di decimo ordine. Nella interessantissima copia che lei mi ha inviato del primo Angolo del poeta, si spiega che, qualora, nel corso di una settimana, non venisse ricevuta alcuna poesia, si pubblicherebbe il verso migliore. Questa sarebbe una cosa perfettamente giusta se accadesse. Ma il pretenzioso attribuire il merito di poesia «artistica» a filastrocche (nemmeno a versi) è troppo.
  Per gli stessi motivi ho obiettato a «Angolo del poeta» come titolo. Vi è stato un tempo in cui soltanto i poeti erano chiamati tali. Ora chiunque abbia una conoscenza insufficiente della lingua inglese, un sentimento alla Maria Gorelli, e un paio di immagini «vivide» da spargere sui versi, viene chiamato poeta. Non può nemmeno lasciare i propri escrementi in un luogo privato. Gli danno un «Angolo» pubblico in cui lasciarli (una metafora volgare! Spero che non se ne dispiaccia).
  Questo non è in alcun modo un attacco prevenuto o personale. Sono i principi generali della cosa dei quali mi piace servirmi come di Zie Sally [«Aunt Sallies», giochi nelle fiere in cui i giocatori lanciano bastoncini contro la pipa in bocca a una testa femminile di legno]. Prego Dio di non essere anch'io «artistico». Fisicamente pacifista e mentalmente militarista, non so resistere alla tentazione di colpire
anche se si tratta di un colpo a un cavallo morto quando tutto ciò in cui ripongo la mia fede viene completamente contraddetto. Ho riposto la mia fede nella poesia, e troppi poeti la negano.
  Per tornare alla sua poesia (deve scusare il mio lieve atteggiamento da oratore di strada): dimostra una passione tremenda per le parole, e una reale conoscenza delle stesse. Il suo dominio della forma e il modo con il quale si serve del metro sono tra i migliori che io conosca oggi. E
la cosa essenziale i suoi pensieri sono degni di essere espressi. Ha scritto molto? Quando scrive? Mi interessa sapere ogni sorta di cose di questo genere, e leggere qualcos'altro.
  A piacermi delle sue poesie è che affermano e non contraddicono, che creano e non distruggono. Poesie su poesie, che descrivono, con particolari nauseanti, le pieghe nell'ombelico dell'autore, riempiono i giornali contemporanei, poesie su poesie che descrivono, non troppo chiaramente, il caos odierno. Dal caos non ricavano nulla, ma, esse stesse parte della carneficina postbellica, scompaiono come soldati morti. Un gran numero di nuovi versi (conosce «New Verse»?) possono essere così compendiati, «Bene, c'è stata una guerra del diavolo, ci ha lasciati nei guai, che diavolo faremo al riguardo?» La risposta è abbastanza ovvia. Ma vale la pena di scriverne? No, risponde lei a voce alta, o almeno io lo spero. Lei non è così, e il suo solo «non-essere» vale tutti i superlativi che conosco.
  Sicché ha la mia stessa età. Dice che v'è abbastanza tempo dinanzi a noi, anche, per rimpiangere la propria immodestia. Quanto più penso alla mia poesia del «Referee», tanto meno mi piace. L'idea di me stesso, seduto sul davanzale della finestra aperta, in camicia, e intento a immaginarmi un Jehovah dell'Occidente è davvero bizzarra. Se fossi un Apollo sarebbe diverso. In realtà sono una persona piccola di statura con molti capelli arruffati.
  Accluse a questa lettera troverà due mie poesie. Gliele mando per dimostrarle, o nella speranza di dimostrarle, che posso fare molto meglio di quanto lei crede in base a quanto ha letto di mio. Sia detto di sfuggita, farò bene a dire che la poesia che comincia «Nessun cibo basta», è, sebbene completa di per sé, il lamento di una donna da un dramma sfortunatamente incompiuto. Ritengo di dovervi accennare; i riferimenti della poesia calunnierebbero altrimenti la natura del mio sesso. La seconda poesia potrà non piacerle affatto, è nettamente fuori moda.
  Dopo il mio violento sfogo contro i poeti del «Referee», lei leggerà probabilmente le mie poesie con occhio severo e prevenuto. Spero che non sia così e spero che le piacciano. Le piacciano o no, me lo dica.
  Posso tenere ancora per un poco i suoi versi?

 

Dylan Thomas


  PS. La poesia della Donna sarà pubblicata nell'«Adelphi». Non so resistere alla tentazione di aggiungerlo, perché la rivista mi piace moltissimo. La poesia su Gesù verrà stampata probabilmente in «Criterion» di T. S. Eliot, sebbene, di norma, il «Criterion» non pubblichi alcun verso metafisico. Accenno al «C» per la stessa ragione per cui accenno all'«A».

 

  PPS. Mi trovo, come vede, nel Carmarthenshire e ho dimenticato di portare con me il suo indirizzo. Spero di essere fortunato e che il 12 sia il numero giusto. Se lo è, leggerà questa spiegazione, se non lo è, no. Sicché era del tutto inutile scriverla. D. T.

 

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Nella nutrita corrispondenza che segue, e che continuò per più di un anno alcune lettere di Dylan sono datate e tutte quelle di Pamela sono andate perdute. Questa, probabilmente, è la seconda lettera di Dylan diretta a lei. David Gascoyne era un poeta surrealista della stessa età di Dylan, il Wunderkind suo rivale a quei tempi. Cold Comfort Farm di Stella Gibbons fu una parodia che riscosse un successo immenso del roinanzo rusticano... in particolare di quelli di Mary Webb. Runia Tharp era la principale assistente di Neuberg per la rubrica «L'angolo del poeta», e risiedeva a Steyning.

 

a Pamela Hansford Johnson

non datata, probabilmente settembre 1933

Cwmdonkin Drive 5, Uplands, Swansea

 

  Grazie. Sarei stato molto spiacente se non avessi imbucato la cartolina. Gli sfoghi reciproci di un eccentrico e di una romantica (non vi sono dubbi su chi sia una cosa e chi sia l'altra) sarebbero stati perduti per i posteri; le credenze e le convinzioni, destinate a mutare man mano che gli anni cambieranno noi, ma che sono ciononostante sincere, sarebbero rimaste inespresse, insulti e complimenti, giudizi frettolosi, saggezze e assurdità, non sarebbero stati detti; e un'amicizia notevolmente bella si sarebbe rotta quasi prima di cominciare. Anche adesso dodici pagine sincere stanno adornando i sensi di un sovraintendente alle Lettere Smarrite, e tre sincere poesie giacciono sotto il guanciale del figlio di qualche postino nelle profondità di Llangyfellach o Pwllddu. (Anch'io non conosco una parola di gallese, e questi nomi sono terrificanti per me quanto per lei).
  Che cosa ho perduto con la sua lettera? Tre poesie, dodici pagine appassionate di affermazioni e di dinieghi, un pensiero su Shakespeare e un singhiozzo per Sigfrido! Buon Dio, e tutto per tre pance e mezzo.
  Vi sono tante cose di cui parlare nella sua ultima lettera, da approvare e da contestare con la massima violenza, che devo accendere una sigaretta e poi, con mano ferma e con la mente più o meno paga, affrontare i vari punti in ordine, dall'inizio all'ultima curva dell'ultima lettera del totalmente mutile «Johnson».
  1. Mi fa piacere che non sia contagiata dalla stupidità come me. Avrei continuato per mesi senza mai scrivere il suo nome, evitando consciamente un gesto così comune di amicizia come chiamarla Pamela, o Pam, o comunque debba chiamarla. Il mio insolito nome
per qualche pazza ragione viene dai Mabinogion [Quattro racconti gallesi del secolo XIII] e significa «principe delle tenebre» fa rima con «Chillun», come lei fa osservare. Non so con che cosa faccia rima Pamela, se non con il modo molto colto di pronunciare «family» e per conseguenza non posso risponderle con un piccolo distico.
  2. Il Vicky-Bird, senza alcun dubbio appartenente alla famiglia dei pappagalli, sembra non apprezzare quello che gli abbiamo inviato la settimana scorsa. Ma d'altro canto io ho sempre detto che il suo gusto era abissale. Gli ho mandato una brevissima e oscura poesia con un verso indecente. Che cosa gli ha mandato lei per essere così ignominiosamente posta tra i cavalli affetti da spavento? Una brevissima e oscura poesia con due versi indecenti? No, non posso crederlo. Egli non vuole assegnare troppi premi alle stesse persone, per principio. Deve pubblicare a volte i lavori di altri, e spargere il vomito in modo uniforme e uguale sulle pagine. Miss Gertrude Pitt deve dar prova della propria tempra, che per me è latta arrugginita; e il signor Martineau deve rappezzare il proprio cuore infranto con una canzone sentimentale.
  3. Sono sulla scia di Blake, ma così indietro rispetto a lui che soltanto le ali dei suoi calcagni rimangono visibili. Ho scritto da quando ero un ragazzetto, e sono sempre stato alle prese con le stesse cose, con l'idea della poesia come un che di completamente distaccato da prodezze come la «pittura verbale» e dall'esposizione di sentimenti delicati, ma consueti, con poche parole ben scelte. Non deve esservi alcun compromesso; esiste sempre l'unica parola giusta: occorre servirsene, nonostante le sue associazioni sconce o semplicemente comiche; io ho adoperato «double-cros-sed» perché era quanto intendevo dire. Fa parte del compito di un poeta prendere una parola corrotta e prostituita, come la bellissima parola «biondo», ed eliminare le rughe della sua dissipazione e rimetterla sul mercato, fresca e vergine. Neuburg ciancia di certe regioni non settarie nelle nubi in cui la poesia raggiunge le sue massime altezze. Ma guasta tale verità aggiungendo che l'artista deve, necessariamente, predicare il socialismo. L'artista non ha alcuna necessità di fare qualsiasi cosa. Tale necessità non esiste. Egli è una legge di per sé, e la sua grandezza o la sua modestia salgono o scendono in base a ciò. Non ha che un limite, ed è il più ampio di ogni altro: il limite della forma. La poesia trova la propria forma; la forma non dovrebbe mai essere sovrapposta; la struttura dovrebbe emergere dalle parole e dall'espressione delle parole. Io non voglio esprimere soltanto ciò che altre persone hanno sentito; voglio lacerare qualcosa e mostrare quanto non hanno mai veduto. A causa dell'inclinazione che v'è in me, non sarò mai un ottimo poeta: mi limiterò a inoltrarmi tra le prime onde, affondando le mani più profondamente per poi toglierle di nuovo dall'acqua.
  Ma anche questo, per me, è meglio che costruire strutture ornate alla perfezione con la sabbia. Per cambiare immagine, l'una è una avventura breve in solitudini desolate, e l'altra una piccola galoppata su un lembo curato di terra.
  4. Mi scuso per Nessuno crede, ma davvero non credevo che fosse oscura. La capivo così perfettamente, ma con ogni probabilità ero il solo a capirla. E anche questo non è grammaticale.
  5. Ma perché Wordsworth? Perché citare quella putrefazione? Shelley posso sopportarlo, ma il vecchio Padre William era una capra umana con l'ossessione panteistica. Non aveva in sé una scintilla di misticismo. Come sarebbe potuto essere un metafisico? La metafisica è semplicemente la struttura della logica, dell'intelletto e della supposizione su una base mistica. E il misticismo è illogico, non intellettuale e dogmatico. Citi Shelley, sì. Ma Wordsworth era uno scocciatore dell'ora del té, il grande Frost della letteratura, il cronista verboso, incapace di umorismo, banale, della Natura nei suoi aspetti più spenti. Lo apra a qualunque pagina: ed ecco che là giace la lingua inglese, non, come disse George Moore di Pater, in una bara di vetro, ma in una grossa cassa, afosa e antigienica. Senza viscere e senz'anima. Lo sorprenda negli stati d'animo malinconici, mentre passeggia sulle colline con un narciso premuto contro le labbra e le maglie invernali che gli solleticano il petto. Lo sorprenda negli stati d'animo pomposi, gli stati d'animo tipo Verginità e Victoria, con la sua assenza di umorismo dal passo pesante che insegue un dogma arbitrario lungo un vicolo cieco pieno d'ossa spezzate di parole. Ammetto che l'Ode all'Immortalità è migliore di qualunque cosa abbia mai scritto (eccezion fatta per il credo panteistico espresso in Tintern Abbey); tra la mediocrità e l'assoluta assenza di valore fa spicco come un capolavoro; ma, giudicata dalla prospettiva giusta, secondo il metro di Shakespeare, Dante, Goethe, Blake, John Donne, Verlaine e Yeats, non è più che moderatamente buona. Tutto ciò che dice era già stato detto prima e meglio, e tutto è incapace di dirlo. Cerchi di raschiar via l'alone della fama e la bruma della venerazione che le sono cresciuti attorno; cerchi di dimenticare il fatto tanto strombazzato che egli è un mistico inglese: e la vedrà piena zeppa di cliché, di ridicole inversioni di discorso e pensiero, di tutti i trucchi del mestiere dello scrittore di versi privo di originalità, il cui bluff non è ancora stato visto. Pongo accanto ad essa le poesie di Matthew Arnold e penso quale scroscio deliziosamente forte produrrebbero le une e l'altra se le lasciassi cadere nel fiume.
  Forse può arguire che Wordsworth non mi piace. Sono dolente, ma egli è uno dei pochi «accettati» che io rifiuto assolutamente di accettare in qualsiasi modo. Questa è la mia tesi importante per quanto lo concerne, in breve: Scrive di misticismo, ma non è un mistico; descrive ciò che si sa hanno sentito i mistici, ma lui personalmente non sente niente, nemmeno un doloretto al collo. Avrebbe potuto benissimo scrivere la sua ode sotto forma di trattato: II misticismo e i suoi rapporti con la mente giovanile. Soltanto a titolo di esperimento, lo rilegga tenendo presenti le mie opinioni contrarie. In un giorno sono passato dall'amore all'odio per Swinburne. È sufficiente.
  6. Anche a me piacerebbe conoscerla. La cosa è possibile, ma non prima dell'inizio di settembre, quando andrò a far visita a mia sorella vicino a Chertsey.
  Non si aspetti troppo da me (è vanitoso supporre che sia così); sono una bizzarra piccola persona. Non immagini il grande scrittore dalla forte mascella che cogita sul suo ultimo capolavoro in uno studio di quercia, ma una creatura magra, curva, piccola di statura, che fuma troppe sigarette, con un polmone malandato, e scrive i suoi vaghi versi nella stanza di servizio di una villa provinciale.

 

[...]


  8. Ho sentito tanto parlare di Cold Comfort Farm che dovrò acquistarlo. Sembra incredibile. Non c'è in esso una Grandma Doom che una volta vide qualcosa di spaventoso nella legnaia?
  9. Gli episodi a Steyning sono quasi troppo belli per essere veri. La signora Runia Tharp! Ho mormorato i nomi magici per tutto il giorno. Basta con Runia, e spero che vorrà scusarmi. Non badi affatto a quanto le dicono gli spacconi intellettuali. Dica loro che nel suo dito mignolo v'è più di quanto essi abbiano nei loro cervelli pieni zeppi di nozioni.
  10. Ma, per amor di Dio, non difenda più i botoli letterari del «Sunday Referee». Mi sto ripetendo, lo so, ma considero i versi pubblicati (tranne pochissime eccezioni
lei, in particolare) mazzolini di fiori per scolarette colti nel giardino di una vergine, e il voltolarsi alla saccarina di quasi-scolaretti nelle budella di una musa castrata. Anche le carrozzerie Bentley che coprono i motori Ford sono malamente ammaccate. Vorrei portare ancora oltre l'immagine e dire che lo chassis è ricavato da un mucchio di parti di ricambio scartate. Neuburg indulge a un orrido compromesso: tra il modo di vedere del romantico e del teorico, il passo affettato di « colui che apprezza e manda a mente un verso e un passo memorabile», e il pavoneggiarsi trionfante del teorico dogmatico. In effetti, il compromesso tra Birra e Niente Birra. Il risultato è un'ebbrezza parziale... la sua musa non è mai abbastanza ebbra per poter essere realmente emotiva e non è mai abbastanza esente dall'ebbrezza per essere davvero intellettuale.
  11. La prego di non battere di nuovo a macchina le lettere; le parole più calde sembrano gelide.
  Ed ora, anch'io, devo terminare, non per un qualsiasi appuntamento d'affari, ma perché credo di avere scritto anche troppo. Adesso tocca a lei. Vi sono molte cose di cui voglio scriverle, ma andranno bene la prossima volta. Aspetterò una lettera molto, molto presto... e lunga quanto la mia.

 

Dylan

 

PS. Tre poesie per lei. Mi dica se le piacciono o no. E perché. Io farò lo stesso se me ne manderà alcune. La poesia Conversazione è molto violenta, come vedrà, la poesia Mosè molto romantica, e l'altra nel mio stile più consueto. Scelga lei, signora.

 

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Datiamo lettera che segue ottobre 1933, ma soltanto in base ad esili indizi. Night and Day si riferisce ovviamente alla celebre canzone di Cole Porter che era il successo dell'anno. Che cosa significhi «Sabato del castano», ci è ignoto.


a Pamela Hansford Johnson
Ottobre? 1933

Swansea

 

Notte e giorno: Un ritmo provinciale

 

  Alle nove e mezzo v'è un lieve riscuotersi nel corpo di Thomas, una palpebra vibra, un braccio trema. Alle dieci meno un quarto, o all'incirca, la colazione, consistente in una mela, un'arancia e una banana, viene portata accanto al letto e lasciata li insieme al «Daily Telegraph». Circa cinque minuti dopo, il corpo si solleva, si guarda attorno ciecamente, e, tendendo un debole braccio, si porta la mela alla bocca. Il risveglio viene conseguito tra un morso e l'altro, e, nel corso dell'ormai più o meno chiaro minuzioso esame del frutto le ragnatele dei sogni della notte vengono ricordate e sbrogliate. Poi, sempre debolmente ma con un'accresciuta sicurezza di tocco, la banana viene sbucciata e il giornale viene aperto. All'ultimo morso mi sono impadronito completamente del corpo di Thomas e leggo le cronache dei processi penali a pagina tre con somma concentrazione. L'arancia, sia detto di sfuggita, non viene mai toccata finché non scendo al pianterreno, il processo di sbucciarla e di toglierne i semi essendo troppo lungo e freddo per quest'ora del mattino. Quando le notizie sugli stupri, le frodi e gli assassini sono state assimilate a fondo, accendo una sigaretta, molto adagio riappoggio il capo al guanciale, & poi, senza alcun preavviso, salto fuori tutto a un tratto dal letto, mi strappo di dosso il pigiama, mi infilo in una maglia di lana e in un paio di calzoni, e corro, come se i demoni dell'inverno fossero alle mie calcagna, nel bagno. Là, tenendo la sigaretta tra le dita, raschio la barba dalla mia faccia e passo qua e là una futile spugna. E poi al pianterreno, ove, dopo un'altra sigaretta, mi metto a sedere davanti al fuoco e comincio a leggere, a leggere qualsiasi cosa a portata di mano, poesia o prosa, traduzioni dal greco o «Film Pictorial», un nuovo romanzo di Smith, un nuovo libro di critica, o un vecchio testo prediletto come Grimm o George Herbert, qualsiasi cosa al mondo, purché stampata. Continuo a leggere fino a mezzogiorno o press'a poco, quando ho letto magari un quarto di romanzo, un paio di poesie, un racconto, un articolo sull'apicoltura nell'Alta Slesia, e la recensione di qualcuno che non ho mai sentito nominare, di una commedia che non vorrò mai vedere. Poi giù per la collina negli Uplands... un basso insieme di incroci e di negozi, per andare a bere una (o magari due) pinte di birra all'Hotel Uplands. Quindi a casa per il pranzo. Dopo pranzo torno a ritirarmi accanto al fuoco ove forse leggerò per tutto il pomeriggio... e leggerò una gran quantità di tutto, o continuerò una poesia o un racconto lasciati incompiuti, o ne comincerò un altro, o comincerò ad abbozzarne un altro ancora, o aggiungerò una nota a una lettera diretta a lei, o batterò a macchina qualcosa di già terminato, o mi limiterò a scrivere... a scrivere qualunque cosa, tanto per lasciare che le parole e le idee, le immagini ricordate per metà, per metà dimenticate, rotolino sui fogli di carta. O forse esco, trascorro il pomeriggio passeggiando solo sui desolatissimi dirupi di Gower, in comunione con il freddo e con il silenzio. Chiamo questo, condurre i miei demoni a prendere aria. Ciò mi porta fino all'ora del tè. Dopo il tè leggo o scrivo di nuovo, casualmente come prima, fino alle sei. Poi vado a Mumbles (ricorda la donna di Mumbles Head), un villaggio alquanto simpatico, nonostante il suo nome, proprio sulla riva del mare. Prima mi reco al Marina, poi all'Antilope, poi al Sirena. Se c'è una prova, me ne vado alle otto e mi dirigo al Little Theatre, opportunamente situato tra il Sirena e l'Antilope. Se non vi sono prove, continuo ad avere stretti rapporti spirituali con queste due creature leggendarie, e, il più delle volte, ad avere discussioni metafisiche con un beone chestertoniano (ieri sera si è trattato dell'Esistenza o l'Essere), che a quanto pare si guadagna bene da vivere disegnando esigui e osceni costumi per le riviste provinciali. Poi un tragitto di quasi cinque chilometri fino a casa per la cena e magari altre letture, a letto, e senz'altro scrivo ancora. Così passa una giornata media. Non una giornata molto inglese. Troppe riflessioni, troppi discorsi, troppo alcol.

 

  Siamo entrambi schiavi dell'abitudine. Non chiedo che nessuno di noi due sia grande e che possiamo mai aspettarci di essere grandi poeti (anche se, senza dubbio, lei è un po' più grande di me tisicamente). Dobbiamo entrambi concentrarci sul profondo. Un'altra giornata media (descritta più sopra) è trascorsa. Me ne sto seduto a letto, un po' brillo, con un foglio bianco di carta sul piumino davanti a me. Ma non una parola vuole venire. La carta è coperta da una divinità di pensieri, ma rimane nuda come le mani che la tengono. Il fumo della sigaretta mi ricorda molte cose.
  Spegnerò la luce e penserò cose vane e assurde e impossibili finché non mi addormenterò.

 

Sabato del castano

 

  Molto disgraziatamente, la sua esilarante storiella del Don Giovanni mentale mi era nota (e perché il mio inglese non mi consenta di dire «Conosco la storiella dell'uomo al bar» non so immaginarlo). La storiella migliore che io conosca è lunghissima, raccontata con il più spiccato degli accenti gallesi, e concerne Marged Ann e il Vicario, ma è molto volgare e perderebbe, temo, quasi tutto quel poco sapore che ha se venisse scritta. La terrò in serbo per raccontargliela come una speciale ghiottoneria, sebbene, di nuovo, non riesca a immaginare perché dovrebbe essere una speciale ghiottoneria per lei ascoltare una storiella oscena raccontata da un piccolo gallese in anglo-gallese.

 

Soltanto un pensiero

 

  Ogni uomo pensante vale a dire ogni uomo che fa crescere, su una struttura della tradizione, i semi della propria rivoluzione e ogni artista vale a dire ogni uomo che esprime questa rivoluzione servendosi di un mezzo artistico formulano a poco a poco una serie di leggi del vivere, alle quali possono aderire o no. Queste leggi emergono adagio nella mente individuale, e sono promosse dall'esperienza mentale e fisica. Non entrano nel cervello come leggi ma come materiale grezzo del pensiero; è il cervello a esplorarle, a trovare quel che v'è di degno in esse, e poi a dogmatizzarle. E questo è semplicemente giusto. Io ho teorie sull'arte della poesia, e queste teorie come lei, povera vittima di tante mie assurdità teoriche, sa... sono ovviamente dogmatiche. Queste teorie sono entrate nel cervello come impressioni. Leggendo Wordsworth, ho avuto l'impressione che, sebbene egli parlasse di misticismo, non fosse un mistico, ma soltanto un moralizzatore. In seguito ho stabilito questa impressione come un dogma, o meglio come due dogmi: i principi morali sono le guarnizioni imposte intorno al dubbio inerente, e: mistico è l'uomo che prende le cose alla lettera. Tutte le teorie vengono formulate in questo modo. E questo, anche, è soltanto giusto, poiché soltanto con questo metodo l'individuo può aver parte nella formazione della sua vita spirituale e mentale. Non mi piace la carne, non amo uccidere, per conseguenza formulo la mia legge: È ingiusto mangiare carne. Così sono state formulate tutte le leggi del mondo. Le parole che Gesù disse furono soltanto le sue impressioni tramutate in leggi. Rémy de Gourmont ha definito una costruzione del genere il principio della critica, e, una volta di più, io sono d'accordo, perché Gesù fu un critico più di qualsiasi altra cosa; gli fu dato Dio da leggere, lesse Dio, Lo capì, Lo apprezzò, e poi, severo nel proprio dovere di critico, decise che la sua missione nella vita era quella di spiegare Dio ai propri simili.
  Dio è la regione dello spirito, e a ognuno di noi è concesso un piccolo tratto di terra in quella regione, ed è nostro dovere esplorarlo per ricavarne con questa esplorazione certe impressioni, per stabilire come leggi le più preziose di tali impressioni, e, quanto più ci è possibile, per attenerci ad esse. È nostro dovere criticare, perché la critica è la spiegazione personale della valutazione. Sebbene un uomo possa odiare il mondo, egli lo valuta ugualmente, e il suo odio è valido quanto il mio amore; può odiarlo per la sua , follia, ed io lo amo per questo; può odiare l'intera umanità come io odio il sistema sociale che la sta portando alla sodomia; può odiare il dolore, come io credo nel dolore. Ma siamo entrambi critici della vita, per quanto fuorviati. L'uomo che odia e l'uomo che ama sono giustificati, ma non v'è posto nella regione dello spirito per l'uomo che accetta, o non accetta, senza odio o amore.
  L'odio e l'amore, in fin dei conti, sono quasi la stessa cosa; un colpo può essere un bacio dal ciclo, e un bacio un colpo dall'inferno.
  Sto scrivendo questo alla finestra. Fuori nel gelo vedo la struttura del ciclo. Sì, la struttura del cielo, il vasto e grigio erigersi dal margine del qui al margine del nessun luogo. Sì, l'erigersi del cielo, perché il cielo è più di un dogma religioso ricavato da un'impressione celestiale.

 

«E se tu vuoi, ricorda,
E se tu vuoi, dimentica»

 

  La sua ultima poesia mi ha chiarito con certezza una cosa: la sua alleanza con la scuola dei poeti preraffaelliti e con Christina Rossetti, la migliore preraffaellita di tutto il gruppo, in particolare. Ma forse lei considererà poco complimentosa la parola «alleanza», quindi mi consenta di dire e questo è senza dubbio un complimento che lei è la sola scrittrice a me nota fino ad oggi la quale possa essere considerata sulla vera scia preraffaellita. Di nuovo, questo non è per dire che qualcosa nel suo lavoro non le appartiene, in quanto, soprattutto, esso è un'espressione personale; ma i meriti di quella particolare scuola, non più di moda e mal giudicata, sono dimostrati molto chiaramente nelle sue poesie. E, aggiunto a questi meriti, v'è il suo innegabile gusto (una parola, spero, alla quale non vorrà eccepire), la sua gioia di vivere e di esprimere, e la sua incessante fecondità di emozioni naturali. Il suo verso è angusto, ma sembra trattarsi di un'angustia deliberata, che non ne distrugge in alcun modo l'intensità. È certo che lei evolverà, ne sono sicuro, verso un'accresciuta sottigliezza ed elusività. Christina Rossetti è troppo poco nota, tranne che per alcuni dei suoi versi moralistici; aveva la più delicata padronanza del ritmo, come l'ha lei quando se ne prende la pena, un senso delicato dei suoni delle parole, e un'abilità tecnica estremamente capace, che non sembrava mai elaborata grazie alla sua semplicità; anche lei possiede tutte queste doti. Ma è la prospettiva della vita che aveva la Rossetti a interessarmi più di ogni altra cosa: dolce, piccola e angusta, delicata fino ad eludere. Anche queste sono quattro delle sue qualità, ma mentre Christina Rossetti rimaneva così spesso irretita in ragionamenti semi-teologici, era probabilmente troppo virginea per guardarsi allo specchio, e si sentiva, per sua stessa ammissione, disgustata dal suono delle risate, lei ha uno stupefacente senso dell'umorismo (non sto ammonticchiando complimenti, prego, cerco di fare una specie di valutazione), e una vitalità che quell'altra incantevolissima donna non possedette mai. Walter de la Mare deve molto a Christina, e se v'è una qualsiasi classificazione da fare, io collocherei lei e de la Mare, quel poeta dubbioso, nello stesso casello, e vi scriverei «Sottigliezza e sensibilità. Deperibile. Maneggiare con cautela». Lei è giovane, abbastanza giovane per diventare più sottile e più sensibile, per confidare molto di più nel suo senso dell'armonia e per produrre una poesia che si leverà molto più in alto del canto anche dei migliori lirici d'oggi.
  Il Re muore non mi sembra una buona poesia, ma è una poesia promettente; non è abbastanza sottile, sia nel ritmo, sia nel gioco delle vocali; ma è una poesia in quella che io ritengo essere la direzione giusta per lei; punta verso il progresso che lei dovrà compiere. La preferisco quando è più personale di così, quando non ha dietro di sé alcun pensiero-guida, ma piuttosto quando si trova in fase di scelta
quando sceglie cioè le immagini in modo che si adattino ai suoi particolari stati d'animo, e sceglie i suoi pensieri in modo che si adattino a tali immagini. La sostanza della sua poesia è sempre esile, e in Il Re muore l'esilità è troppo poco riscattata dalla sottigliezza di espressione. Io non credo che vi sia alcuna necessità da parte mia di addentrarmi nei particolari; tutto ciò che ho da dire l'ho detto in questa nota, e può sembrare che non abbia detto nulla. Ecco perché ho premesso alla nota una citazione della stessa Rossetti.
  Lasci stare gli agnellini, o, come minimo, non se ne serva mai a meno che non possa prenderli alla lettera, vale a dire liberandosi di tutte le loro associazioni, o a meno che non possa costruire intorno ad essi associazioni nuove e degne. Ma non si preoccupi di questo per il momento; continui a scrivere, ma con una cautela ancor maggiore; sottoponga ogni sillaba a un esame approfondito; non abbia mai paura della sottigliezza, anche se può condurla all'oscurità (consiglio pericoloso per taluni, ma non per lei).
  E mi mostri tutto quello che scrive.

 

Una lagnanza

 

  Questo sistema di scrivere lettere, questa scelta di appunti saltuari, è molto soddisfacente, ma, sotto certi aspetti, è un disastro. Scrivo gli appunti per le lettere dirette a lei in momenti diversi e con la matita su foglietti di carta. Mi occorre un mucchio di tempo infernale per copiarli tutti su questi fogli giganteschi.

 

Metti questo nella pipa e se non ce l'hai ti presterò la mia; puzza.

 

  Ah, bambina, sono stato astuto quanto lei. Confesso che l'accenno alla sua passione per Kipling non è stato altro che un'esca solleticante all'estremo. Naturalmente, non le piace il suo sventolar di bandiere, perché sa bene quanto me che il patriottismo è un inganno pubblicitario organizzato dagli azionisti degli armamenti in eccesso; sa che l'Union Jack è soltanto un perizoma nazionale per celare gli organi in putrefazione di un sistema sociale malato; sa che la Grande Guerra è stata volutamente protratta affinché i finanzieri potessero guadagnare di più; che se non fosse stato per le azioni delle industrie degli armamenti la guerra sarebbe finita in tre settimane; che a un certo momento della guerra francesi e tedeschi si stavano bombardando a vicenda con munizioni fornite dalla stessa industria, un'industria nella quale ecclesiastici e uomini politici inglesi, ambasciatori francesi e uomini d'affari tedeschi avevano investito tutti grosse somme di denaro; che Kipling, riformato dall'esercito a causa del suo fisico gracile, è ciononostante un militarista tipo «Ho dato mio figlio»; che il paese da lui lodato ed elogiato è un paese che appoggia un sistema in seguito al quale gli uomini muoiono di fame, e pesce, frumento, e caffè vengono bruciati a centinaia di tonnellate; un sistema in seguito al quale agli uomini non è consentito lavorare, sposarsi, avere figli; in seguito al quale vengono portati ogni giorno alla pazzia; in seguito al quale i bambini nascono scrofolosi; in seguito al quale alla chiesa è permesso impedire la prevenzione delle malattie sessuali; un sistema così giusto che un uomo viene arrestato il giorno di Natale per rate scoperte, mentre la moglie aspetta un bambino e i suoi figli stanno morendo di febbre tifoidea dovuta all'aver ingerito pesce guasto fornito da un commerciante profittatore. Puah! Inghilterra, mia Inghilterra. E Kipling continua a dimenarsi per essa, ed è più facile corrompere un uomo politico di quanto lo sia corrompere un venditore ambulante di frutta.
  E che cosa sono tutte queste storie sulla «delicatezza da incisione a punta d'argento» dei cinque deboli versi che ha citato da The Way Through the Wood?

 

Storia per i giovanissimi

 

  C'era una volta una bimbetta. E questa bimbetta, strano a dirsi, era una poe-tes-sa. Aveva idee molto ro-man-ti-che, e scriveva molte ro-man-ti-che poesie, servendosi di parole come «ali», «melodia» e «seno», tutte cose molto simpatiche. Ma poi crebbe, e i vi-si-ta-to-ri e i pa-ren-ti dissero, Oh sì, è una ragazza tanto cara, ma che cosa farà? Era ov-vio che sarebbe stata sempre una poe-tes-sa, o anche qualcosa di più im-mo-ra-le. Così continuò a fare la poe-tes-sa e un uomo gentile mise le sue poesie in un li-bret-to. Ma un giorno ella conobbe un piccolo poeta, il quale era il più buffo e piccolo poeta che possiate immaginare. E scriveva poe-sie volgari su uteri e altre cose. Bene, cari, la poe-tes-sa e il piccolo poeta continuarono ad essere a-mi-ci, e, infine, la poe-tes-sa prese la Strada Sbagliata. Anche lei scrisse poesie vol-ga-ri, e divenne una bagattella per lei mettere l'orribile parola «cancro» due volte in una stro-fa. E il piccolo poeta si fece tutto un fiore in viso, e scrisse un mucchio di versi sul sole che spuntava e la luna che calava. Ma la poe-tes-sa si stancò della sua musa tu-ber-co-lo-ti-ca, e tornò ai ruscelli mor-mo-ran-ti eccetera. E il piccolo poe-ta bruciò tutte le cosi-belle poesie, e tornò al proprio vomito e alla propria vol-ga-ri-tà. Ed entrambi vissero per sempre felici.
  Morale    Cancro sia.
  Questa sembra una storia alquanto perfida e falsa, e non so perché l'ho scritta. Ma, d'altro canto, questa lettera è un così terribile guazzabuglio, scritto nei luoghi e nei momenti più diversi, che il raccontino si addice all'atmosfera caotica.
  Appena mezz'ora fa ho preso il nuovo «Referee», e ho letto lo splendente articolo di lode del signor Vicky Bird. Come mi scalda il cuore. Mi consenta di dire molto vanagloriosamente questo: Accetti tutte le sue lodi con un barile di sale; accetti le mie senza un solo grano di sale. Voglio dire tutto quello che ho scritto di lei e delle sue poesie; nella sua graziosa gabbietta, Dio solo sa che cosa intende o non intende il pappagallo redazionale.
  E la sua osservazione infantile sul fatto che «non esita mai nel metro» o comunque dica. È come se uno dicesse di Wiley Post, «Che meraviglioso pilota; una tra le cose più grandi del suo successo è il modo abile con il quale si mantiene in aria! » Oh Dio, oh Montreal! Oh Neuberg! Oh Gesù!
  Sono d'accordo con molte cose che egli dice, e ne dirò molte altre nella prossima lettera.

 

Dylan

 

  Perdoni tutto ciò che è inappropriato e incoerente, la pessima grammatica e la peggiore ortografia. E prenda a cuore, O Battersea Stich (noti il valore tonale delle parole), tutto ciò che ho detto dal profondo di un cuore impetuoso, anche se lievemente corrotto.

 

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La rivista «Prose and Verse» non fu mai realizzata, anche se la pubblicazione «Wales» di Keidrych Rhys, della quale Dylan aiutò a redigere il primo numero nel 1937, potrebbe essere considerata la sua "discendente".

 

a Trevor Hughes (cartolina postale)

Timbro postale: 10 ottobre 1933

Cwmdonkin Drive, 5 [Swansea]

 

  Caro Trevor,
  anzitutto, permettimi di scusarmi per non averti scritto prima, e poi perché ti scrivo così poco adesso. Ho, davvero, le giustificazioni più concrete, troppo complesse per trovar posto su una cartolina postale. La sola cosa importante è questa: «Prose and Verse», quel bambino nato morto, deve essere fatto rivivere. Grocer Trick si occuperà dell'aspetto finanziario e commerciale della cosa, ed io, come preventivamente deciso, dovrò dirigere la rivista. Ci si atterrà strettamente all'alto livello fissato all'inizio; ma v'è una importante, nuova condizione. «P & V» pubblicherà soltanto i lavori di uomini e donne gallesi
ciò comprende quelli di vaga discendenza gallese e quelli nati nel Galles che scrivono in inglese. Tale condizione limita necessariamente, ma è quella che farà, io spero e confido, della rivista una cosa unica. Un altro periodico intellettuale, prodotto da una cittadina trasandata come questa sulle più alte vette del mondo letterario è condannato all'inferno sin dall'inizio. Ma un nuovo periodico di gran classe per i gallesi? Evviva Cymru! Non vedo perché non dovrebbe essere un grande successo. Trick è già in corrispondenza con università, biblioteche, musei, e altri obitori intellettuali, con zitelle, cavalieri e filantropi. Conosci qualche gallese che potrebbe essere interessato al progetto? In tal caso, dimmelo quando scriverai. E quando puoi, mandami tutta la tua prosa inedita ancora esistente. Vorrei esaminarla con cura e criticamente, scegliendo ciò che è adatto alla pubblicazione. Hai quattro o cinque pagine a stampa a tua disposizione. Non ti scriverò altro per ora. Scrivi e dimmi i tuoi punti di vista.

 

Dylan

 

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Di nuovo, la data della lettera che segue è incerta. Anche l'accenno, alla fine, a Laugharne lascia interdetti, ma d'altro canto Laugharne si trova soltanto all'altro lato dell'estuario rispetto a Llanstephan, e a quei tempi la cittadina e il villaggio erano collegati da un traghetto. L'accenno al suo «male» è oscuro. Credeva, o fingeva di credere, di essere tubercolotico, una malattia «poetica» a quei tempi, con i loro echi di Keats. Omettiamo le critiche delle poesie di Pamela, in quanto rivestono scarso interesse per la maggior parte dei lettori. «Accordo Laleham» si riferisce all'intenzione di conoscerla non si erano ancora incontrati che poi non approdò a nulla.


a Pamela Hansford Johnson
fine ottobre 1933

Blaen-Cwm, Llangain, presso Carmarthen

 

Un giorno uno stanchissimo e smarrito giovane assedierà gli scalini del Ministero delle poste, gridando a voce alta, in un incerto gallese, quest'unica, malinconica frase: «Perché, in nome di Dio e degli angelici impiegati, la mia lettera non può essermi recapitata?» Lo scacceranno, ma continuerà a tornare, urlando sempre la stessa domanda al sordo ministro delle poste e a una maliziosa divinità.
  Il guaio è che, negli ultimi quindici giorni, ho condotto un'esistenza molto nomade, alcuni giorni in un cottage infestato dai topi nel cuore del Galles, alcuni giorni con un eccentrico amico, e alcuni giorni a casa. Per conseguenza la corrispondenza mi è stata recapitata a tutti e tre gli indirizzi, rirecapitata, e nuovamente recapitata. La sua ultima lettera mi è pervenuta sabato. Sto rispondendo con la massima rapidità e il più a lungo possibile.
  Quando sono arrivato qui, v'erano due sue lettere ad aspettarmi... le proverbiali dodici pagine, e tre fogli battuti a macchina, per non dir nulla delle tre ultime poesie. Ora rispondo all'insieme della sua corrispondenza.
  Mi trovo, come vede, in un cottage di campagna, a dodici chilometri da una cittadina e a centosessanta chilometri da chiunque cui mi sia possibile parlare di qualsiasi argomento tranne le prospettive della pioggia e il sistema più rapido per prendere in trappola conigli selvatici. Sta piovendo mentre scrivo, una pioggia sottile e inutile che cela i lunghi chilometri di campi desolati e di sparse fattorie. Sento l'odore del fiume e odo il ruscelletto bestiale che scorre scrosciante accanto a questa stanza. Sono di fronte a uno scomodo fuoco, a una fila di cani di porcellana, e a uno scrittoio con la mia fotografia all'età di sette anni... labbra tumide, capelli alla Fauntleroy, occhi sbarrati e vuoti come lo è lo scrittoio. Vi sono alcuni libri sul pavimento accanto a me
un'antologia poetica da Johnson a Dryden, la prosa di Donne, una Psicologia della pazzia. Vi sono alcuni volumi nello scaffale alle mie spalle... una Bibbia, dalle Facezie alla Serietà, una Storia dei castelli gallesi. Alcune ore fa un uomo è entrato in cucina, ha aperto il carniere, e ha lasciato cadere sul pavimento i corpi straziati di otto conigli selvatici. Ha detto che la caccia era stata buona, mi ha mostrato i loro ventri dilaniati e le teste aperte, ha tirato fuori di tasca il furetto perché io lo vedessi. Il furetto sarebbe potuto essere il suo bambino, tanto lo coccolava. Gli occhi dell'uomo erano ravvicinati come gli occhi della cosa terribile che aveva in mano. Lo chiamava «Billy Fach».
  Più tardi, quando avrò terminato questa lettera, percorrerò il viottolo. Farà buio, allora; lampade saranno accese nelle fattorie, e i contadini staranno seduti davanti al fuoco, guardando ardere la legna e pensando a Dio sa quali cose insignificanti, o pensando proprio a un bel nulla tranne il loro calore animale.
  Ma anche questo, per quanto sia grigio e colmo dello scroscio di acqua igienica e colmo dello scenario di miserabili campi bagnati, è meglio delle piccole cittadine industriali. Le ho attraversate in autobus venendo qui, ogni cittadina una piaga in putrefazione sul corpo di una morta campagna, ottocento metri di via principale con il suo Prudential, la sua cooperativa, lo Star, il cinematografo e il bar. Sui marciapiedi non ho veduto altro che ragazze orrendamente graziose con berretti da pochi soldi in capo e rossetto a chiazze sulle gote; esili giovani con berretti a visiera e sigarette tra le dita macchiate; donne, tutte seno e fondoschiena, che stringevano a sé le borsette e contemplavano le vetrine dei negozi; piccoli minatori, malati nella mente e nel corpo come possono esserlo soltanto i gallesi, raggruppati davanti alla Welfare Hall. Sono passato davanti alle file delle case dei minatori, centinaia di case, ognuna con un vaso di felci alla finestra, centinaia di tuguri costruiti con materiale scadente da un'associazione benefica, in cui gli uomini delle cittadine possano moltiplicarsi e mangiare.
  Tutto il Galles è così. Ho un amico il quale scrive lunghi e del tutto impubblicabili versi che incominciano, «Cosa sei tu, Galles, se non una stanca, vecchia baldracca?» e «Galles, paese mio, Galles mia troia».
  È impossibile per me dirle quanto desideri allontanarmi da tutto ciò, dalla limitatezza e la sporcizia, dall'eterna bruttura del popolo gallese e da tutto ciò che gli appartiene, dalla meschinità di una madre alla quale non voglio bene e dalla ridacchiante covata di parenti. Che cosa stai facendo? Scrivo. Scrivi? Stai sempre scrivendo. Vuoi sapere una cosa? Sei troppo giovane per poter scrivere. (Ammetto che molto spesso sembro più giovane di quanto sia). E me ne andrò. Tra qualche mese abiterò a Londra. Lei verrà a trovarmi ogni giorno, allora, e mi mostrerà la poesia della cucina. Bisognerà che me ne vada presto, o non sarà più necessario. Sono malato e questo maledetto paese mi uccide.
  Tutto ciò può sembrare molto melodrammatico. Non voglio far sembrare questa lettera una commedia di terz'ordine in cui l'eroe «artistico» vanta la propria superiorità sui suoi simili e si lagna del proprio male altamente poetico, o una mera colonna di avvisi per la ricerca di persone scomparse. Spero che lei scuserà anche quel po' di declamazioni e di autocompatimento cui mi sono permesso di indulgere.
  Mi sono davvero piaciute le sue illustrazioni, ma il disegno degli struzzi era di gran lunga troppo bello per la poesia. Ho rinun ciato a strapparmi i capelli a causa dei parti dell'Accademia Neuberg per la Produzione di Versi Inferiori. Li leggo, li metto da parte, e faccio del mio meglio per dimenticarli. Alla gallina è la cosa migliore che abbia visto tra i premiati, di recente, ma è compensata da Fiordalisi di Miss Arlett. Ed ora, per completare il quadro la donna di Poesia marina è viceredattrice. Ah, bene. Le mie vaghe fatiche non adorneranno più l'altare di Neuburg. Ora me le terre ancor più strette.
  Ma cos'è questa storia sulla forma. Sta interpretando male i miei ermetici commenti? Oppure, inconsciamente (questa parola è andata a male da quando Lawrence la scagliò contro la propria scervellata testa e il Vicky Bird vi si appollaiò) ho scritto quello che non intendevo. Rima, certo, ma con restrizioni. Ho l'impressione di aver difeso la forma nelle mie ultime lettere e di essermi scagliato contro la sempre più diffusa assenza di forma degli imitatori Yank ed altri di Ezra Pound. Ma, per quel che ne so, potrei aver ripetuto la vasta massima di Geoffrey Grigson, «L'arte moderna non necessita di logica o di equilibrio», o l'asserzione di Herbert Read, che l'arte moderna non deve avere assolutamente alcun significato.
  Passiamo ora alle sue dodici pagine. Dodici pagine, in fin dei conti, sono molto poche se ha un gran numero di cose da dire. La sua lusinghiera descrizione di se stessa, aiutata dal disegno nella sua ultima lettera, deve averla divertita molto. Ma non dica che il disegno è realistico. E perché il desiderio di avere lo stesso aspetto di tutti gli altri? Se lei fosse la solita ragazzina senza viscere, senza immaginazione, sputa-gergo, l'adesione a uno stile convenzionale dell'aspetto sarebbe scusabile. Ma non lo è. Come individuo, dovrebbe sembrare individuale, separata dalla massa dei componenti della società. Per motivi commerciali e igienici è preferibile vestirsi pulitamente. Ma a me piace il colore. Non assomiglio affatto a nessun altro... non potrei anche se volessi, e il diavolo mi porti se voglio. Mi piacciono le camicie loquaci (parola sua). E non vedo alcuna ragione per cui non dovrebbero. Il vestito maschile è antigienico e orribile. Camicie di seta scarlatta sarebbero un grande miglioramento. Questa non è l'affermazione di un posatore artistico; non ho il tatto per atteggiarmi a qualsiasi cosa. Oh sembrare, se non altro, diverso dai giovanotti con i calzoni a righe, con i colletti inamidati causa di cancro e le piccole bombette.
  Mi ha stupito sapere che ha scritto soltanto trenta poesie; può spiegarlo una vita trascorsa andando in autobus. Che il Kiddies' Kompleat Poetry Set possa essere messo severamente all'opera in avvenire e che io, umilmente eppur criticamente, possa mettere gli occhi sulle vergini parole.
  E adesso ho otto sue poesie con cui fare ciò che mi piace. E ne farò ciò che mi piace... le criticherò ciascuna a turno, non molto minuziosamente, perché lo consentirebbero soltanto cinquanta pagine, ma per lo meno scendendo a qualche particolare. Ricordi che nulla di quanto io dico, Pamela, è per il gusto di essere spiritoso, o per liberarmi da acidi stati d'animo che possa avere imbottigliato dentro di me. Penso quello che dico e la mia intenzione è di aiutarla. Mi dica se ciò vale le mie fatiche e la sua attenzione. In tal caso criticherò volentieri, più che volentieri, nello stesso modo, ogni poesia che lei abbia scritto.

 

[...]


  Ma mi consenta di allontanarmi dall'argomento per un attimo e di sferrare quello che probabilmente sarà un attacco del tutto futile al suo credo di semplicità. Ammetto che tutto dovrebbe essere detto il più semplicemente possibile, che il significato non dovrebbe essere mai soffocato da una conscia oscurità, che i più apprezzati ornamenti dello stile e della frase devono colare a picco quando il significato lo impone. Ma che tutta la buona poesia debba necessariamente essere semplice mi sembra molto assurdo. Siccome posso capire l'inglese della signora Beeton, non v'è alcuna ragione al mondo per cui dovrei capire l'inglese di Manley Hopkins... o di W. H. Davies e di W. H. Auden. Non vedo alcuna necessità per cui le più grandi verità del mondo, e le più grandi variazioni di tali verità, dovrebbero essere così semplici da essere capite dalla mente più ingenua. Vi sono cose, e cose preziose, così complicate che anche colui il quale ne scrive non capisce che cosa sta scrivendo.
  Ammiro la semplicità di Shakespeare, il facile linguaggio de La dodicesima notte e il linguaggio aspro di Cartolano. Ammiro la semplicità di Mozart e la sconcertante oscurità dell'ultimo Scriabin. Entrambi hanno una cosa grande da dire, e perché il messaggio di Mozart, a causa della sua facile comprensibilità, debba essere valutato più del messaggio di Scriabin, che è un messaggio a sé e cui segue il demonio, non lo saprò mai. È la semplicità della mente umana a credere che la mente universale sia altrettanto semplice.
  Grazie per tutto ciò che ha detto delle poesie che le ho mandato. Approfitto di ogni critica; la sua è tutt'altro che puerile, e sebbene debba dissentire da molte cose che dice sono sinceramente d'accordo su quasi tutto. A questa lettera accludo altre due poesie. Non sono battute a macchina. Temo, ma spero che questo non le impedirà di leggerle e di commentarle attentamente. V'è una sorta di finalità nella parola battuta a macchina che manca nella parola scritta. Non risparmi le lodi... non per questo divento una fanciulla; non risparmi alcuna condanna... ci sono abituato e ne approfitto.
  Un giorno voglio mandarle diecimila parole di prosa, Genesi non comune, un racconto senza tempo né luogo, con due soli personaggi, un uomo e una donna. E la donna, naturalmente, non è umana. Non potrebbe esserlo. Se lo vuole, glielo manderò. Se non vuole, no.
  Qualunque cosa possa fare con le lettere, i racconti o le poesie, non dia la risposta che tanto scandalizzò i pandit di Steyning. Se qualcuno dicesse «Mi fai ridere» dopo che io gli avessi, o le avessi, mostrato una poesia, credo che resterei fulminato. Quindi, la prego, sia gentile anche se deve condannarmi.
  L'accordo Laleham, sebbene in aria, è oke [L'«Okay» americano anglicizzato] per me, e se esiste un'espressione peggiore di «mi fai ridere», è questa. Ha ragione, naturalmente. Facciamo dicembre. Sì, dipingo, ma pochissimo, e i risultati sono straordinari.
  Mi sarebbe piaciuto rispondere al suo orrendo disegno con un disegno di me stesso altrettanto orrendo, ma nessuna normale matita può rendermi giustizia. Se riuscirò a trovare una mia fotografia scattata da molto lontano, gliela manderò.

 

Dylan

 

  PS. Importante. Rimarrò qui (Laugharne) fino a sabato di questa settimana. Se risponde prima che parta (e lo spero) mandi la lettera direttamente qui. Non può perdersi.

 

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Lettera senza data, attribuita all'ottobre 1933. Victor Neuburg aveva deciso che i giovani e le giovani del suo cenacolo letterario erano interessati alla Vita Creativa.

 

a Pamela Hansford Johnson
fine ottobre 1933

 

Nel bagno


  L'acqua sta lambendo la mia sponda addominale, e un mozzicone di sigaretta, che va disintegrandosi adagio, viene trascinato via dalla corrente fumigante che scorre, come un fiume scaturito dalle sorgenti dell'inferno, sui miei piedi. No, questa non è un'astrazione; sono disteso nel bagno, fumo Woodbine, e fisso, attraverso calde brume, il foglio di carta che giace dinanzi a me. Copro il fronte del porto. Il clic clic dello scaldabagno sembra il lontano biascicare di un tenore femmina. Tutto è molto bagnato e bianco, fa nascere pensieri sulla vita e l'amore, sulla transitorietà delle e-mozioni umane, sulla futilità della fatica personale, sugli sporchi maneggi dei dottori Creativi, e l'improvviso allarmante pensiero di Cenerentola. Ora tutto è caldo e immobile. Il silenzio, come un cappello vecchio, mi sta sopra.
  Questa è un'assurdità, naturalmente, ma un buon inizio di una lettera; abbatte tutte le formalità; elimina molti degli strati di bluff, doppio-bluff, e di auto-dubbio che così spesso mi impediscono di dire quanto voglio dire; è intimo quanto le gambe del pigiama del papa.
  Ma è difficile, in questo maledetto bagno, sapere che cosa scrivere. Nell'effervescenza della mia gioventù e nelle sconfinate profondità dell'immodestia di questa mia verde età, confesso di avere opinioni su tutto ciò che esiste sotto il sole. Le opinioni sono spesso smoderate, in genere impetuose, e sempre verbose. Ma questo importa molto poco. La gran cosa è pensare, anche se erroneamente.
  Con che cosa dovrò intrattenerla: un attacco contro George Troppo Shaw Per Essere Buono? una difesa di Lesbia? la credenza nel vegetarianismo? Ma no... George è intelligente sebbene incapace di immaginazione; Lesbia è un'isola aestiabogina (non so scriverlo); e il vegetarianismo è inevitabile.
  Mi consenta invece di eliminare con massaggi i segni della strada dai miei piccoli piedi, di tossire, di sputare, e di fischiare, di togliere il tappo, e di ritirarmi, come un Cupido emaciato con la penna in luogo dell'arco, in uno squallido letto senza fanciulla.

 

A letto

 

  Ora che lo stordimento di un bagno troppo caldo si sta dissipando un poco, e che l'acqua del bagno è entrata nell'inchiostro, scriverò con la matita alcune schiette (ah sì? ) verità.

 

Thomas: LE SUE IDEE

 

  Non vedo l'ora di leggere quello che ha scritto o sta ancora scrivendo della Donna ridesta; mi piacerebbe aggiungere le mie poche strofe, o le idee per le poche strofe (come preferisce), sebbene le mie esperienze di risvegli con una donna al fianco siano state necessariamente limitate.
  Le leggi medievali di questo emisfero corrotto hanno imposto una verginità più o meno obbligatoria durante il periodo della vita in cui la verginità dovrebbe essere considerata un reato contro i dettami del corpo. Durante l'adolescenza, quando il sangue e il seme della carne che cresce necessitano, per la prima volta e come non mai, di comunione e contatto con il sangue e il seme di un'altra carne, i rapporti sessuali sono considerati inutili e impuri. Il corpo deve essere mantenuto intatto per il matrimonio, che di rado è possibile prima dell'età di vent'anni; la manifestazione fisica del sesso deve essere ingabbiata per sei o più anni finché, per il costo di un anello, di una licenza, e di alcune parole imbarazzanti, l'occasione viene offerta con tutto il cerimoniale di una religione fallica. Ma molto spesso l'occasione si presenta troppo tardi, il seme è inacidito, l'amore si è tramutato in lussuria, e la lussuria in sadismo; la mente è stata coperta e soffocata dalle erbacce dell'inibizione; e l'unione di due creature affamate, cui viene consentita a un tratto la latitudine dei loro sessi, è condannata sin dall'inizio, La donna porta in giro con sé la licenza di matrimonio come una cagna potrebbe portare la testimonianza del proprio periodo di estro.
  Può non essere piacevole parlare di queste cose, ma esistono e sono un male.
  Incominciando dai primi mesi di pubertà, alle ragazze e ai ragazzi dovrebbe essere consentito conoscere i loro corpi (non sto cercando di contorcere le frasi, né desidero scrivere le nude parole in tutta la loro bruttezza). Non soltanto, ma le loro manifestazioni sessuali dovrebbero essere incoraggiate. Sarebbe quasi del tutto impossibile per una ragazza giovane vivere, permanentemente con un ragazzo, specie se entrambi frequentassero le scuole; la loro vita in comune non sarebbe serena; non avrebbero denaro e riuscirebbe loro difficile guadagnarne. Ma la famiglia della ragazza dovrebbe, per un certo periodo
il periodo della mutua dedizione tra ragazzo e ragazza , ospitare il ragazzo in casa sua. E viceversa. Le esistenze dell'uno e dell'altra continuerebbero individualmente vi sarebbero per entrambi la scuola e i compagni di scuola ma la loro intimità domestica e il loro dormire insieme fonderebbero le due vite individuali in una sola e manterrebbero tanto le menti quanto i corpi perpetuamente puri. Ed entrambi crescerebbero tisicamente e mentalmente incontaminati e rinnovati.
  Non pensi che io la stia intrattenendo con un'idea eccentrica e pornografica. Sono realmente convinto di quello che dico, e nessun ragionamento è mai riuscito a dissuadermi. Non si tratta di una teoria, ma di un adattamento delle attuali corrotte realtà a ideali non corrotti. Le conseguenze di un simile adattamento sono, naturalmente, enormi; attaccano alla base la morale corrente e le fondamenta della società. Ma sono sbagliate? (Questa è una domanda rivolta a lei.)
  Per allargare la discussione, mi consenta di farle rilevare che una sorta di attrazione o di dedizione dovrebbe essere il preludio del rapporto tra ragazzo e ragazza. I due sessi, giungendo alla pubertà, non verrebbero gettati insieme sconsideratamente; alla sincera amicizia tra ragazzo e ragazza si consentirebbe completa libertà e coronamento, ecco tutto. Non vi sarebbero accordi impegnativi tra le due famiglie, e il ragazzo e la ragazza potrebbero avere tanti amanti quanti ne volessero, finché, in ultimo, ne troverebbero uno con il quale potrebbero rimanere più a lungo, o per sempre.
  Dopodiché
e prego Iddio di non aver avuto l'aria del signor Mybug in un momento ispirato mi consenta di tornare all'inizio. Mi mandi Donna ridesta con la sua prossima lettera, e, evocando i sentimenti dell'amore maritale, io cercherò di restituirgliela con aggiunte... nella prossima mia.
  Ma la vera collaborazione deve essere qualcosa di più. La poesia deve nascere in presenza dei due autori. Ed io spero che non passerà molto tempo prima che ciò sia possibile.

 

Soltanto una parola

 

  È stata molto severa con i frammenti di poesie che le ho mandato. Furono scritti quando avevo quattordici anni, se ne ricordi, e dovevano essere pessimi, accidenti.

 

Non comune

 

  Domani, quando imbucherò questa lettera, le manderò Genesi non comune, il racconto più volte promesso. Temo che sia piuttosto lungo, e che impegnerà molto del suo tempo. Lo legga, però, vero, e mi dica esattamente che cosa ne pensa. È stato scritto poco meno di un anno fa, scritto di getto e mai riveduto. Mentre lo battevo a macchina, ho veduto ogni genere di frasi che, se fossi stato più accurato, non avrei esitato a correggere o a eliminare del tutto. Non essendo accurato, ho battuto cose buone e cattive. Ed eccolo qui.
  Le frasi in rosso dovrebbero essere in realtà in corsivo. Dovrà scusare tutto il dattiloscritto: in certi punti è abominevole. Ma non ho le dita molto agili la maggior parte delle volte, e la mia macchina per scrivere, come avrà notato dalle poesie che le ho mandato, è stizzosa e vetusta. Ha tutti gli accenti francesi, ma, purtroppo, io scrivo in inglese.
  Genesi non comune è un racconto non comune (mi spiace di premettergli tante osservazioni assurde), e o le piacerà o lo avrà in grande avversione. Spero che le piaccia. Deve essere letto con la mente non prevenuta, perché è scritto in uno stile nobile e verbosamente romantico che potrebbe, se l'attenzione deviasse anche soltanto momentaneamente dal suo significato, scivolare dal sublime al ridicolo. Ma se lei lo leggerà davvero attentamente e senza pregiudizi, non credo che riderà. Comunque, mi dica tutto al riguardo, se vuole. Vi ho appena pensato: da quando ci stiamo scrivendo, l'ho oberata con una quantità immensa di miei lavori; folle di mie poesie accompagnano ogni lettera; ed ora ecco che vengono ad aggiungersi al mucchio più di venti pagine fittamente battute. Forse sarebbe meglio se le concedessi un po' di riposo
non dallo scambio di lettere, il diavolo mi porti se smetterò di scriverle ma dall'inclusione di tante delle mie cose. So che sinceramente le piacciono come a me sinceramente piace gran parte del poco che ho veduto del suo lavoro ma si può avere troppo anche di una buona cosa.

 

Ancora sull'amore

 

  Grazie di avermi detto dei suoi perduti, ma non dimenticati, innamorati, e se anche le pagine mi hanno ricordato di quando in quando Ella M. Ruck, quella eclettica romanziera e poetessa, non per questo erano meno sincere.
  E questo è stato un appunto orribile per la sua condiscendenza, l'appunto di un eccentrico introverso sull'estroversione (che parola!) di una creatura di gran lunga superiore. Me ne duole molto. Probabilmente le è occorso molto coraggio per parlarmi del frigido lettore di giornali per il quale lei sprecò tanto del suo affetto. E chi sono io, per l'ombelico di san Francesco, per fare complimenti al riguardo? Lei mi ha onorato parlandomi di lui e di G. N. L., e del ragazzo inglese (i suoi gusti non sembrano orientarla verso i giovani con pretese artistiche e poetiche) e la parte emotiva di me la ringrazia infinitamente. Lasci perdere la parte intellettuale: quella non conta nulla.
  Ma perché, se si innamorerà di nuovo
e finirà con l'innamorarsi prima o poi non vuoi dare ancora una volta tutto ciò che diede in passato, non necessariamente Ciò Che Più È Caro, eccetera, ma tutta l'energia della sua giovinezza (gioventù, ecco la parola sbagliata), della sua dolcezza eccetera (evito di dire tutto, sa), della sua allegria e malinconia, e di ogni altro dannato stato d'animo e sentimento che possiede? Ho detto che il suo errore è stato l'errore di amare troppo. È così e sempre sarà così. Pertanto prodighi i suoi affetti a qualche giovane dal profilo immacolato ed ami il maiale fino alla morte. L'amore tra gli angeli è un perpetuo turbamento.
  (Non mi hanno ricordato Ella M., in realtà, mi sono piaciute, soltanto sono troppo xxxx vergognoso per dirlo, accidenti ai miei occhi di coniglio!)

 

La mia vita. La commovente autobiografia continua dall'ultima lettera tranne la terza (o la quarta)

 

  Gower è una meravigliosa penisola, ad alcuni chilometri da questa trasandata cittadina, e fino ad ora i filistei della Sala da Té non hanno rovinato le più belle delle sue baie. Gower, in effetti, è uno dei più bei tratti di costa di tutta l'Inghilterra, ed alcuni dei suoi minuscoli villaggi sono tanto oscuri, tanto poco abitati, tanto graziosi quanto lo erano cent'anni fa. (Questo sembra un brano tratto da una Guida turistica.)
  Mi reco spesso nelle mattinate fino al punto estremo di Gower
il villaggio di Rhossilli e vi rimango fino a sera. La baia è la più selvaggia, la più squallida e la più sterile che io conosca - sei o sette chilometri di gialla freddezza che si perdono nelle lontananze del mare. E il Worm (forse ciò spiega il mio complesso), un verme marino di rocce puntato verso il canale, è il promontorio stesso dello sconforto. Nulla vi vive tranne gabbiani e topi, la milionesima generazione delle famiglie alate e caudate che stridevano in aria e correvano tra l'erba quando il mare primevo tuonava sulla spiaggia di Rhossilli. Ve un tavolato di roccia sul dorso del Worm, rivestito da lunga erba gialla, e, camminando su di esso, si ha l'impressione di essere una creatura uscita dai Racconti del Mistero e dell'Immaginazione che calpesti, per una terribile eternità, lunghi peli di topi. Passare su quell'erba è una delle esperienze più strane; cede sotto i piedi; emette lievi suoni risucchianti, e odori e questo è per me l'odore più spaventoso del mondo come quello della pelliccia dei conigli dopo la pioggia.
  Quando la marea sale, la scogliera di rocce simili ad aghi che conduce alla base del Worm resta sommersa dall'acqua. Una volta rimasi intrappolato sul Worm. Vi ero andato nelle prime ore del pomeriggio con un libro e un sacchetto di provviste e, dopo essermi portato fino all'estremità ultima, avevo dormito al sole, con i gabbiani che stridevano come impazziti sopra di me. E quando mi destai il sole stava tramontando. Corsi sugli scogli, sull'erba abominevole, e fino al crinale che domina la piccola scogliera. La marea era salita. Rimasi su quel Worm dal crepuscolo a mezzanotte, seduto sull'erba, timoroso di andare più avanti a causa dei topi e a causa delle cose di cui mi vergogno di aver paura. Poi le punte della scogliera cominciarono a emergere dall'acqua, e, perigliosamente, mi inerpicai su di esse fino alla spiaggia, con la prospettiva di una camminata di ventotto chilometri. Era una strada buia, completamente silenziosa, completamente deserta. Vidi ogni cosa durante quella passeggiata, dalle lumache, le lucertole, le lucciole e le lepri, a diafane giovani donne vestite di bianco che svanivano quando mi avvicinavo.
  Un giorno, quando la conoscerò ancor meglio di adesso, deve venire ed essere mia ospite, qualche volta in estate. Swansea è un triste inferno e mia madre una volgare imposterà; ma io non sono tanto malvagio, e Gower è bella quanto qualsiasi luogo.
  V'è una baia quasi troppo splendida per poterla contemplare. Lei verrà e la vedrà con me; pronunceremo entrambi parole di sdolcinata meraviglia e perderemo i sensi sulla maledetta erica.
  Mio padre era maestro nella scuola elementare di Swansea, e continuerebbe ad esserlo perché non è ancora abbastanza vecchio per andare in pensione. Ma gli ultimi tre mesi li ha trascorsi nel London University Hospital, per essere curato di un cancro alla gola. Adesso è a casa, guarito in parte e abbattuto all'eccesso. Il suo limite di tempo è ancor più breve del mio (!) La nostra è una graziosa casa (tutto ciò non sembra molto bello dopo un invito, le pare? Dicevo sul serio, però.) V'è inoltre un cane stupido, che risponde al nome originalissimo di Spot.

  Scriverò ancora non, fortunatamente per lei, per continuare questa deprimente autobiografia a puntate domani. Ora vado a lavarmi e a radermi, preparativi che precedono il viaggio a Gwaencae-Gurwen (mi piace introdurre nomi come questi), ove un melodramma appassionato sarà interpretato da attori di talento. Grazie.

 

Commento a Coplans

 

  Perché qualcuno non ha preso a calci nel sedere quel dottore pervertito? Non vi sono uomini d'azione tra quelli della Vita Creativa? Qui nel barbaro Galles, ove gli uomini sono uomini, sarebbe stato lapidato a morte dagli appartenenti allo Y Gobaith Cymru Wrdd.
  V'è un episodio incantevole in un romanzo... non riesco a ricordare quale, in cui un uomo molto malvagio giace ai piedi di una fanciulla molto per bene, e, guardandola negli occhi, dice: «Lei mi ricorda i cavoli e quelle grosse torte marrone... l'adoro». È press'a poco lo stesso genere di episodio, tranne che, ne sono certo, lei non ricorda a nessuno simili cose. Ma, davvero, la parte stupefacente di quel ricevimento stupefacente
e deve essere piacevole vedere organizzare un ricevimento letterario nel proprio piccolo onore (Bah, invidia!) è il fatto che il disgustoso dottore sia stato tollerato così a lungo. Seguace della Vita Creativa o no, lo avrei morso violente-mente al polpaccio.
  Egli attribuirà senza dubbio l'avversione di lei a inibizioni da parte sua; i libertini perversi e sfortunati della sua specie non credono mai che il loro fare all'amore (un'espressione di gran lunga troppo bella) possa piacere soltanto alla base del ventre.

 

Intermezzo per i rinfreschi

 

  No, in realtà non sputo nel pianoforte, quindi non sarà affatto necessario inchiodarne il coperchio. E indulgo senz'altro al canto di lascivi stornelli. Probabilmente diventerò timido, e per prima cosa mi nasconderò tutto il giorno nel gabinetto (su per le scale a destra).
  Il mio unico vero vizio domestico è l'indiscriminato spargere cenere di sigarette su tutto e su tutti. A parte questo, non sono particolarmente fastidioso, ed ho un odore molto piacevole. Dimostro circa quattordici anni ed ho un naso grosso e tondo; la natura me lo ha dato, ma il fato e una ringhiera debole lo hanno rotto; quando fa freddo è sufficientemente lustro per illuminare qualsiasi ambiente. Quando io sono attorno nelle notti d'inverno, non c'è bisogno della luce a gas.
  Tosse! tosse! tosse! la mia morte sta avanzando; la Venere di fronte a me porge un orecchio marmoreo nella mia direzione, e il calendario, con una veduta all'acquarello del lago di Como, dondola nel vento incredibilmente gelido.

 

Primo epilogo
 

  Mi sono pentito dopo aver mandato quei tre fogli di socialismo; non erano altro che verità, e le verità, non verniciate, sono sempre tediose o sconcertanti. Non indulgerò ad altra propaganda in questa lettera; conserverò due o tre appunti incandescenti insieme a un appunto su W. H. Auden, il Poeta della Rivoluzione e glieli manderò la prossima volta.
  Sicché la Tharp considera l'oratoria una delle Belle Arti? Io non ne so niente, ma parlare di poesia è senza dubbio una di esse. Un giorno mi leggerà alcune «cinguettanti» poesie, ed io, arrotando la mia «r» cimrica, risponderò.
                                                      
Secondo epilogo

 

  Questa lettera non è lunga come quasi tutte le altre che le ho mandato, ma il lungo racconto accluso è più che sufficiente a compensarne la brevità. Scriverò una lunghissima lettera la settimana prossima; ci vorrà probabilmente un postino speciale perché possa recapitarla da solo.
  E se non risponderà rapidissimamente e molto a lungo, mi trasformerò, con considerevole magia, in una mosca invernale e verrò a morire sui suoi capelli. Questa è la minaccia più terribile che io conosca. Che concluda la lettera, ma anche con un'espressione di bonhomie e di affetto della Vecchia Scuola.

 

Dylan

 

[Sul retro del foglio: un suo autoritratto].

 

  Sono dolente per questo. Era sul retro e non lo avevo visto. Non disegno sempre così, grazie a Dio.

 

- - - – o – - - -

 

II 29 ottobre 1933 fu assegnato a Pamela Hansford Johnson il primo premio dell'«Angolo dei poeti», consistente nel far pubblicare a spese della rivista un suo libro di poesie. Il libro uscì nella primavera dell'anno successivo con il titolo Symphony for Full Orchestra. Il 30 ottobre Dylan le spedì una cartolina postale di congratulazioni, e promise di farla seguire da una lunga lettera. Ciononostante questa è una lettera relativamente breve. Stava ancora fingendo di avere la sua stessa età, e la tiritera del primo paragrafo è quasi certamente una bugia.


a Pamela Hansford Johnson
prima settimana di novembre 1933

Cwmdonkin Drive 5, Uplands, Swansea

 

Scuse

 

  Ci ho messo un periodo di tempo terribilmente lungo per rispondere, lo so, ma, durante la scorsa settimana, sono stato morboso così all'estremo e fino al suicidio che la mia lettera sarebbe sembrata un estratto della «Gazzetta degli impresari di pompe funebri». Spero che durante la lunga settimana trascorsa lei non abbia dimenticato la mia esistenza. E per favore non tardi a rispondere perché ho tardato io. Aspetto con ansia una lettera presto.
  Ricevuta la sua fotografia sono andato immediatamente a far ritrarre le mie sembianze, in quanto non esiste alcuna mia fotografia in questo stadio di decadenza. O sono stato troppo per le delicate lastre fotografiche, oppure il fotografo è fuggito gemendo, poiché non ho ricevuto nulla da lui. Non voglio lasciare in sospeso ancora più a lungo la corrispondenza, e perciò ecco una pessima e poco complimentosa fotografia per il passaporto presa due anni fa. È un misero scambio, ma le manderò una fotografia migliore e più recente quando, e se, arriverà. Somiglio in qualche modo all'acclusa istantanea. Immagini la stessa faccia invecchiata di due anni, un po' più magra e più rugosa. La camicia nera (assolutamente non politica) è la stessa. Di rado sono così lindo e così leccato, e di rado, prego Iddio, ho questa espressione da cherubino. Eppure c'è una somiglianza. Aggiunga alcune ombre, disegni una sigaretta e scompigli i capelli: eccomi, in tutto il mio splendore.


Buona azione

 

  L'autorizzo pienamente a servirsi di questo nuovo modo di scrivere lettere. Lo troverà molto utile. Non deve fare altro che scrivere appunti diversi in momenti diversi su qualunque argomento, e in qualsiasi stato d'animo e poi metterli assieme sotto brevi, concise intestazioni. Forza, ragazza!


Mano congratulatoria e mano soccorrevole

 

  Congratulazioni. Neuberg, per una volta tanto, non ha sbagliato. È difficilmente possibile immaginare che potesse, perché la scelta era inevitabile. Mi interessa tanto la pubblicazione delle sue poesie quanto mi preme la pubblicazione delle mie. E se fossero mie, non potrei essere più felice sapendo che stanno per essere pubblicate.
  Lei, suppongo, pubblicherà tutto ciò che ha scritto, ma io la consiglio di essere accurata nella revisione delle sue prime poesie. Non è assolutamente necessario che una sola delle poesie pubblicate sia cattiva, purché lei si serva con discriminazione di una matita blu e delle forbici. Se posso aiutarla, in qualche modo, a levigare le stesure definitive, o fare qualunque cosa in mio potere per contribuire al successo del libro, me lo faccia sapere. Farò del mio meglio, inoltre, per fare pubblicità al libro tra coloro i quali non credono che Browning abbia qualcosa a che vedere con il sugo. Vorrò acquistarne una copia anch'io e ricevere una prima edizione con grazioso autografo. Ma non dimentichi, se c'è qualcosa, qualunque cosa, che vorrebbe io facessi, sarebbe per me il più grande piacere immaginabile farla.

 

- - - – o – - - -

 

L'accenno alle mezze-rime in La forza che nel verde stelo incalza il fiore pubblicata «domenica scorsa» dimostra che questa lettera frammentaria fu scritta nella prima settimana del novembre 1933. È possibile che sia una continuazione della lettera precedente, formando così insieme ad essa la «lunga lettera» promessa nella cartolina postale.

 

a Pamela Hansford Johnson
primi di novembre 1933

 

5.   Difesa detta poesia

 

  Ciò che lei definisce brutto nei miei versi, non è altro, in realtà, che la forte sottolineatura del fisico. Quasi tutte le mie immagini, provenendo, come fanno, dal mio mondo solido e fluido di carne e di sangue, sono esposte nei termini dei loro progenitori. Per contrapporre una bellezza superficiale a una superficiale bruttezza, non contrappongo un albero a un pilone, o un uccello a una donnola, ma piuttosto le membra umane alle interiora umane. In profondità, naturalmente, tutte queste cose contrastanti sono ugualmente belle e ugualmente brutte. Soltanto per associazione i rifiuti del corpo sono da aborrire più del corpo stesso. Criteri standard sono stati stabiliti per noi. Ci si rende poco conto di una cosa, che soltanto il caso ha stabilito questi standard. È corretto essere veduti al proprio tavolo da pranzo e scorretto essere visti nel proprio gabinetto. Si sarebbe potuto benissimo decidere, quando il tumore della civiltà fu incoraggiato la prima volta, che i festeggiamenti dovevano aver luogo nel w. c. e che un mero accenno a «mangiare e bere» sarebbe stato il culmine dell'indecenza. Fu deciso da Adamo e da Eva, i primi legislatori della società, che certe parti del corpo dovevano essere nascoste e certe altre restare scoperte. Una volta di più, fu il caso a deciderli a nascondere i loro organi genitali e non, ad esempio, le ascelle o il collo. Finché la vita è basata su convenzioni e standard casuali come questi, non ci si può certo stupire se ogni poesia concernente in modo imparziale le parti dell'anatomia (non del tutto imparzialmente, forse, poiché il ventre sottolinea un punto astruso più dell'osso atlante) e le funzioni del corpo, viene considerata un che di alquanto odioso, inutile, e, a dir poco, indelicato. Ma io non riesco a capire come il porre in risalto il corpo possa, in qualsiasi modo, essere considerato odioso. Il corpo, il suo aspetto, la morte e le malattie, sono una realtà, certa come la realtà di un albero. Esso affonda le proprie radici nella stessa terra dell'albero. La più grande descrizione che io conosca della nostra «terrenità» si trova nelle Devozioni di John Donne, ove egli descrive l'uomo come terra della terra, il suo corpo terra, i suoi capelli un disordinato cespuglio che cresce dalla terra. Tutti i pensieri e le azioni provengono dal corpo. Perciò la descrizione di un pensiero o di un'azione per quanto astrusa possa essere può essere fatta riducendola al livello fisico. Ogni idea, intuitiva o intellettuale, può essere rappresentata e tradotta nei termini del corpo, della sua carne, pelle, sangue, tendini, vene, glandole, organi, cellule o sensi.
  Per il tramite della mia piccola isola legata da ossa ho imparato tutto quello che so; ho tutto sperimentato e tutto sentito. Tutto ciò che scrivo è inseparabile dall'isola. Per quanto possibile, pertanto, impiego lo scenario dell'isola per descrivere lo scenario dei miei pensieri, il terremoto del corpo per descrivere il terremoto del cuore.
  Un fatale imbarazzo mi impedisce di continuare sullo stesso nobile tono. (E se mi avvalessi del gergo per procedere nel ragionamento?) È tipico del tisicamente debole mettere in risalto la forza della vita (Nietzsche); dell'apprensivo e di colui che è dominato dai complessi metterne in risalto l'ingenuità e l'oscura moralità (D. H. Lawrence); di chi ha i nervi a nudo e il sangue pavido sottolinearne la brutalità e l'orrore (io!)
  Esiste anche qualche verità.

 

6.   Confutazione e spiegazione

 

  La poesia «sogno» che le piace non è la migliore che le ho mandato. Soltanto superficialmente è la più visionaria. C'è di più nella poesia Prima che bussassi, più di ciò che io considero importante nella mia poetica. La prego, questo non significa vantarsi. Sono inguaribilmente pessimista ed eternamente insoddisfatto.
  Così la povera vecchia chiocciola si è ferita il corno in passato. Molto tempo è trascorso da quando lessi l'Ode alla sera, tanto di quel tempo che la mia memoria respinge ogni responsabilità.
  Ma certo non le sarà sfuggita una delle più gravi cattive inclinazioni della mia poesia. Il mio crogiuolo è tutto amaro. In due o tre delle poesie che le ho mandato, vi è stato uno schema costante di rima di consonanti. L'Occhio del sonno è tutto in rima. Non mi avvalgo mai della rima piena, ma quasi sempre di una mezza rima.
  Prenda ad esempio la poesia pubblicata dal «Referee» di domenica scorsa (le è piaciuta?)

 

a weather  
b stars      
xa other       

b trees

wings         
xa feather 

 

a earth

b head

a mouth

a death

b replied

 

a sings

b land

a gangs, e così via

a wings

b fads

 

a flower

b trees

a destroyer

b rose

a fever

 

rocks

streams

wax

veins

sucks,

e così via

 

  Non sempre mi attengo agli schemi della rima con completa fedeltà. Di norma, sì. Ma forse questa elaborata spiegazione è stata una perdita di tempo. Può darsi che abbia già notato prima tutto ciò, poiché ha uno strano effetto.

 

7.   Osservazione condiscendente

 

  Lasci senz'altro che l'amico Mednikoff legga le mie poesie, ma non gli mostri soltanto Occhio del sonno. Gli mostri le altre e mi riferisca che cosa dice, per favore, anche se, con una sardonica e bieca occhiata russa, sputa sull'intera infornata. Dalla scarna descrizione che fa di lui, sembra interessantissimo, e sono lieto che abbia qualificato romantica la sua Sinfonia. Ma quale cerchia frequenta? La cerchia quadrata dei geometrici? La cerchia cicciosa degli Accademici?

 

8.   Ultimissime

 

  La macchina per scrivere sta ancora faticando sulla sua Genesi non comune. Il racconto è stato scritto un anno fa, ma non l'ho mai battuto a macchina. La prima e probabilmente l'ultima copia dattiloscritta è per lei. Sarà pronta quando le scriverò la prossima volta. Rimanderò ad allora i miei commenti esplicativi.

 

9.   Avanti la Brigata del Verso!

 

  Non penso di aver frainteso il suo Credo di Semplicità. Forse l'ho attaccato dal punto di vista sbagliato. Lei è stata cauta nell'esprimersi quando ha messo in contrasto la bellezza della semplicità e la bellezza dell'oscurità, della luce e delle tenebre, perché se io la penso come una Wilhelmina (ed io protesto che non è vero; penso a lei come a una Pamela), lei pensa a me come a un segugio di cessi dello Stige che eternamente scandaglia le emozioni intestinali. Può avere ragione, accidenti a lei, ma tutte le parole di cui si serve, «bellezza», «semplicità», «oscurità», significano cose diverse per le diverse persone, sono basate su preconcetti individuali. «Semplicità» per me è il modo migliore di esprimere una cosa, e l'espressione ultima può ugualmente essere oscura come il Paradiso di D. H. Lawrence. «Oscurità» è il modo peggiore. Ho pensato una definizione di bellezza, ma, come tutte le definizioni del genere, è troppo limitata. Uno dei suoi più grandi aspetti è «conoscenza più stupore», ma espandere questo concetto mi condurrebbe, attraverso molte pagine vaghe, al punto dal quale ho cominciato. Bellezza, inoltre, è il senso dell'unità nella diversità. Ciò non richiede chiarimenti.
  E la poesia non deve rivolgersi alla mente intelligente più che alla non intelligente. È apprezzata in maggior misura dalla mente non prevenuta. Ogni autentico poeta ha le sue norme, i suoi codici di apprezzamento, la sua atmosfera. Leggendo un poeta per la prima volta, non si può conoscerlo, e, per conseguenza, giudicandolo in base a criteri preconcetti, per quanto elastici essi possano essere... non si può apprezzarlo pienamente. Ci si dovrebbe anzitutto avvicinare con un cervello vuoto e un cuore pieno ad ogni poesia che si legge: compito impossibile. Il solo modo possibile consiste nel leggere e rileggere, preferibilmente a voce alta, ogni nuova poesia che colpisca perché ha un po' di valore, per quanto piccolo.
  Il parlare di poesia dovrebbe senza dubbio essere incoraggiato. Io spero sinceramente che lei legga ad alta voce. Personalmente cantileno con voce sonora ogni poesia che leggo. I vicini devono conoscere a memoria le sue poesie; senz'altro conoscono le mie e finiranno con il conoscere molti brani di Macbeth, del Buffone della Morte e dei Libri Profetici. Penso spesso che le vasche da bagno sono state costruite appositamente perché i poeti sonnacchiosi vi si distendano e declamino a voce alta tra il vapore e le increspature bollenti.

 

10.   Un Potpourri di Satira Originale e Non Originale

 

    La Tharp che una volta nelle Sale di Neuburg

    Si liberò dell'anima di impostora

    Pende ora muta sui tuoi scarabocchi

    Come se quell'anima fosse fuggita.

    Così dorme il vizio dei giorni passati,

    Così il fremito dell'impostora è finito,

    E i cuori che un tempo lodarono Tupper

    Ora lodano te tanto più.


  Non so proprio che cosa ciò significhi, ma, a parte «scarabocchi», parola inserita perché faceva rima [«Scrawls» e «Halls» nel testo originale], sembra essere vagamente laudativa.
  Dio aiuti il Circolo delle Arti Creative. Spero che non lo aiuti lei. Si tratterebbe probabilmente di qualcosa di questo genere:

  «Chiamerò adesso Alberic Morphine che terrà una lettura. Le file di giovani donne guardano in alto; i loro occhi luccicano; rabbrividiscono
  Di quell'emozione che è molto ingannevole.

  Hanno tutte begli occhi, facce gialle, orribili vesti e un fegato. Fumano parecchio, si lavano poco, e non portano il busto».

  O di quest'altro:

  «Conosceresti Iris, lei che vive serena
  Nella confusione intensa dell'osceno,

  E trascina la sua tresca sessuale all'ora del té tutta fresca
  Sul tavolo da pranzo, come un gatto con carne;
  Lesbia, la cui forma esteriore proclama almeno
  Qualche variante sulla bestia normale;
  Onan, che ricorda complessi prima ch'io parli,
  I suoi ruoli, fanciullo, di maleducato e codardo,
  I coprolitici amori di gioventù e più oscene fantasie

  Tratte dalla lettura dei romanzi di Ernest Jones».
      «Conosceresti Mrs Murgatroud Martin:

      Ti parla di Pater e Pankhurst, di Tagore e Wilde,

      Delle leggi umane, delle virtù di proteinici piselli,

      Di canti popolari e d'arte e di latte sterilizzato per il bambino,

      Delle gioie della Morris Dance e dei Té Poetici».

 

  Ascolterebbe un monte di belle cose sull'arte, e un monte di simpatiche persone leggerebbero le sue poesie e direbbero le cose più carine, e lei tornerebbe a casa e vomiterebbe sullo stuoino.

  Ma, come ebbe a dire una volta Ruskin a Carlyle, la prego, non faccia l'altezzoso con me. «Nessun uomo e nessuna donna sanno esattamente cosa significa il sesso prima che la vita porti loro questa grande esperienza? » Si, ha scritto lei queste parole, e richiederanno qualche spiegazione alle porte del paradiso ove il fallo è considerato una realtà e non un piuolo al quale appendere le proprie banalità.

 

11.   AMORE e ODIO

 

                            Schernisci questo bosco incantato,

                                    Tu che osi.

 

  Non mostrerei ripugnanza per il vecchio cavallo da battaglia. I suoi zoccoli hanno segnato il tempo di quasi tutti i grandi brani orchestrali del mondo. Egli ha fatto conoscere Schonberg all'Inghilterra. Ha orchestrato questi commoventi Motivi Marini che fanno scorrere più rapido il sangue in ogni inglese dalle autentiche vene. Quali piedi non hanno battuto il tempo mentre dirigeva le marce da Pompa e Circoncisione? E mi piace la sua barba.
   Vi sono due soli uomini in Inghilterra che odio con tutto il cuore. Sir Edward Elgar e Geoffrey Grigson. L'uno ha inflitto a un pubblico supino più parole vuote e chiacchiere insulse di ogni altra persona mai vissuta. L'altro dirige «New Verse». Il suo posto è già prenotato nelle regioni infime in cui, per tutta l'eternità, leggerà i canti di Ezra Pound a uno stuolo di demoni incandescenti.

 

12.   La mia vita. Commovente autobiografia in un paragrafo

 

  Vidi per la prima volta la luce del giorno in una villa di Glamorgan, e, tra i terrori dell'accento gallese e il fumo delle pile di lamiere stagnate crebbi divenendo un soave lattante, un bambino precoce, un ragazzo ribelle, e un giovane morboso. Mio padre era maestro di scuola; un uomo dalla mentalità più aperta non l'ho mai conosciuto. Mia madre veniva dalle profondità agricole del Carmarthenshire: una donna più insignificante non l'ho mai conosciuta. La mia unica sorella passò attraverso gli stadi dell'età scolastica dalle lunghe gambe, della pubertà dalle gonne corte, e dello snobismo sociale, fino ad una comoda vita coniugale. Fui presentato per la prima volta a Tabacco (il Nemico del Boy Scout) quando ero un ragazzetto alle elementari, all'alcol (il Re Demonio) quando frequentavo gli ultimi corsi delle scuole secondarie. La Poesia (l'Amica della Zitella) mi si svelò la prima volta quando avevo sei o sette anni; rimane tuttora, anche se a volte il suo viso è screpolato come quello di un vecchio piattino. Per due anni sono stato cronista in un quotidiano, facendo visite giornaliere agli obitori, alle case dei suicidi v'è un gran numero di casi di suicidio nel Galles e alle «cappelle» calviniste. Due anni sono bastati. Ora non faccio altro che scrivere, e di tanto in tanto guadagno qualche ghinea con le mie dimostrazioni drammatiche di Come Non Recitare. Un dottore misantropo, al quale a quanto pare non piacque il modo come mi truccavo i sopraccigli, mi ha dato quattro anni di vita. Posso chiedere in prestito quella sua turpe espressione non è sua, in realtà e bisbigliargli all'orecchio Mi fai ridere?


13.   Un'esperienza commovente

 

  Dopo la mia ultima diretta a lei, scritta dallo sconforto di un cottage sulle colline gallesi, sono rimasto senza sigarette e ho percorso cinque chilometri fino al villaggio più vicino, Llanstephan, per comprarne.
  Era una follia di notte. Le nuvole sembravano orecchie d'asino. La luna arava il fiume Towy come se si fosse aspettata che le desse una messe di stelle. E le stelle stesse: centinaia di monelli dagli occhi splendenti che si davano di gomito a vicenda per una facezia celeste. È lunga la strada fino a Llanstephan, delimitata da alberi e da giovani contadini premuti amorosamente sulle mammelle delle ragazze che lavorano nelle cascine. Ma quanto più camminavo, tanto più la strada diveniva solitaria. Constatai che la follia della notte era una falsa follia, e il gran gioco scatenato del ciclo un più grande simbolo. Era come se la notte stesse gridando, gridando la terribile spiegazione di se stessa. Da ogni parte intorno a me, sotto i piedi, sopra il capo, i simboli si muovevano, tutti vanamente in attesa di essere tradotti. Gli alberi, quella notte, erano come dita di un profeta. Quella che pareva una buffona nel cielo era la nuvola più savia d'ogni altra... un enorme spettro musicale che tuonava un motivo in codice. Una notte savia, e mi fece perdonare anche la mia follia.
   Non esisteva, naturalmente, alcun distributore automatico di sigarette a Llanstephan.


14. Una poesia grossolana

 

  Mi consenta di spiegare anzitutto che è stata scritta in uno stato d'animo violento quando non sembrava esservi altro da fare che insultare qualcuno. Dopo averne letto i commenti nell'ultimo «Referee», ho scelto Neuburg come questo qualcuno. NON È CERTO LEALE, lo so, ed io sono PIUTTOSTO MALEDUCATO, tenuto conto del fatto ch'egli pubblicherà tutte le sue poesie e ne ha pubblicato un paio di mie, una molto di recente... ma tant'è:
      

      Un giornale della domenica ha fatto del suo meglio
      Per creare un nido canoro domenicale
      In cui poeti dai loro gusci potessero prorompere
      Con rime tremanti e fare del loro peggio
      Per violare le leggi dell'uomo e della metrica
      Pubblicando i loro giovanili escrementi.


      Un ometto ampolloso
      Ha diretto (con un carciofo)
      II coro d'uccelli che settimanalmente pigolavano
      Da pagine assai ben stampate.
      Ave al Giudice tutto impiastricciato
      Dai parti di mezzani e bastardi.

 

     A ciascuna frase o clausola profetica

     Lasciata cadere dalle loro colte mascelle,

     Le viscere della Logica si rivoltano,

     II maiale di Bathos mostra il grugno.

     Ad ogni... verso che stampano

     La Musa loro ancor più diviene strabica.

 

     Non tutti esultano se Victor N
     È tanto al di sopra della media degli uomini.
     Un nuovo Messia della Musa
     Vorrebbe che potessimo, come quegli antichi ebrei
     Metterti sul capo una corona piena d'inchiostro
     E crocifiggerti a testa in giù.

 

15. Un brano di sentimento

 

  Da quanto tempo la conosco? Sembra che abbia sempre scritto queste mie assurde lettere, e che da sempre abbia ricevuto queste sue lettere. Ma non può essere stato da più di pochi mesi. Eppure la conosco bene come non ho mai conosciuto chiunque altro in vita mia. Gran parte di quanto le scrivo, è, lo so, molto stupido, e di gran parte di ciò che ho scritto mi sono pentito subito dopo avere imbucato le lettere. Ma ho scritto quello che volevo scrivere, mi sono tolto dalla mente ogni genere di cose, e ho cercato di essere sincero. Ho trovato una poetessa, e una poetessa, per di più, che apprezza le mie poesie. Ho trovato un'ottima amica. No, mi rifiuto di diventare sdolcinato, ma sono lieto di averla trovata, o meglio, sono lieto che lei abbia trovato me. Scrivo a numerose persone, ma a nessuna con la libertà che adotto nelle mie lettere a lei. Lei non si offende quando divento volgare, come faccio così spesso, o quando dico cose spiacevoli delle sue poesie che non mi piacciono; non le dispiace se attacco tutti i mulini a vento del mondo con una penna arrugginita; e, sebbene dica che trova molto di cui ridere nelle mie lettere, non ride, lo so, di ciò che sono sincero, realmente sincero nell'esprimere. Le piacciono le mie lettere. Spero che il nostro incontro, quando avverrà, non la deluda. Non mi demolirò ulteriormente; ormai conosce tanti dei miei difetti e delle mie imperfezioni quanto me.
   Questa è la prima volta, credo, che le ho scritto così, e sarà l'ultima. Volevo soltanto dirle quanto apprezzo lei e le sue lettere. Basta. Basta. Che la nostra corrispondenza continui adesso come in passato, e che il postino seguiti a portare nella sua [qui Dylan Thomas usa il «thou» poetico] casa e nella mia i vividi prodotti della Musa di Battersea e Swansea, e l'abbacinante corrispondenza di due immaginazioni diverse ma bene accordate.

 

Dylan

 

  Questo non è un disegno futurista ma un ripensamento su una frase particolarmente raggiante Che possa destare la sua curiosità.

 

[Si vedono alcune righe nere che cancellano qualcosa da lui scritto.]

 

- - - – o – - - -

 

Le dispettose parodie che seguono sono difficili a datarsi, ma l'accenno alla poesia Béguinage nell'ultimo paragrafo induce Pamela Hansford Johnson a ritenere che anche questa lettera risalga al novembre 1933, come del resto l'accenno alle fotografie.


a Pamela Hansford Johnson
? novembre 1933


Mia cara Pamela (posso chiamarla così, non è vero?)
  sono così lieta di aver ricevuto la sua lettera. Che bella scrittura ha. Deve scrivermi ancora qualche volta. Mi piace tanto ricevere lettere intellettuali, a lei no? Danno una sorta di
come posso esprimermi? una sorta di stimolo, non trova? E quando uno coglie i propri fiorellini nel Giardino della Poesia (che frase adorabile, non le sembra? Mi è stata detta da un certo signor Wheeble), aiuta, anzi no, rinvigorisce inducendo a nuovi sforzi in fatto di orticoltura, sapere che lontano da noi v'è un'altra anima impegnata nella ricerca della bellezza («La Verità è Bellezza», come Keats si è così opportunamente espresso) in quei Rifugi Sempreverdi.
  E, mio caro, come posso esprimerle con le parole
parole! ah, fragili parole! quali delicatissime tazzine possono essere! le emozioni che le sue poesie in prosa hanno ispirato nel mio seno. (Ho pensato più volte lei no? che laddove le Classi Superiori hanno il seno, le Classi Operaie hanno quasi invariabilmente il petto). Quei brani raffinati profumavano ah, falsa penna! vedi come ti giochi di me con le tue allegre piccole burle! di una bellezza che io pure, umile nella mia devozione al Grande Dio Pan (Elisabeth Browning, ricorda?) ho cercato durante molte ore solari. Così dolcemente invero cadono sulle mie orecchie (Shakespeare, credo, ma se si tratta di Walter Scott mi corregga pure) ch'io mi sono accordata con la signora Grimmfluff affinché lei parli alla prossima riunione settimanale del Ladies Culture Guild su «Le ispirazioni che ho avuto». È questo un titolo troppo personale? Forse potrei fare in modo che lei parli su «Le abitudini sessuali delle falene». Il nostro circolo è così affascinato dalla Storia Naturale! Mi scriva ancora, la prego. Chissà, forse le farò leggere il mio volumetto di versi. Lo chiamo Il diabolo delle Muse.

      Sua,

 

Sinfonietta Bradshaw (signorina)

 

Gentile Signora,
  sappendo che lei è una poitessa e viaggia sul tramm, mi dominando se non potresse trovare per me due scellini e sei pence. Ho una rerciproca perculliarità con lei, gentile Signora; anche io viaggio in tramm, anche se, essendo uno scappolo di 57 anni non sono una poitessa. Di prorfersione interpertro parti feminili, e indoso seta su la pelle.
  Ringraziando la per i due scellini e sei pence, spero,
  Sono,

 

Lesley Pough

 

Caro signore,
  siamo spiacenti, ma dobbiamo restituirle la sua poesia. Vi è stato, presumiamo, un equivoco da parte sua. I nostri sono gli uffici della London Mercury-Manufacturers Association, e non quelli del periodico «Mercury», diretto, riteniamo, da Sir John Sitwell.
      Sinceramente suoi,

 

Rod, Fole & Perch Ltd.

 

Cara Signora,
  Vuole farci l'onore di accettare questo piccolo Dizionario di Rime, un tributo della nostra più sincera ammirazione? (Si porti più avanti, per piacere!)
  Dal                                                

Sindacato dei tramvieri

 

Commento fisionomico

 

  Lei ha un aspetto formidabile, mia Wilhelmina. Non mi aspettavo che fosse così florida e splendente e robusta, con un mento così britannico. Che personalità dominatrice! Perdiana, ragazza, che gioia di vivere! E invece eccomi qui, piccolo, senza mento, simile a un effeminato studente di Eton. Ah, le onde dell'autocompatimento che mi inghiottono mentre contemplo dapprima le sue altezze e poi le mie. (Anche se la mia fotografia risale a due anni e rotti fa, e la sua è recente come la rugiada di stamane!) Ma, per passare dallo scherzoso al serio, mi consenta di ringraziarla per avermi mandato la sua fotografia. Lei è molto, molto piacevole a guardarsi. Nel suo viso vi sono pensiero e forza. L'appenderò alla parete in camera mia. Questa è certo una delle cose che sarebbero potute essere espresse meglio. Tutto ciò che ho detto è con ogni probabilità del peggior gusto (non pensi che io le abbia mandato... una lettera trasandata. La scusi).
  Così adesso, se contemplo a lungo la sua fotografia, e lei, guardando la mia, esercita l'immaginazione per quanto concerne i particolari dell'età e della pulizia, non saremo più due estranei l'uno per l'altra. Grazie alla fotografia conosco i lineamenti del suo viso, grazie alla poesia i lineamenti della sua mente. Non sono un fisiognomista
non so nemmeno scriverla correttamente questa dannata parola ma vedo quanto lei sia irta (immagini di un branco di porcospini) di individualità. Se ha l'aspetto di chiunque altra? No, no. Ma d'altro canto io sono prevenuto.

 

Attacco al ridicolo e difesa dei vermi

 

  Mi creda o no, i primi due versi di Béguinage sono brutti quanto qualsiasi altra brutta cosa lei abbia scritto. L'immagine è brillante e volgare; cade troppo facilmente sulla carta. E l'atteggiamento dietro ad essa è errato, confida troppo su un'impressione fuggevole, scopertamente vivida, visiva, anziché su un'esperienza assimilata mentalmente. È scritta con l'occhio della mente e nemmeno con l'orecchio della mente, poiché i suoni sono non intenzionalmente sgradevoli. Lei ha colto un'immagine intravvista di quello che voleva esprimere e non il tranquillo, lento, minuzioso esame.
  Il suo appunto sulla fine della mia poesia Febbricitante è del tutto giustificato. Mi riconosco colpevole di scivolata nel ridicolo, ma adduco a mia giustificazione il fatto che ho copiato i versi non appena li avevo scritti, volendo mandarli a lei, troppo frettoloso per preoccuparmi della loro conclusione. In circostanze normali non l'avrei mai accettata.
  Mi lasci «la schiusa dei capelli». Fa pensare alla putrefazione, lo so, ma non è bella? E che cosa c'è di più rinfrescante dei vermi? A Hardy piaceva sedere accanto alla carogna di una pecora e vedere le mosche banchettarvi. Un pensiero tenebroso, ma buono e vivo. Uno dei più difficili e benefici piaceri della vita deriva dal cibo putrefatto della morte. Le scopra il viso, è morta giovane.
 

- - - – o – - - -

 

Il problema della salute di Dylan Thomas in gioventù resta un mistero. Da un canto, i suoi amici di Swansea lo credevano tutti sanissimo; dall'altro, egli stesso aveva cominciato a spargere la voce a Londra che stava morendo di tubercolosi. Senza dubbio, era debole di polmoni e aveva una conseguente tendenza alle bronchiti; soffriva inoltre di asma, aggravata dal fatto che fumava sigarette a catena, ma è estremamente improbabile che sia mai stato affetto dalla tubercolosi. Era, certo, intensamente sensibile, al punto che, in questo periodo della sua vita, sembra abbia temuto di poter impazzire. Tale sensibilità nervosa venne in seguito al contempo alleviata ed esacerbata dal bere, ma nel 1933 Dylan non poteva permettersi più di qualche birra. Tuttavia, l'immagine di se stesso come il poeta-adolescente condannato e morente, secondo la tradizione romantica, esercitava su di lui un grande fascino ed egli faceva il possibile per convincerne gli altri. La lettera che segue è un primo esempio di ciò. Eliot Crawshay-Williams, militare, uomo politico e scrittore estremamente politico, aveva dato alle stampe due volumi di drammi tipo Grand Guignol. Giorno di primavera era stato il titolo scelto inizialmente da Pamela Hansford Johnson per il suo libro di poesie. Il «droghiere comunista» era il suo amico A. E. (Bert) Trick, del quale diremo di più in seguito. Abbiamo tagliato circa duemila parole di critica particolareggiata di sei poesie inviategli da Pamela:  esse aggiungono poco o nulla agli appunti precedenti.

 

a Pamela Hansford Johnson

11 novembre 1933

Scusi la terribile scrittura

peggiore del solito!

 

Premessa

 

  Nella mia disordinata camera da letto, circondato da libri e da carte, pieno del malsano odore di un pessimo tabacco, siedo e scrivo. Fuori splende un bellissimo sole invernale, e, al mio fianco, la stufa a petrolio splende come un parelio. Sulla parete immediatamente di fronte a me pende il mio disegno a pastello dei Due Fratelli della Morte; l'uno è un Cristo sifilitico, l'altro un Mosè barbuto. Entrambi hanno la pelle dello stesso colore dei fichi, e camminano, in mancanza di un luogo migliore, su una scala orizzontale di lune. I tubi dell'acqua calda stanno imprecando contro di me, e, nonostante la vicinanza della stufa, le mie mani minuscole sono gelate.
  Stanotte ho dormito per la prima volta in questo mese; oggi sto scrivendo una poesia a lode del sonno e del Veronal che ha macchiato la manica sfilacciata. Queste dodici notti di novembre sono state per me dodici lunghi secoli. Un minuto dopo l'altro durante e otto ore di oscurità, disteso, ho contemplato gli angoli vuoti della stanza. Dapprima afferravo qualche minuscolo pensiero, me lo tenevo stretto, lo giravo e lo rigiravo nel mio cervello, sperando, grazie a tale concentrazione, di constatare che i sensi stavano scivolando nell'oblio. Ma ben presto le mie labbra pronunciavano frasi id alta voce, ed io le ascoltavo.
  «L'uomo facoltoso non va mai a piedi». Poi le labbra dicevano
«Si limita a guidare una macchina», e, un migliaio d'anni dopo, rapivo che cosa avevo detto. Allora ripetevo tutte le poesie che conosco, ma se dimenticavo una parola non riuscivo mai a pensarle un'altra da mettere al suo posto, a meno che non fosse una parola pazza e non avesse alcun significato. Sentivo allora il mio cuore battere, e ne contavo i battiti, e ne udivo la regolarità.
  Ed ora, grazie al Dio che guardò con occhio benevolo i lazzi delle figlie di Lot, ho dormito. Ora posso rispondere alla sua lettera ed eseguire la mia danza intorno alle sue poesie.
  Alcuni degli appunti acclusi
credo che questo stile giornalistico da noi adottato nelle ultime lettere si addica davvero molto bene al genere particolare delle nostre mentalità sono stati scritti nel corso dell'ultima settimana senza corrispondenza. Se una metà dei suoi appunti venissero composti durante il periodo intercorrente tra l'invio della sua lettera e la ricezione della mia, allora molto tempo prezioso (l'aggettivo dipende da lei, naturalmente) non andrebbe perduto. Questa, per me, è un'affermazione di grande buon senso, e, dopo aver partorito un'idea così sensata, rimarrò probabilmente mezzo stupido per il resto della settimana.
  Gli stati d'animo degli appunti li lascio a lei. Uno di essi, una rolta di più, è stato scritto nel bagno
condanna impressionante li quelli tra i miei conoscenti i quali credono che non ne faccia mai uno un altro sull'autobus da Swansea a Trecynon (lei non ne ha mai sentito parlare, ma questa cittadina vanta un Piccolo Teatro ove di quando in quando io recito); e gli altri nell'intimità della aia camera pensosa e infestata dai vermi.


Conseguimenti e insuccessi personali

 

  Che creatura terribilmente istruita è lei! Io non so cantare, non o suonare alcuno strumento musicale, e non so disegnare. Dipingo molto, ma senza alcuna tecnica, e gli effetti stupefacenti che allora riesco a raggiungere sono dovuti a una mentalità malata e una completa mancanza di capacità. O Wilhelmina Bernhardt! Mi cuso subito. Sono lieto che sia un'attrice, e ho la certezza che sia brava. Io ho recitato di tanto in tanto più meno che tanto sia come dilettante sia come vago professionista da quando avevo le dimensioni del suo pollice. Ma non posso dire di essere migliorato molto da quel tempo. La mia specialità è l'impersonificazione di pazzi, nevrotici, ripugnanti giovani «moderni» e attorucoli una recitazione molto immediata. Attualmente io e il Piccolo Teatro del Galles (suona bene) stiamo provando Strange Orchestra. La conosce? Io interpreto la parte di Val, se conosce la commedia; e, se non la conosce, le spiegherò che Val è uno scrittore nervoso e infelice di libri senza successo, innamorato ma spaventato di esserlo, pieno zeppo di nozioni banali e semidigerite sulla vita con la lettera maiuscola. Che genere di cose recita lei? Mi dica che impersona giovani donne isteriche affette da tumori, o erotiche giovani creature con Nozioni, e faremo insieme il «giro» dei music-hall di provincia recitando il Grand Guignol.
  A proposito di Grand Guignol, ho conosciuto Eliot Crawshay Williams la settimana scorsa.

 

Baratto

 

  In cambio di un «gelsomino» ti darò un «addome»

              =             «narciso»           =           «senna»
  Ma che il diavolo mi porti se baratterò i miei caldi uteri contro tutte le magiche chimere da questo lato di St Pauls. Siamo estremisti, ragazza, uno di sopra nella camera di nostra signoria e l'altro di sotto nel vaso da notte di nostra signoria. Ciononostante, farò del mio meglio per togliere con il pettine tutti gli orrori superflui che ho nella barba alla sola condizione che lei lasci passare la primavera l'anno prossimo senza fare scorrere una singola prodiga piena sulla sua tomba.

 

La pubblicazione di un libro

 

  Dissi che il suo libro era destinato ad avere successo, successo, in confronto, cioè, ad altri libri di poesia pubblicati di recente, e lo ripeto, che male può farle? Il lettore non prevenuto non si aspetta che un'opera prima sia perfetta. La sola cosa che cerca sono parti promettenti e frammenti riusciti. Non sono mai state pubblicate, probabilmente, prime poesie che avessero da offrire più di questo. E v'è senz'altro una promessa in tutto ciò che lei ha scritto. In due o tre esempi vi è stato un conseguimento innegabile e individuale. Lei è giovane e non può aspettarsi più di questo. Anche se fosse avvizzita e riuscisse a mantenere le forme soltanto con il busto, non vi sarebbe alcuna necessità che si aspettasse di più. Grandi reputazioni sono state costruite su molte promesse e modesti conseguimenti.
  Lei è, lo so, capace di arrivare alla perfezione in un certo tipo di poesia, una poesia nata da Christina Rossetti, dai Georgiani e dalla Poetry Bookshop Gang. E non è riuscita, lo so, nel tentativo di qualcosa di molto più alto
la creazione di una poesia personale, nata da Battersea, dalla signora Johnson e da estese e causali letture. In realtà, il suo avvenire di poetessa può svilupparsi in uno di due modi: lungo le siepi, ingombre dei cadaveri di preraffaelliti e Georgiani, verso una perfezione angusta ma popolare, o al centro della strada, schernendo le siepi e i solchi del «Referee», verso un vasto, non popolare, e davvero splendido fiasco.
  Lei stessa deve decidere da che parte andare, ma i letterati che frequenterà l'aiuteranno senz'altro a prendere una decisione. So da che parte vuole indirizzarla Neuburg, e spero in nome di Dio che le mie estese lettere l'aiuteranno ad andare nella direzione opposta. Tema Neuburg e tutti i seguaci della Vita Creativa come temerebbe il Boojum.
  Così parla il drago.                                              

 

Astute (parola sua) osservazioni

 

  Perché intitola il suo libro Giorno di primavera? Non è che le poesie in esso contenute siano scaturite da associazioni naturali. Lei non va a ficcanasare nei viottoli di campagna in cerca d'una pianta d'erba colderina per riversarvi su una spanciata di parole, né va a fare la mezzana nei recessi delle officine del gas con gli amori di amanti spossati che si ripetono, sperando di udire qualche parola d'amore da poter annotare sul suo taccuino. La sua è un'autoprimavera; tutto proviene da lei stessa, e l'oscurità, nonostante quanto dice lei, presenta infinitamente più possibilità del giorno. Ve troppa azione nella vita e non si vive abbastanza. La prova della vita sta nella risposta a una domanda, e tale domanda non è turbata dalla meccanica del vivere, dalla funzione del vivere, o dalle apparenze del vivere... ma dal vasto verbo, Essere. L'età non è una questione di anni, ma di Azione. Giorno di primavera! Potrà essermi sfuggita la ragione del titolo, e, in ogni modo, Dio solo sa perché sono a un tratto così veemente.


Commento sui commenti alla perfidia del sottoscritto scrittore. Ah, strega!
 

  Ma, sul serio, è stato l'atteggiamento celato dietro a ciò che lei ha detto, piuttosto che quanto ha detto, a evocare la mia singolare perfidia. Chiamare il Sesso la Grande Esperienza significa chiamare la Nascita la Grande Avventura, e una prostituta Donna dalla dubbia moralità. È la via di scampo di chi si esprime in modo codardo e l'ultima risorsa del giornalista dalla moralità presuntuosa (nessuna delle due cose si applica a lei). Ricorda Rampion in Point-Counter-Pointt Aveva dipinto un quadro osceno di un uomo e di una donna nudi. «Come lo chiama?» gli fu chiesto. «Alcuni lo chiamano amore, rispose lui. E altri lo chiamano...»
  Non che lei abbia fatto le sue osservazioni
con le quali concordo pienamente per il «grazioso»; non sono abbastanza corrotto per pretendere il linguaggio dei bassifondi in ogni possibile occasione. Ma esistono soltanto tre vocabolari a sua disposizione quando parla del sesso; il vocabolario della clinica, quello dei bassifondi, e quello del moralista. Dei tre, l'ultimo è di gran lunga il peggiore; è il compromesso e il gergo del pudibondo ipocrita. Il clinico, almeno, parla con conoscenza della materia, e l'uomo dei bassifondi parla per esperienza. Il moralista, con le sue conoscenze acquisite a mezzo e le sue esperienze frustrate o pervertite, avvolge ogni cosa nel mantello delle parole e dei simboli. L'uomo e la donna nudi rimangono.


Pathos (e scusi la matita, perché non riesco a trovare l'inchiostro)

 

  Quattro anni, mia dolcezza. 1340 giorni e notti. E grazie per le parole ottimistiche. Non credo neanche ad esse, ma d'altro canto sarebbe molto strano se vi credessi. Dovrebbe sentirmi tossire, comunque... un suono piacevolissimo, precisamente come se un leone marino si irritasse.
  No, non credo che l'etisia influenzi molto ciò che scrivo (oh il mio coraggio con quella non-proprio-compita parola!) Non posso fare a meno di scriverlo. È parte di me, per quanto possa essere una parte sgradevole, e anche se sarebbe necessario cauterizzarla e castrarla. La sua fede nella mia capacità di scrivere è una delle poche cose che mi fanno negare quel due volte maledetto dottore diabetico. Ho un altro credente... un droghiere comunista con la passione per l'oscurità e la famiglia Powys. Avrete entrambi un posto in Paradiso, o nel mio comodo, ma lievemente verminoso, inferno.
  Subito dopo avere scritto questo, ho ricevuto un biglietto alquanto inquietante da Richard Rees, dell'«Adelphi», che, la settimana scorsa, mi aveva chiesto di mandargli qualche poesia recente. Si complimenta con me per l'alto livello e la grande originalità di cui do prova e dice che la mia tecnica è stupefacente (un punto a favore del me formale), ma mi accusa
non in termini così espliciti di essere nella presa dei demoni. «Le poesie hanno una insostanzialità, una qualità di sogno scrive che mi hanno lasciato perplesso». Continua poi dicendo che i versi, come un tutto, gli hanno ricordato la scrittura automatica, o in stato di trance.
  La scrittura automatica non vale nulla come letteratura, anche se può rivestire interesse per lo psicologo o il patologo. Quindi, forse, in fin dei conti non sono altro che una bizzarria letteraria, un piccolo scherzo di natura la cui pazzia si esplica in parole stampate anziché in farneticamenti e allucinazioni. Può anche essere un'illusione quella che continua a farmi scrivere, l'illusione di essere un poeta di talento non capito. Il biglietto mi ha sconfortato più delle solite critiche ostili. Non tradisce alcuna avversione, né una semplice incomprensione, ma è una confessione di disorientamento, e quasi di paura, per il metodo con il quale scrivo poesia.
  Però si sbaglia, lo giuro. La mia facilità, come lui la chiama, è in realtà una fatica tremendamente dura. Scrivo alla velocità di due versi all'ora. Ho scritto centinaia di poesie e ognuna di esse ha richiesto innumerevoli ore penose, di cervello spremuto e di fatica.
  Se vuole, presti poca attenzione alle seguenti critiche delle sue poesie, poiché si basano, come quanto scrivo è basato, sui miei peculiari criteri, che possono essere i criteri di un fallito teorizzante e di un piccolo eccentrico bilioso.
Ora smetto di sfogliare le pagine sudice dell'anima mia, lecco la matita, mi soffio il naso pieno di gelo, accendo una sigaretta, e scrivo.

 

[...]


Inno di disperazione e di speranza.

 

  Scrivo questo nella Ricorrenza dell'Armistizio, 1933, quando la guerra non è più che un ricordo di privazioni e di giovani falciati. V'erano donne che avevano «perduto» i loro figli, anche se dove li avevano perduti e perché non riuscivano a ritrovarli, noi, che eravamo bambini nati dal sangue nel sangue, non potevamo mai capire. Lo stato era un assassino, e ogni paese in questo mondo infestato dal rumore, popolato da suicidi falliti lasciati dai quattro anni folli, è marchiato come Caino sulla fronte. Quel che era Cristo in noi fu infilato al ciclo con una baionetta, e quello che era Giuda noi lo sfamammo e gli demmo un tetto, ricompensandolo, in ultimo, con trenta pezzi di carne. La civiltà è un'assassina. Noi, con la croce di un Salvatore castrato incisa sui sopraccigli, affondiamo sempre e sempre più profondamente con il passare dei giorni nel pozzo dell'Occidente. La testa del Cristo esiste per essere contemplata nei musei, secca come la zampa di una talpa, nella sua bacheca di vetro. E tutti i domimi del ciclo hanno i loro limiti calcolati; le stelle si muovono all'aritmetica dell'uomo; e il sole, sogghignando come un idiota sulle valli d'Europa, tramonta come le gocce in una provetta si asciugano e scompaiono.
  Questo è un lamento sulla morte dell'Occidente. Le sue ossa e le mie concimeranno un'isola deserta situata in un vasto mare. Le stelle splenderanno sull'Inghilterra, ma le tenebre dell'Inghilterra e i sarcofaghi di una nazione alimentata col cucchiaio, e la pece nelle anime trucidate dei nostri figli, non saranno mai illuminati.
  «E la terra era senza forma e deserta; e le tenebre erano sulla faccia dell'abisso». I vecchi imbecilli di questo mondo ancora si avvinghiano al caos, ritenendo che sia l'Ordine. Il giorno verrà in cui l'antico Dis-Ordine muterà, cedendo il posto a un nuovo Ordine. Il genio viene strozzato ogni giorno dalla legione dei vecchi imbecilli, dagli ultimi d'una lunga discendenza di Edoardiani, avvinghiati, per Dio e per il capitale, a un sistema superato e in putrefazione. La luce è tramutata in tenebra dai capitalisti e dagli industriali. Ve una sola cosa cui lei ed io, che apparteniamo a questa generazione, dobbiamo guardare, per cui dobbiamo agire e pregare, e, siccome, così vivamente speriamo, siamo poeti ed esprimiamo non soltanto i nostri io personali ma i nostri io sociali, dobbiamo pregare per essa con tanto maggiore veemenza. È la Rivoluzione. Non v'è alcuna necessità che sia una rivoluzione di sangue. Non chiediamo questo. Chiediamo soltanto che l'attuale Dis-Ordine, questa macchina medievale che sta macinando in polvere le ossa e le viscere della generazione postbellica, venga spezzata in due, e che tutto ciò che v'è in noi di religiosità e di forza, di felicità e di genio, possa esultare al sole. Si dice che siamo senza fede, perché il nostro Dio non è un Dio capitalista, che non siamo patriottici perché non crediamo nel governo tory. Si dice che siamo immorali perché sappiamo che il matrimonio è un'istituzione morta, che l'antica, rigida, monogama unione per l'intera vita di maschio e femmina - le eccezioni sono le eccezioni della bellezza -è un'idea corrotta.
  La speranza della Rivoluzione, anche se non tutti vogliamo ammetterlo, ha il primo posto nella mente di tutti noi. Se non vi fosse questa scintilla rivoluzionaria entro di noi, questa fede in una nuova fede, e questo credere nella nostra capacità di schiacciare il caos che ci circonda come una fascia di erbacce, apriremmo il rubinetto della guerra e ci affogheremmo nei suoi gas.
  È ingiusto tutto ciò che vieta la libertà dell'individuo. I governi sono ingiusti perché sono i comitati dei proibenti; le rotative sono ingiuste perché ci nutrono di ciò con cui vogliono nutrirci, e non di ciò che desideriamo mangiare; le chiese sono ingiuste perché standardizzano i nostri dei, perché etichettano la nostra morale, perché lodano la morte di un Cristo scomparso, e temono il pianto del nuovo Cristo nel deserto; i poeti sono ingiusti, perché la loro visione non è una visione, ma uno strabuzzare gli occhi; guardano il mondo d'oggi, e ciononostante i loro occhi sono rivolti all'indietro lungo le strade dei secoli trascorsi, mai verso l'enorme, elettrica promessa del futuro.
  Vi sono ingiustizia, confusione, criminale ignoranza, virtù corrotta e invertita, ipocrisia e cecità di pietra, in ogni sfera della vita. Se soltanto per un momento il mondo occidentale potesse far cadere i veli che, sin dai tempi della Riforma, hanno aderito ad esso come le incrostazioni di una malattia, e guardare, con occhi illuminati, la latrina che ha creato, la grandezza che ha spaccato e strangolato, l'inedia che ha promosso, le perversioni e le ignoranze che ha insegnato, morirebbe allora di vergogna. E noi, che non abbiamo vissuto abbastanza per essere completamente corrotti, potremmo costruire con le sue ossa divenute concime la base di una civiltà giusta e ragionevole.
  Non starò a tediarla con altra propaganda, anche se Dio solo sa perché dovrebbe annoiarla, in quanto è vicina a lei quanto a me. In seguito, in un'altra lettera, le delineerò in modo più ragionato la Rivoluzione, le mere verità del comunismo
che è al di sopra del comunismo, in quanto pone l'individuo più in alto di ogni altra cosa e spero che anche lei possa mettere la cravatta scarlatta, e, irrompendo a gran passi nelle tane di Hampstead, fulminare quelli della Vita Creativa con una invettiva che i loro poveri, dannati cervelli, non potrebbero mai penetrare.
Ma soltanto se non l'annoia. I semi preziosi della rivoluzione non devono essere sprecati, anche se io non credo che lo saranno in lei.

 

II gruppo artistico

 

  Il tipo di gruppo che lei descrive e lo descrive davvero bene è una minaccia per l'arte, sebbene la frase non mi piaccia. Wyndham (Tarr) Lewis ha colpito duramente i suoi componenti in Scimmie di Dio; Roy Campbell, nella Georgiade li ha calpestati sotto gli zoccoli del suo destriero del secolo XVIII, ma essi continuano a prosperare. Eppure fruste creature con il pigiama della madre continuano ad entusiasmarsi per qualche lirico che presto sarà dimenticato, o per qualche pittore, destinato a non essere mai noto, della natura al naturale e all'angolare. Uomini neutri e tenori femmine si strofinano le spalle con «gli impostori e gli sciamani [«Shams and shamans», nel testo inglese], i vagabondi e omosessuali dilettanti di Bloomsbury W.C.1.», mentre la padrona di casa, vestita di velluto scarlatto, beve alla loro salute alcool denaturato.
  Con una infarinatura, spesso inesattamente mandata a mente, di cultura enciclopedica, con i nomi degli astri fuggevoli del loro decennio, sulla punta della lingua, con i seni da uomini foggiati mediante imbottiture, le giovani donne parlano e parlano. Giovanotti dai fianchi sodomitici, con le inevitabili basette e sigarette, i fegati malati e i denti ingialliti, leggendo Lawrence come afrodisiaco e Marie Gorelli durante i loro infrequenti lavacri, riversano sulla carta e sulla tela la loro ignoranza e le loro perversioni, bagnando il letto dei loro cervelli con scariche di versi fungoidi. Questa è l'arte d'oggi; posa, simulazione, plagio, e tutti gli artifici di una generazione condannata.
  Nell'angolo è ritta una femmina emaciata che canta quella sentimentale ballata Proust una canzone al crepuscolo. Da dietro un divano scaturisce una risata macabra. Qualcuno ha detto una battuta su André Gide.

 

Giovane creatura sofferente: Le piace Ibsen? P.H.J. No, preferisco Glauber.

 

Sbadataggine

 

  Grazie per la critica particolareggiata delle 16 poesie troppe, davvero, accidenti, per infliggergliele in una sola dose ma poiché non ho tenuto una copia del volumetto, non so quali poesie stia criticando. È terribile: leggo «Questo è un verso spaventoso», o «questo è molto bacato», e immediatamente voglio rileggere la particolare poesia e trovarmi d'accordo con lei. Ma non posso. Nella prossima lettera mi mandi tutti i primi versi, riportando sopra il numero, vuole? Non dimentichi.


Sugli scheletri

 

  Non sono rimasto né stupito né rivoltato vedendo il suo piccolo scheletro ghignante. Quando affonda, affonda abbastanza profondamente nei pozzi zuccherosi per piacere a tutti gli Amici delle Donne in Inghilterra. Non osi riprovare.
  Anch'io ho un perfido segreto. Un tempo scrivevo per la Northcliffe Press articoli di questo genere: I romanzieri sono buoni mariti? e I poeti sono pazzi? ecc... molto letterari, molto alla James Douglas, molto che il diavolo se li porti. Ora non ne scrivo più: ho procurato alla Northcliffe Press una causa per diffamazione, definendo pazza Miss Nina Hamnet (autrice del libro intitolato Laughing Torso, non so se se ne ricordi).

 

Epilogo


  Ho tralasciato parecchi degli argomenti dei quali volevo parlare, e ho lasciato senza risposta molti dei suoi commenti. Ma cinque di questi enormi fogli, ricoperti da una scrittura minuta, sono sufficienti per lei tutti in una volta. Scriva molto presto, non tra una settimana, ma tra pochi giorni; le concedo un intero week-end per redigere i suoi appunti. Faccia che siano lunghi come questi. Le accludo una poesia appena terminata. È senz'altro una delle mie solite cose, ho paura, e molto probabilmente non le piacerà. Ma francamente, l'unico «cancro» menzionato è necessario. E cercherò di essere buono in avvenire.

 

Dylan

 

  Rileggendo questi appunti, vedo che ve ne sono molti insolitamente aggressivi e particolarmente privi di umorismo. Dolente!
  E un'altra cosa prima che me ne dimentichi: se questa lettera è illeggibile
non si è ancora lamentata nemmeno una volta della mia orrenda scrittura me lo dica e la prossima lettera sarà battuta a macchina.
  In merito al viaggio a Chertsey sono terribilmente in dubbio, per ora, sul momento in cui verrò. Voglio prima un buon pretesto. Potrei riuscire a predisporre un incontro con Middleton Murry
lo conobbi l'agosto scorso a Chelsea. O anche con T. S. Eliot. (Dio mi aiuti). Ancora le scriverò di questa e di altre cose.

 

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Anche nella lettera che segue abbiamo omesso critiche particolareggiate a tre poesie mandategli da Pamela. Con "Robeysmo" Dylan si riferisce a George Robey, un commediografo famoso, tra gli altri motivi, per la sua volgarità. L'episodio di Dylan e di Dan Jones che si fissano a vicenda in una stanza man mano più buia fino ad essere terrorizzati dall'apparente deformazione della testa dell'uno e dell'altro, è stato narrato anche dal dottor Jones, ed è ristampato in Dylan Thomas: The Legend and the Poet, di E.W. Tedlock (1960).

 

a Pamela Hansford Johnson
fine 1933

 

Risposta riluttante

 

  Nulla che io possa immaginare compresa la consegna personale della Garbo in una scatola di latta mi farebbe tanto piacere quanto trascorrere il Natale con lei, e parlarle (anche se, in realtà, io non parlo poi tanto) fino a Santo Stefano. L'asciugatoio e il vaso di agrifoglio, in particolare il vaso di agrifoglio, sono tentazioni terribilmente grandi. Ma devo rimanere immobile come un piccolo martire, respingendo le tentazioni della carne (no, non intendo affatto dir questo; si direbbe che lei mi abbia invitato a un pigiama party), e ubbidire invece alle richieste di una famiglia ottenebrata. Mia sorella, mio cognato e mio zio verranno qui per le feste, e tutti se la spasseranno un mondo. E come, all'inferno! Mangeremo troppo tutti quanti, suppongo, leggeremo i giornali, dormiremo e schiacceremo noci. Non vi sarà alcuna atmosfera festosa da periodo natalizio, ed io, con una camicia extra-nera, cogiterò malinconico davanti al fuoco, contemplando, nelle braci, le forme di trascorse Miserie e Follie.
  Sono lusingato di ricevere un invito natalizio da lei, da lei che mi ha conosciuto da così breve tempo e in modi così insoliti... più lusingato (e terribilmente lieto) di quanto possa dirle.
  (A proposito, ho scoperto un nuovo modo di ammalarsi. Si compra un'oncia di tabacco da masticare Sailors', una macchinetta per fare sigarette, e un pacchetto di cartine per sigarette. Si dispone uno strato di tabacco nella macchinetta, si infila la cartina, si gira, la si estrae, e si fuma il risultato, ha il peggior sapore che abbia mai conosciuto. Ne sto fumando una adesso).
  Anche sua madre, presumo, ha avuto parte nell'incantevole invito. Le porga i miei auguri natalizi e le dica di scrivere a parte e di darmi notizie confidenziali su sua figlia (come la figliola sia una campionessa di pattinaggio sul ghiaccio, o una partecipante alle corse agli ostacoli, o una vincitnce del Derby, come le piaccia Berta Ruck assai più di James Joyce, come scriva romanzi nelle ore libere e collabori a, diciamo, al «Ladies' Chat» e al «Miriam Weekly»).
  A proposito, di nuovo, ha mai scritto prosa? Se sì, mi farà leggere i suoi lavori, vero? Ricordo che in una lettera di molto tempo fa mi disse qualcosa di certi racconti che aveva bruciato. Ma non esistono racconti non maltrattati cosi duramente e, ne sono certo, cosi inutilmente? Credo che lei dovrebbe essere in grado di scrivere ottima prosa. Ma d'altro canto, come ho già detto, non so dove, io sono prevenuto, molto.
  Mi piacerebbe passare il Natale con lei. Le circostanze vogliono altrimenti, e mio padre andrà in ospedale a Londra nei primissimi giorni di gennaio per farsi togliere, a quanto ne so, numerose necessarissime glandole.

 

[...]

 

Cenni per il riconoscimento

 

  II graduale rimpicciolirsi del quale si lagna è principalmente mentale, poiché quanto più divengo scoraggiato, tanto più piccolo e più debole mi sento.
  Statura: uno e sessantacinque (circa).
  Peso: cinquantadue chili (circa).
  Capelli: una specie di castano color topo.
  Occhi: grandi, castani e verdi (detto così sembra che l'uno sia castano e l'altro verde; i colori sono mescolati). Segni particolari: tre nei sulla guancia destra, cicatrice su un braccio e una caviglia, sebbene, dato che in genere porto i calzini, quest'ultimo piccolo segno non si veda.

  Sesso: maschile, credo.

  Voce: presumo che si potrebbe definirla baritonale, anche se a volte sale verso il tenore e a volte scende verso il basso. Tranne che nei momenti di ilarità, credo di parlare senza accento.
  Misura dei piedi: cinque (questo non è il numero).
  Sigarette: Players, quaranta al giorno, infilate al centro della bocca.
  Alimentazione: fieno.
Questo ritratto non è né molto divertente né molto illuminante, lo ammetto, ma devo, con ogni possibile sistema, tenermi alla larga dallo sfogo sentimentale che concludeva la mia ultima lettera. Mi scuso, incidentalmente, per essermi scusato del traboccare di sentimento. Avrei dovuto sapere quanto questo traboccare è interessante, perché piccoli, pulsanti frammenti nelle sue lettere
quando difende il suo teismo dinanzi a un branco di schernitori dal cervello negativo, o quando si sofferma, afflitta ma frammentaria, sul passare degli amori giovanili rivestono per me un interesse immenso, per me che sono inoltre lieto di godere della sua fiducia. Il mio piccolo orecchio gallese è aperto a tutti i segreti.
  Ma la prospettiva di essere consolato
immaterialmente, è vero, ma d'altro canto la sostanza della vita è e sarà sempre per me meno dell'irrealtà da una bell'ombra con gli occhi a mandorla, mi tenta a indulgere a desolazioni dello spirito ancor più abissali.
   

                          Allora metti una camicia aperta e una blusa,

                          Perché ogni artistica creatura consente

                          Al misero seno di essere libero

                          E visto dagli uomini che parlano di Proust.

                          Ricorda questo ad ogni tavola

                          Parla più volgarmente che puoi

                          E non passare mai i piselli senza almeno

                          Un accenno alla sessualità.

                          Approntato il guardaroba (lascia perdere il resto,

                          Le inezie come mutande e sottoveste),

                          Devi poi imparare i trucchi della conversazione scusi!          

scusi!                 (Qui nulla fa rima se non «colazione»).
                          Impara a cominciare con parole così:

                          «Chiaroscuro», «Malattia di Bright»,

                          «Timbro», «anima», «formaggio essenziale»,

                          «l'arte sociale», «il frizzo romboidale»,

                          «le opere ritmiche di Fete e Gocciola»,

                          «il Joyce dell'Amore», «il D. H. "Elle"»

[Nel testo originale giochi di parole intraducibili tra «Joyce» e «juice» (succo), tra «Ell» (elle) e «Eel» (anguilla)]
                          «le sfere formali di Piccola Nell».

                          Con queste belle frasi sulla lingua,

                          La conoscenza del vecchio e di Jung ,

[In inglese «Jung» ha la stessa «young», giovane]

                          Puoi conversare ad ogni festa

                          E mantenere artistico il discorso.


Da una lettera a mia zia, che disserta sul giusto approccio alla poesia moderna

 

                          A te, zia mia, che vorresti esplorare
                          II Chankley Bore letterario
                          Riesce duro il cammino perché tu non sei
                          Un letterario ottentotto
                          Ma soltanto una buona e colta signora
                          Che non conosce Eliot (con sua vergogna).
                          È un'onta, zia, che tu non debba vedere
                          Alcuna genialità in David G.,
                          Alcuna forma e suono elementare
                          In T. S. E. e in Ezra Pound.
                          Vergognati, zia! Ti mostrerò come
                          Elevare la bassa fronte,
                          E come salire e vedere i monumenti,
                          Da moderne altezze parnassiane.
                        

                          Compra anzitutto un cappello, non un modello di Parigi
che verso!        Ma quello che portano gli svizzeri cantando yodel

                         Quasi una bombetta, con una o due

                         Piume per celare la veduta.

                         E poi con i sandali scendi in istrada

                         (Tutti i pittori moderni adoperano i piedi

                         Per dipingere su strisce di tela,

                         Le loro mogli o madri meno i fianchi).


                         Forse sarebbe meglio se tu
                         Creassi qualcosa di nuovissimo,
                         Un romanzo osceno scritto in Erse

[Erse è il gaelico delle montagne scozzesi e dell'Irlanda]
                         Oppure all'indietro in versi gallesi,
                         O sul rovescio di panciotti dipingessi,
                         O componessi salmi sanscriti sul petto di lebbrosi.
                         Ma se ciò risultasse impossibile
                         Forse sarebbe meglio così,
                         Perché potresti scrivere allora quel che ti piace,
                         E il verso moderno è facile comporlo.


                         Non dimenticare che «sterlina» fa rima
                         Con «sgualdrina» in questi tempi agitati,
                         E le virgole sono il delitto peggiore;
                         Pochi capiscono le parole di Cummings,
                         E pochi i bassifondi mentali di James Joyce,
                         E pochi le ciance cifrate del giovane Auden;
                         Ma d'altro canto seno i pochi che contano.
                         Non essere mai lucida, non asserire mai,
                         Se vuoi essere giudicata grande,
                         II pensiero o il sentimento più semplice,
                         (Che il pensiero, lo sappiamo, è decadente);
                         Non omettere mai parole vitali
                         Come ventre, ..., e genitali,
                         Poiché queste son le cose che hanno parte
                         (e quale parte) in ogni buona arte.
                         Ricorda questo: ogni rosa è verminosa.
                         Ed ogni bella donna piena di germi;
                         Ricorda questo: che l'amore dipende
                         Da come la lettera Gallica pende;
                         Ricorda, inoltre, che la vita è un inferno
                         E che anche il paradiso odora
                         D'angeli in putrefazione i quali
                         Fanno una mortale baldoria nel blu.
                         Queste cose tenute presenti, chi può impedire
                         Al poeta di salire alla vetta?
                         Un'ultima parola: prima di cominciare
                         Le convulsioni dell'arte tua,
                         Togliti il cervello, estraiti il cuore;
                         Senza queste calamità, puoi essere
                         Un genio come David G.

 

                         Fatti coraggio, zia, e manda le cose tue
                         Con il mio appoggio a Geoffrey Grigson,
                         E possa io vivere ancora per ammirare
                         Quanto bene i tuoi versi accenderanno la fiamma.

 

Altro teorizzare

 

  Soltanto oggi, dopo aver letto per la centesima volta passi di Serpente piumato, sono riuscito ad arrivare a una valutazione di Lawrence. E dato che oggi quasi tutti hanno determinate e risolute idee su quella figura quasi leggendaria, potrà interessarle sapere a quali conclusioni sono pervenuto io ai margini del mondo letterario, ammesso che un tale mondo esista. Non so se arriverà fino in fondo a questa nota; in ogni modo non giustifica che si seppellisca nelle gallerie sintattiche ove io mi smarrisco così spesso.
  Lawrence era un moralista, un predicatore, ma la sua morale e i suoi sermoni non erano progressisti. Predicò una dottrina del paganesimo, e, con tutta la sua capacità di tubercolotico, tentò di condurre un'esistenza pagana. Ma quanto più si diventa pagani, e si ama il sole-ed-il-sesso, tanto meno si prova il desiderio di scrivere. Lo scrittore nato è uno scrofoloso nato; la sua carriera è un caso imposto dalle incapacità fisiche o accidentali. Lawrence predicò il paganesimo, e il paganesimo, in quanto vita vissuta dal corpo nel corpo per il corpo, è una dottrina che soddisfa l'uomo con la sua sorte. Il paganesimo sfida il cervello, e soltanto mediante il cervello l'uomo può rendersi conto del caos della civiltà e tentare di migliorarlo. Aldous Huxley, come suo diretto protagonista, predica il sermone dell'intelletto; il suo dio è cellulare e il suo paradiso è un'aspirazione socialista. Egli vorrebbe, come ha detto qualcuno più intelligente di me, condensare il principio generativo in una provetta; Lawrence, d'altro canto, vorrebbe condensare il mondo nel principio generativo, e far sì che i suoi apostoli declinino non già cogitare ma copulare.
  Il giovane scrittore, ammesso che voglia darsi un'etichetta, deve classificarsi sotto una di due intestazioni: sotto la filosofia (in mancanza di un termine migliore) la quale dichiara che il corpo è tutto e l'intelletto nulla, e che vuole confinare i desideri della vita, le percezioni e la creazione della vita, entro le pareti della carne; oppure sotto la filosofia la quale, dichiarando che l'intelletto e la ragione e l'intelligenza sono tutto, nega il calore del sangue e le promesse del corpo. Lei deve classificarsi sotto un'intestazione
le etichette potrebbero sovrapporsi un poco poiché l'equilibrio tra carne e non carne non può mai essere raggiunto dall'individuo. Sebbene la vita del corpo sia, forse, più direttamente piacevole, è terribilmente limitata, mentre la vita del non-corpo, anche se fisicamente insoddisfacente, è capace di svilupparsi, di realizzate l'infinito, di approdare in qualche luogo, e di creare una progenie artistica.
  Lawrence e il suo male crebbero paralleli e l'uno non fu nulla senza l'altro. Se egli non avesse avuto alcuna malattia, sarebbe stato un gaudente pagano e non avrebbe mai scritto nulla. Così com'era, debole e malato, scrisse della lotta delle idee nel forte pagano. E la sua letteratura, pertanto, sebbene valida, è una menzogna dal principio alla fine.
  Forse non ho sviluppato a sufficienza il ragionamento, e forse, o destinataria che mai si lagna di tante teorie non del tutto digerite, posso sbagliarmi completamente.
  Ci si fa un'idea alquanto bestiale di Lawrence se si legge Lorenzo in Taos. E a meno che lei non voglia considerare l'uomo un piccolo ciarlatano vanesio, debosciato, egocentrico, dominatore, non prenda in prestito il libro.

 

Noi ragazze

 

  Come sta andando Cenerentola? Questa è davvero una domanda interessata, sebbene conduca a un'altra dichiarazione personale. Ho appena incominciato le prove di Way of the World, una commedia da rappresentare nelle valli gallesi, ove non capiranno una oscena parola dal principio alla fine. La conosce? (Naturalmente sì). Io interpreto la parte di Witwoud, la seconda parte effeminata consecutiva. Ancora un po' di questo genere di recitazione e diventerò decisamente femmineo.
  Ha notato i terribili giovanotti di questa generazione, i degenerati dalle natiche prepotenti, dai calzoni di celluloide, che a poco a poco vanno prendendo il posto degli intelligenti giovani di anche cinque anni fa appena. O la degenerazione, la quasi incredibile effeminatezza, è il prodotto dei soli quartieri poveri gallesi? In un albergo, ieri sera, un ragazzo dal cappello verde chiaro, in camicia bianca, cravatta rossa, calzoni verde-chiaro e attillatissimo cappotto color cammello, è andato al banco del bar e ha detto: «Un porto e una Ardathe piccola, da ragazzina». L'ho sentito io. Era l'esempio più perfetto che abbia mai veduto, il genere di individuo di cui si sente parlare nelle barzellette sporche ma che di rado si incontra in carne ed ossa (Dio mi scampi dalla carne ed ossa; le gualdrappe esteriori sono già sufficienti). Vedo un numero sempre più grande di esemplari ogni giorno. Sono sempre esistiti, ma in questi ultimi mesi
a me sembra che si tratti di mesi stanno sbucando, spudoratamente, all'aperto. Ieri sera ne ho veduto uno insieme a un negro ubriaco.
  È l'unico vizio, credo, che mi ripugna e mi rende misantropo. Posso
teoricamente tollerare anche l'incesto (Mi dica, ha letto Fratello e sorella di Leonhard Frank?; se no, se lo procuri in un modo o nell'altro e lo legga; è brillante) e altri peccati domestici. Ma il peccato del giovincello con il negro sale come una rogna a reazione fino al cielo.
  Sto cercando di ottenere in prestito quel romanzo storico. Ha ancora uno scambio di lettere con l'autore, o io sono l'unico a inviarle lettere lunghe e letterarie
e neppur sempre letterarie?

 

Demoni

 

  Oggi incomincio un nuovo racconto che tra poche settimane, spero, sarà finito e abbastanza buono per essere mandato a lei. Il tema della storia l'ho sognato in un incubo. Se riuscirò, se le parole si adatteranno ai pensieri, sarà uno dei più spaventosi racconti mai scritti. L'azione sarà già abbastanza macabra, ma se ne sarò capace il tono sarà cosi pacato che l'orrore dovrebbe salire alla gola come un grumo di sangue. «Ho portato la scopa perché ella la passi sulla parete» è la frase iniziale, che, presa a sé, non significa nulla. Ma anche di per sé sola è orribile per me.
  Non è sconforto il mio oggi. Mi sento come un morto che esulti in compagnia dei suoi vermi, tingendo di cremisi la terra mostruosa
parole, parole, parole con il sangue dei vermi (sì, di nuovo vermi, mia cara) che egli schiaccia come la massaia spiaccica una pulce tra la punta delle unghie.
  A volte sono molto delicato, ma oggi sono spaventoso; mi sento travolto dai miei complessi e mi stanno dando una felicità immensa, anche se profana.
  Conosce l'esperienza di mettersi a sedere in un angolo d'una stanza buia, con una luce fioca che traspare attraverso la finestra, e di fissare, senza batter ciglio e immobili, la faccia di un'altra persona nell'angolo opposto, senza mai distogliere gli occhi dalle fattezze di quest'altra faccia? Adagio la faccia muta, la mascella ciondola, la fronte scivola sulle guance, e il viso diviene uno strano circolo bianco, circondato da estrema oscurità. Poi nuovi lineamenti si formano sulla faccia, una bocca da capra scivola sopra il circolo, occhi splendono nelle fossette delle guance. Quindi, di nuovo, non v'è null'altro che il circolo, e dall'oscurità circostante salgono, forse, le corna di un cervo, o un piede a zoccolo, o le dita di una mano, o una cosa che le parole non potranno mai descrivere, una forma, non bella né orribile, ma profonda come l'inferno e serena come il paradiso.
  Se non ha mai fatto quest'esperienza, provi. È tutta un'illusione ottica, presumo, ma io la definisco sempre evocare i demoni. E, dia retta alle mie sinistre parole, invochi troppo i demoni, e, per Dio, vengono.
  Ho i demoni oggi; sono piccoli e blu, con ghette e bombetta e pinze da dentista. Quindi farò bene a non scriverle più fino a domani. Questo farà ritardare la lettera, ho paura, ed è già stata ritardata abbastanza a lungo, per varie ragioni. Ma non voglio scrivere proprio a lei
tra tutti un panegirico sulle orbite degli scheletri.

 

Parole

 

  Una nuova poesia accompagna questa lettera. Suppongo che sia di nuovo nella mia solita vena e persino un po' più pervasa di morte. Ma non si lasci sconcertare dalle immagini anatomiche, che le ho spiegato mesi fa. Il fatto che io scriva così spesso nei termini del corpo, della morte, della malattia, e della decomposizione del corpo, non significa necessariamente che la mia Musa (non è una delle parole che prediligo) sia sadica. Per il momento, almeno, credo nella necessità di comporre poesia ispirata dalla carne, e, generalmente, dalla carne morta. Tanti poeti moderni scelgono come loro soggetto la carne viva e, con le loro abili dissezioni, la tramutano in una carcassa. Io preferisco prendere la carne morta e, con quella qualsiasi positività di fede e di credo che v'è in me, creare con essa carne viva.
  A proposito di «Musa», ho letto in un vecchio «John O'London» (al diavolo il delicato giornale) numerosi elenchi individuali di parole preferite, e sono rimasto stupito nel constatare che la scelta dipendeva quasi esclusivamente dalle associazioni delle parole stesse. «Scampanio», «melodia», «dorato», «argento», «vivo», ecc., apparivano quasi in ogni elenco; «scampanio» [chime] è per me la sola parola di quel genere che possa, intrinsecamente e senza le sue associazioni, essere definita bella. La più grande singola parola che io conosca è «aerodromo» che, per qualche motivo, quasi mi dischiude le porte del paradiso. La pronunci lei stessa, a voce alta, e veda se ode le porte dorate aprirsi, mentre l'ultimo lungo suono della m si dilegua.

  «Aerodromo», «osso», «cupola», «condanna», «provincia», «sosta», «provare», «dolomite». Le prime quattro sono visionarie; Dio si muove in una lunga «o». Lei ha qualche parola particolarmente prediletta? In tal caso, adesso tocca a lei, signora.

 

Robeysmo

 

  Grazie per aver dato una scelta delle mie poesie che potrebbe piacere al potente Neuburg, ma non saprei per quanto concerne la poesia d'amore; una cosa del genere è così completamente fuori della mia sfera che mi spaventa pensare quanto potrebbe essere pessima; la manderò in ogni modo al Referee la settimana prossima. E grazie per aver accettato tutte le cose spietate che ho detto di Giorno di maggio senza inquietarsi affatto, e per aver prestato attenzione alle mie dogmatiche enormità sulle vasche da bagno. Mi faccia vedere, alla prima occasione, ogni nuova poesia passata al vaglio della prova acida. Mi piacciono i versi che mette nelle sue lettere; hanno molte delle qualità che mi piacerebbe veder mostrate nei suoi lavori più seri.
  Lei deve essere, sa, una ragazzina divertente da morire. Chiunque sappia essere artistico in modo intelligente, intelligente in modo artistico, e completamente volgare deve riuscire simpatico. Sicché la sua Risoluzione sarà tale che lei non potrà fare a meno di mantenerla. È straordinario quanto poche delle più-o-meno colte giovani donne che si conoscano sappiano essere sinceramente volgari. Parlano, magari, di cose che, cent'anni fa, si supponeva non esistessero, ma ne parlano in un modo astuto, sottile, sofisticato, e le loro battute di spirito
se ne dicono dipendono dalle allusioni. Invece lei a sua vergogna e a suo merito lei ha uno spirito decisamente grossolano e i suoi versi impertinenti su Gascoyne e le morbose preoccupazioni di lui sono a modo loro piccoli capolavori. Spero che questi complimenti non imbarazzino la sua Musa della Corrispondenza (una prosperosa creatura, da non confondere per nessun motivo con l'esile apparizione dagli occhi di daina del suo libro verde). Maggiori capacità ad essa, e a lei, dolce Pamela rabelaisiana.

 

Dylan
 

  Scriva presto; mi piacerebbe ricevere una lettera per Natale; e scriva una lettera lunga come questa. Non si lamenti di mancanza d'argomenti... questi appunti dovrebbero fornirgliene abbastanza.

- - - – o – - - -

 

Questa lettera del Giorno di Natale è in curioso contrasto con il testo radiofonico scritto una dozzina d'anni dopo su II Natale di un bambino nel Galles, e illumina forse in modo interessante la tendenza di Dylan, nella maturità, a vedere in una luce romantica i ricordi lontani. Pamela gli aveva mandato per Natale un volume delle poesie di Robert Graves e una scatola di sigarette Players.

 

a Pamela Hansford Johnson
25 dicembre 1933

 

Un'altra conseguenza: il giorno di Natale

 

  Grazie per le sigarette. Il pranzo di Natale è finito, e i ricordi di esso almeno fino ad ora sono più in bocca che nello stomaco. Mi sono gettato su una poltrona (sì, ne possediamo una) fumando il primo dei suoi così gentili e inaspettati doni. Mentre la famiglia è riunita intorno alla radio e sta ascoltando la voce di Sua Maestà, mi consenta di scriverle una nota per dirle quanto sono stato lieto di leggere la sua ultima lettera, e quanto inorridito pensando come lei abbia ritenuto che Robert Graves indicasse necessariamente il ritorno di John Player. L'accenno alla mia diabolica macchina non è stato una allusione alla sua generosità: devo darle assicurazioni a tale riguardo, anche se non dubito affatto che la lettura delle mie molte lettere abbia chiarito come questa mia invisibile personalità sia troppo onorata e Balliolica [Balliol è un collegio dell'Università di Oxford] (per non dire bucolica) per rendere possibile da parte mia un'azione cosi villana. Comportatevi correttamente, maleducati! E il mio stile in questa grigia sera di dicembre (un accenno ai pettirossi apparirà da un momento all'altro) è pesante come il pudding con brandy che ora si solleva in rivolta, in profondità nei meandri dell'intestino, contro troppo porto da quattro scellini e sei penny e troppe verdure.
  Bambino: Mamma, quanti semi ci sono in un mandarino?

  Mamma: Chiudi il becco, piccolo bastardo.
  I miei regali sono schierati davanti a me: una cravatta di un giallo impressionante e uno strano paio di guanti di filo da mia sorella; un portasigarette da mio cognato; dieci sigari da mio padre; 50 sigarette da uno zio; 50 sigarette da una giovane donna di Battersea, un lavoro a maglia dalla direttrice dell'albergo vicino al mio Piccolo Teatro; le opere complete di Blake da un altro zio; una nuova edizione del Corano da un amico che compone musica (un giorno le dirò qualcosa di molto interessante su di lui); l'antologia 1923-33 della signora Munro (comprese tre poesie di Gascoyne), da un amico che scrive di comunismo; due opuscoli su James Joyce da me stesso; mentre fuori è appeso un cappello nero bello ma troppo stretto, dono di mia madre, che da qualche tempo disperava delle curve e degli angoli di un decrepito cappello floscio di feltro. Tutto qui, e anche se il suo dono svanirà molto più rapidamente di alcuni altri, durerà molto più a lungo di tutti gli altri nel mio ricordo.
  Ora potrei essere più esplicito di cosi.
  Ho letto per la prima volta le lettere di Blake, e vedo, tra le altre cose, che le intestazioni comprendono: «Cara guida dei miei angeli», «Cara scultrice dell'eternità», «Cara amica dei miei angeli», «Cara amica della religione e dell'ordine»... e nell'attuale amabile stato d'animo potrei applicarle tutte a lei, con la sola possibile eccezione dell'ultima.
  Durante il pranzo ho raccontato, senza alcun effetto percettibile, la seguente storiella che spero possa avvantaggiare e divertire quelli dei suoi amici per i quali la volgarità, o per lo meno le guarnizioni di essa, è divertente come lo è per lei.
A.  Mia sorella è appena tornata dopo una settimana di vacanza a Parigi, e, sai, non è andata al Louvre nemmeno una volta.
B.  Santo ciclo, il cambiamento di vitto, presumo.
  Odo la sua risata far vibrare i tetti della casa ancestrale. È così? La storiella si legge male, ma si racconta bene. Una storiella che si legge meglio racconta dei due pesci rossi che nuotavano in un vaso e l'uno cantava all'altro il solito ritornello: «Non ho mai avuto sperma di pesce in vita mia finché non sei venuto tu».
  Di norma sono sempre stato contrario a includere così ovvie grossolanità nelle lettere dirette a lei, ma la vista del suo pazzo supplemento (grazie per avermelo mandato) ha domato l'avversione. Se riuscissi a farmi venire in mente un'altra storiella buffa gliela racconterei, ma le braccia di Morfeo (insieme alle dita non troppo agili di Orfeo
accidenti alla Chopin-atrice della casa accanto) si stanno chiudendo intorno a me. Arrivederci a domani, quando spero che i grevi, accademici idiomi di questo appunto mi lasceranno lucido abbastanza per scriverle ancora e molto più a lungo. La radio sta ripetendo continuamente il fatto che Natale è arrivato, ma per me è quasi passato. Quanti altri giorni di Natale avranno la gioia di vedere avvicinarsi e svanire questi miei vecchi occhi? Chissà: un giorno lontano potrei riunire i miei figli (anche se una decisione lo smentisce) intorno alle ginocchia artritiche, far loro il solletico al mento e parlare del miracolo del Cristo e dell'effetto devastatore di troppe noci in uno stomaco giovane.


Una conversazione tragica

 

A.  Compassioniamo i filosofi, gli specialisti e i carrieristi, perché, conoscendo troppo bene le fondamenta della vita o una parte limitatissima del meccanismo della vita, non hanno il tempo di contemplare il vasto panorama dell'idiozia sociale, delle arguzie politiche e delle farse letterarie. Siamo una volta tanto superficiali, raccontiamo una barzelletta e soffiamo in un fischietto prima che i vermi distruggano la struttura delicata delle nostre forme.
B.  No, impadroniamoci piuttosto di un aspetto di questa tragedia umana, e facciamolo a pezzi, rendendolo ancor più tragico. Passeggiamo lungo i viottoli di una contea inglese, facendo osservazioni sul futile agitarsi della vita nelle siepi, e, tolti di tasca i nostri inevitabili taccuini, siamo così vanesi da immaginare che le parole e le rime da noi annotate sulle pagine siano un pretesto sufficiente a giustificare l'assurdità delle nostre esistenze.
C. Compassioniamo il cinico e l'uomo di lettere, le due creature in una tra tutte le creature di Dio più lontane da Dio.

 


Interrogativo serissimo?

 

  Sono pazzo?

 

L'angolo del bibliotecario

 

  Una antica e ineliminabile prevenzione contro Kipling il quale rappresenta tutto ciò che in questo mondo canceroso io vorrei fosse diverso; un'antipatia inesplicabile per Washington Irving, alimentata da uno zio clericale il cui libro prediletto, come egli insiste così spesso nel dire, è la sua Vita di Maometto; un odio del latino, dovuto a un'istruzione ridicolmente inetta; l'apprezzamento di ciò che la s's («s» lunga) può ottenere in luogo di s's (veda le poesie di Graves), una completa ignoranza di Lady Gufi Gordon e di Lady Longford; e un odio teorico di Byron, Keats, Shelley e Wordsworth, non mi aiutano ad ammirare gli scaffali di Battersea. Stella Gibbons la consento, sebbene Cold Comfort Farm non sia riuscito nemmeno la metà di come avrebbe dovuto, a causa di qualche negligenza nello sviluppo della trama e a causa del clima totalmente incredibile e farsesco; Gerfalcon lo consentirei se lo conoscessi; e La lettera scarlatta è splendido. Ma dove sono i suoi moderni? (A proposito, ho letto, e non mi piace, quasi tutto Dreiser, quello di cui scrive è buono e pregevole, ma dovrebbe imparare il modo di scrivere. In fin dei conti se uno scrittore in inglese sa esprimersi soltanto goffamente in quella lingua, dovrebbe fare un tentativo in tedesco; in effetti lo stile di Dreiser è completamente teutonico. E, di nuovo a proposito, ho letto Angelo, guarda il passato alcuni anni fa, e mi è sembrato particolarmente bello).
  I nostri libri sono divisi in due sezioni, quella di Pa' e la mia. Pa' ha una stanza piena di tutta la letteratura approvata, da Chaucer a Henry James, di tutte le enciclopedie e le opere di consultazione, di tutto Saintsbury, e di innumerevoli libri sulla teoria della letteratura. La sua libreria contiene quasi tutto ciò che dovrebbe contenere la libreria di un intellettuale rispettabile. I miei libri, d'altro canto, sono quasi tutti di poesia, e quasi tutti moderni, per giunta. Ho tutte le poesie di Manley Hopkins, Stephen Grane, Yeats, de la Mare, Osbert Sitwell, Wilfred Owen, W. H. Auden e T. S. Eliot, volumi di poesie di Aldous Huxley, Sacheverell e Edith Sitwell, Edna St Vincent Millay, D. H. Lawrence, Humbert Wolfe, Sassoon, e Harold Monro; la maggior parte delle spaventose Migliori Poesie dell'Anno; due delle Antologie Georgiane, una delle Antologie degli Imagisti, Whips and Scorpions (versi satirici moderni), la London Mercury Anthology, le Nineteen Anthologies (quale Dowsoneria!); un volume di Cambridge Poetry & Oxford Undergraduate Poetry; quasi tutto Lawrence, quasi tutto Joyce, eccezion fatta per l'Ulisse, tutte le traduzioni dal greco di Gilbert Murray, qualcosa di Shaw, un poco di Virginia Woolf, e qualcosa di E. M. Forster. È una biblioteca inadeguata, in realtà, ma, aggiunta a quella di mio padre, costituisce una selezione letteraria davvero di vasta portata. Se alcuni dei poeti moderni che le ho menzionato non le sono molto ben noti, mi piacerebbe davvero, davvero molto prestarglieli. Tutti quelli cui ho accennato valgono la pena di essere conosciuti bene. Se le va di leggere, mi dica quale dei poeti di cui sopra le piacerebbe avere ed io glieli presterò ad uno ad uno, vuole?


Leggenda


  Che parole meravigliose sono «leggenda» e «isola»; entreranno senz'altro a far parte del mio elenco. Ma Ruth è il nome più bello.

  Troverà qui accluso un biglietto per la gentilissima mamma. Se lei è una brava ragazza può leggerlo. Non dice proprio nulla. Ma d'altro canto che cosa dice qualcosa? E quale altrettanto bene?


Evviva Nerone!

 

  L'ultima poesia che le ho mandato, quella che non le è piaciuta, non è molto buona, e sono contento che lei l'abbia attaccata; grazie, inoltre, per avere espresso nelle sue osservazioni sulla luce nascosta e sul correre in giro lungo la stessa logora pista di secondaria importanza gran parte di ciò che io stesso sentivo e non sono mai stato capace di esprimere. Su un punto dissento da lei; le immagini non sono miste; sono severamente fisiche dal principio alla fine; a darle l'impressione di «eterogeneità» è stata la rapidità conscia con la quale ne ho cambiato l'angolazione. Sì, l'«iris» è un pochino troppo facile. Ma la poesia (se mi consente ancora di chiamarla tale) non è senz'altro mista in nessunissimo modo; è su uno stesso piano e su una stessa nota, con una idea ed una immagine, cambiata e trasfigurata come quell'immagine può esserlo. Ma ogni perfezionamento della mia poesia non verrà in una volta sola; sarà (o non sarà, a seconda delle profondità dei miei stati d'animo), una cosa molto lenta e brutta; il «carnefice» ha ancora molto lavoro da compiere, e le immagini anatomiche non sono ancora esaurite. Ma un giorno spero di scrivere qualcosa che sia completamente al di fuori della sfera del carnefice, qualcosa di più grande, di più ampio, di più comprensibile, e di meno centrato sull'io; un giorno potrò anche soddisfare le sue aspettative. E in tal caso, se mai lo facessi, gran parte del merito andrebbe a una deliziosa (voglio dirlo) giovane donna che non ho mai visto.
  La sua «poesia» è, per lo meno, seria e semplice, con molte belle parole e rime e un adorabile piccolo ritmo a salto triplo. Il sentimento è piacevole, una schietta espressione di panteismo; e uno o due versi quasi trascendono il pensiero panteistico (Gesù!) e oscillano sugli orli del misticismo. Con due parole come «misticismo» e «panteismo» sulla lingua, potrei continuare per ore, ma glielo risparmierò.
  Una cosa che ho sempre notato e sempre ammirato nei suoi versi e nelle sue poesie è l'immediatezza delle frasi iniziali; non v'è mai alcun bordeggiamento; dice quello che ha da dire il più rapidamente e il più semplicemente possibile. E non ha mai
come disse di me messo nulla nelle poesie per renderle più difficili. Poesia è così semplice nel pensiero e nella struttura che perde anziché guadagnare con il ripetersi dell'asserzione del suo accomunare cose tanto diverse come una rondine e una zolla. «Sod» [zolla] quando fa rima con «god» [Dio], è di per sé il più orribile dei cliché; ogni volta che vedo «God» nel secondo verso di una brutta poesia, guardo inevitabilmente il quarto verso per vedere come vi sia stato trascinato il povero, vecchio «sod». E sebbene questa non sia una poesia del tutto brutta, l'eccessiva vicinanza di «God», «sod», «heifer» e «zephyr» non può non indurre a ritenere che il pensiero nel quale tali parole appaiono sia stato imposto dalle rime, e sia perciò falso. Lei ha cominciato con un pensiero semplicissimo (io, per quanto mi concerne, non crederò mai che i pensieri più validi debbano essere, necessariamente, semplici); ha confessato di identificarsi con lo «sparrow» [passero], e poi, come conclusione logica, ha continuato dicendo di identificarsi anche con l'«arrow» [freccia]. In quanto a questo, può dire di identificarsi anche con la «barrow» [carriola]. Perché è così, mia cara, è senz'altro così. Non sto cercando di essere irriverente; sto semplicemente cercando di dimostrarle, con qualsiasi metodo, come questo modo di scrivere sia essenzialmente falso. 

 

Una cosa sola son io con i venti ed i gorghi

Una cosa sola con il fiume che inonda il piano

Sono una sola cosa con i torrenti ed i borghi

Ed una sola con l'insetto che russa nel grano.
 

[Nell'originale: I am one with the wind and one with the breezes,

And one with the torrent that drowns the plain,

I am one with the streams and one with the seases,

And one with the maggot that snores in the grain]

 

  Un rimario, una piccola scelta di oggetti naturali, un minimo di capacità nel legare insieme parole graziose, e uno può scrivere così tutto il giorno. «Il sangue mio è tratto dalle vene delle rose» è su un piano completamente diverso; qui lei ha aggiunto qualcosa all'ormai insignificante ripetersi delle associazioni, e ha dato qualcosa di molto bello a se stessa e alla rosa. È chiaro? Si tratta di una cosa che continuo a ribadire. L'uomo che disse, per la prima volta, «Vedo la rosa», non disse nulla, ma l'uomo che disse, per la prima volta, «La rosa mi vede» pronunciò una meravigliosissima verità. V'è ben poco valore nel continuare indefinitamente a dire,

 

«Sono una cosa sola con il piroscafo e con il trolley,

E una cosa soltanto con l'airedale e con il collie»;

 

  in tutto ciò v'è troppo «Zio Tom Collie e via dicendo». Essenzialmente, vede, il lettore si rifiuta di credere che lei creda di identificarsi con tutte queste cose; deve dimostrarglielo, e assolutamente non può catalogare una serie di altre cose con le quali dice di essere imparentata.
  Con la magia delle parole e delle immagini deve fargli capire chiaramente che il rapporto è reale. E soltanto nel verso «II sangue mio è tratto dalle vene delle rose», lei gli fornisce una prova. Ha dato alla rosa una vena umana, e ha dato alla sua vena il sangue della rosa; ebbene, questo sì è un rapporto. «Sono suo figlio» significa poco in confronto a «Sono la sua carne e il suo sangue».
  Questa è una compressione ultima di quanto voglio dirle di Poesia e di ciò che voglio lei legga. In effetti, i 16 versi sono tutti separati, troppo separati; avrebbe potuto scriverne uno, essersi addormentata, destata, e avere scritto quello successivo. Anche se parla in tutta la poesia del rapporto di se stessa con altre cose, non esiste assolutamente alcun rapporto nella poesia tra le cose che cita. Se è una cosa sola con la rondine, e una cosa sola con la rosa, allora la rosa è una cosa sola con la rondine. Colleghi queste cose di cui parla, mostri, con le sue parole e le immagini, come la sua carne copra l'albero e come la carne dell'albero copra lei. Mi rendo conto di quello che ha fatto, naturalmente... «Sono una cosa sola con gli opposti», dice. Lo è, lo so, ma deve dimostrarmelo collegandosi con gli opposti, e collegando tra loro gli opposti. Soltanto nel verso della «rosa» lo ha fatto.
  È chiaro, tutto questo, o sto parlando attraverso il mio nuovo cappello nero?

 

Il verde idillio del piccolo Dio giallo

 

  Wagner commuove anche me, ma press'a poco come l'ultima scena spettacolare di una pantomima. Non negherò, nemmeno per un momento, che sia un grande compositore, ma la sua grandezza sta nella circonferenza più che nella profondità; manca di umorismo e di sottigliezza; crea tutto per te in una maniera vasta alla Cecil de Mille; la sua orchestrazione è un perpetuo «primo piano»; v'è in lui complessivamente troppa capacità di interessare il pubblico e troppo esibizionismo. Il suo Valhalla è molto grande e un luogo davvero splendido, ma costruito nello stile di un castello baronale tedesco; gli arazzi sono troppo ampi e colorati, v'è troppo sfoggio d'oro; mentre gli dei che lo dominano sono divinità floride, gonfie di prosopopea, che indossano vesti sfarzose e angeliche catene d'orologio.
  Lei conosce l'esperienza di percorrere le sale sontuose a Windsor, ammirando a bocca aperta la ricchezza e la magnificenza, e anelando a rifugiarsi in una stanza piccola e tranquilla ove poter mangiare patatine fritte e bere birra non forte per consolarsi. È questa l'esperienza che mi fa provare Wagner; mi ricorda un enorme e iperdilatato profittatore, che sguazza nei fronzoli, iperesibisce la sua pancia e la sua borsa mostruose, e annega la moglie da dieci tonnellate in una gran orgia di gioielli. Lo paragoni a un aristocratico come Bach!
  Eppure ammiro il modo con il quale lei lo ammira, e capisco come sia soltanto naturale che Wagner debba essere uno dei suoi nobili dei. Qualunque cosa possa dire di lui, è un grand'uomo, un uomo irresistibile, un uomo dalla forte personalità e dalla voce prepotente, un dominatore, un uomo arrogante, maestro nell'arte di gestire, sempre in preda alla passione e al tumulto a causa del turbolento e appassionato universo. È tutto questo, lo ammetto; alcune parti di Tristano e Isotta sono squisite; e i miei dileggi sono i dileggi di un pigmeo contro un nano, nemmeno di un Davide contro un Golia. Sì, non poteva non essere il compositore ammirato da lei, perché le qualità (enumerate più sopra) sono quelle che, artisticamente almeno, sembrano contare più d'ogni altra per lei. Le piace il romanzo storico rauco, fluttuante, ribaldo, le piacciono le grida «in piedi, e addosso! prendeteli a calci nella pancia, Dio è inglese!» di Kipling (anche se io, per nulla al mondo, mi sognerei di definirla un'esaltata), i nebulosi schiamazzi di Shelley, la virilità di Washington Irving. Se le piacciono tutte queste cose, come posso, in nome del ciclo, piacerle io... ammesso che sia così? Sono piccolo, senza un briciolo di salute, raggomitolato in una vecchia copia della «Funeral Gazette», intento a schernire il verme.

 

Neuburg

 

  A quanto pare non gli è piaciuta la poesia che gli ho mandato la settimana scorsa; non era molto ispirata, lo ammetto, ma era così mirabilmente comprensibile da darmi la certezza che lo avrebbe attratto. Comunque, questa settimana gli manderò quella poesia d'amore. Sicché il suo libro verrà pubblicato in primavera, adesso? da chi? E non dica che si farà chiamare Pamela Hansford Johnson; il sistema dei tre nomi è totalmente americano. In tal caso io mi farò chiamare Dylan Marlais Thomas. Ecco!

 

Alcune risoluzioni, ecc.

 

  Poiché questa è la stagione dell'anno in cui si prendono risoluzioni, dedicherò parte del mio tempo e, speriamolo, parte del suo, prospettando molte assurdità idealistiche alle quali ho l'intenzione di aderire. È questa una frase così brutta che il cervello passa logicamente alla questione della bruttezza. Orbene, non v'è nulla su questa terra di Dio che sia, di per sé, una brutta cosa; è la malattia della mente a rendere una cosa malata, ed è l'oscenità della mente a rendere una cosa oscena. Non mi riferisco ai parlamenti e alle commissioni, cose eternamente laide, perché sono formati da un insieme di laide menti; mi riferisco al maiale e alla concezione popolare della morte. Il maiale è un animale particolare e mangia soltanto ciò che per esso è buono; siccome ciò che mangia non è buono per noi, non ne consegue che si tratti di un cibo schifoso. Il maiale si corica nel letame a dormire, perché il letame è caldo e soffice; gli sembrerebbe probabilmente una cosa molto sudicia dormire su un lenzuolo. Si dice che la morte sia brutta soltanto perché noi abbiamo una laida concezione del corpo. Un corpo vivo è un edificio intorno all'anima, e un corpo morto è un edificio senza di essa; senza l'anima un corpo si rompe, ma i frammenti spezzati sono belli e significativi perché l'anima li ha fatti tali e ha lasciato i suoi segni. Così come un corpo vivo ha i propri ritmi e la propria struttura e la propria promessa (la promessa è forse la cosa più grande del mondo), un corpo morto ha le stesse cose; e non soltanto una struttura astratta, ma anche fisica. Un corpo morto si promette alla terra come un corpo vivo si promette allo sposo; e la terra è la nostra sposa. Guardando un cadavere, dovremmo dire, lì giace bellezza, poiché ha ospitato bellezza, l'anima essendo bella; così come, guardando una casa deserta, dovremmo dire, lì si trova forza (o qualunque altra cosa) perché ha ospitato forza, la forza essendo bella. Che cosa c'entra tutto questo con le risoluzioni? Mi conduce a decidere che non accetterò mai le cose per dimostrate, ma che cercherò di prenderle come sono, che nulla è brutto tranne ciò ch'io rendo brutto, e che il più umile e il più alto sono uguali agli occhi dell'aria.
  Decido di non etichettare il cervello in settori separati, vale a dire di non differenziare tra quanto v'è in me che scrive poesia e quanto v'è in me che dice, si avvicina l'una; a quest'ora pranzo. Cioè, ancora, la decisione di non differenziare tra quanto viene chiamato razionale e quanto viene chiamato irrazionale, ma di tentar di creare, o di lasciar che si crei, un razionalismo. Si dice che sia pazzesco scrivere poesia e ragionevole pranzare all'una; ma è tutto l'opposto: l'Arte è lode, ed è assennato lodare, in quanto, lodando, lodiamo la divinità che ci ha dato il senno; l'orologio è il simbolo della limitazione del tempo, e il tempo è illimitato; pertanto è errato ubbidire all'orologio e giusto mangiare non quando lo impongono le lancette dell'orologio, ma quando lo vogliono le dita della fame. Decido in primo luogo di creare poesia e in secondo luogo di scriverla; v'è poesia nelle lancette dell'orologio se soltanto riesco a rendermi conto che l'orologio è una limitazione, e so esprimere, nella mia poesia, la conoscenza di tale limitazione, e la conoscenza dell'illimitabilità. Posso imparare, prendendo questa decisione, a dire che nulla a questo mondo è privo di interesse. Come può non rivestire interesse una cosa che sia a questo mondo, che abbia il mondo intorno a sé, che abbia incluse in sé le associazioni di milioni di milioni di menti? Un pezzo di sasso è interessante quanto una cattedrale, o ancor più interessante, perché è la cattedrale in essenza; ha dato sostanza alla costruzione della cattedrale e significato al significato della cattedrale, poiché i sassi sono sermoni, come lo sono tutte le cose. E se posso indurrai a sapere, non a pensare, che nulla è privo di interesse, posso ampliare il mio modo di vedere e credere una volta di più, come così appassionatamente credevo e così appassionatamente voglio credere, alla magia di questo ardente e stupefacente universo, al significato e al potere dei simboli, al miracolo di me stesso e di tutti i mortali, alla divinità che è così vicina a noi e che tanto anela ad essere più vicina, alla sbalorditiva, dannata, stellata meraviglia del cielo ch'io posso vedere sopra di me e pensare sotto di me. Quando imparo che le stelle ch'io vedo possono essere soltanto il rovescio delle stelle che vedo laggiù, mi colma quel terrore che è il principio dell'amore. Mi dicono che lo spazio non ha fine e che lo spazio è curvo. Ed io capisco.
  Ed ora che ho cominciato non posso fermarmi; ho sellato un cavallo vivace, e la sua vivacità, non il suo corpo, continua a farmi sobbalzare su e giù come una stella di gomma sul suo dorso. Non ho mai farneticato con lei, prima d'ora, così a lungo, vero? Ma davvero è un farneticare naturale. Prima che si pervenga a una verità nella propria mente bisogna incidere innumerevoli croste di autoipocrisia e di dubbio, di autobluff e ipnotismo; la levigazione delle frasi cancella l'affilata pazzia delle parole, lasciandone soltanto l'ottusa ragionevolezza. Io sto scrivendo qui con naturalezza; prenda o lasci; questo fiume è suo, se lo vuole, e può continuare fino a quando i denti tengono nelle gengive, fino a quando (qualunque immagine può andare) i capelli del suo capo sono soavi come le corde che pendono dalle mani del cielo, pendendo per essere tirate... se qualcuno ne avesse la forza.
  E per cominciare, voglio credere nei draghi, non le flatulente creature simili a un carro armato che litigarono con san Giorgio, ma la vasta e focosa leggenda, che regge mezzo pianeta sulle spalle, con l'inferno nelle narici e il paradiso nelle scaglie, con una cometa nell'orbita fumigante dell'occhio, con un paio di dragoncini al fianco, con una nonna a casa che lavora a maglia calzini incredibilmente grandi e si cerca contee tra i capelli.
  Voglio immaginare un nuovo colore, tanto più bianco del bianco che il bianco sia nero.
  Voglio dimenticare tutto ciò che ho scritto fino ad ora e ricominciare daccapo, informato di una nuova meraviglia, svuotato di tutta la mia antica tristezza, e liberato dalla sofisticazione che è malattia. Come potrò mai giacere bocconi sul pavimento, girandomi e rigirandomi un angusto pensiero sulla punta della lingua, gridando nella mia verbosa solitudine, spregevole di spirito, cogitando sulla morte del mio dito che giace proprio dinanzi a me? Come potrò, se ho nuove da urlare al cielo, e se il cielo ha nuove da urlare a me? Voglio leggere i titoli delle notizie nel cielo: nascita di una stella, morte di una cometa. Voglio credere, credere in eterno, che il cielo è essere, una condizione di essere, e che il solo inferno è l'inferno di me stesso. Voglio bruciare il cielo con le sue stesse fiamme.
  No, ma ciò che voglio non è tutto così nebuloso; voglio vivere e amare ed essere amato; voglio lodare ed essere lodato; voglio dormire e destarmi, e considerare il mio sonno soltanto come un altro risveglio; voglio vivere e morire.
  Non adoriamo la natura; la natura è come noi la vogliamo e adora noi; fermiamo il sole, diciamo al sole di continuare.
  «L'universo è selvaggio e colmo di meraviglie». Nelle forme di un ragazzo, e di un ragazzo buffo, oltretutto, ho soltanto un tempo assai breve per imparare quanto sia folle e meraviglioso; io penso entro cellule, un giorno potrei pensare entro piogge. Tutto intorno a noi, ora e per sempre, uno spirito sostiene e uccide e fa risorgere il corpo; me ne infischio del Cristo, tranne che per il suo simbolo, il simbolo della morte. Ma il suicidio è male; l'uomo che si uccide è come l'uomo che anela a vedere aprirsi una porta e si taglia la gola prima di raggiungere la porta.
  V'è un demonietto, in camera sua, che con i miei occhi guarda lei.

 

Finale: l'Odio parla

 

  V'è una sirena da nebbia che sta gridando alle navi nel Canale di Bristol, come un albatro avrebbe potuto gridare al vecchio marinaio, sull'immenso oceano di Shakespeare in una profonda, cupa notte. Mi piacerebbe essere in un luogo molto bagnato, preferibilmente sotto il mare, verde come un tritone, con granchi color ciclamino sulle spalle, e lo scheletro di un magnate del commercio che mi passasse accanto galleggiando alla maniera di Desdemona; ma mi piacerebbe essere molto vivo sotto il mare, per cui la luna, splendendo attraverso le creste delle onde, sarebbe di un meraviglioso verde-pisello.
  Molto spesso
specie negli stati d'animo fantastici come quelli che mi hanno deliziato in questi ultimi giorni sono persuaso che l'angolazione dell'uomo sia necessariamente incapace di condurre a più nobili pensieri. Camminando, come facciamo, ad angolo retto con la terra, siamo impediti dal guardare, tanto quanto dovremmo, il ciclo leggendario sopra di noi e il solo-un-poco-più-possibile suolo sotto di noi. Possiamo soltanto (senza fatica) guardare davanti a noi e intorno a noi; possiamo guardare soltanto le cose situate tra la terra e il ciclo, e siamo nella stessa situazione di un lettore di libri che possa guardare soltanto il centro delle pagine e mai (senza uno sforzo) l'alto e il basso. Vediamo ciò che immaginiamo essere un albero, ma vediamo soltanto una parte dell'albero; ciò che vedono gli insetti sotto la terra quando alzano gli occhi verso l'albero, e ciò che vedono le stelle quando guardano in giù l'albero, rimane alla nostra immaginazione. E forse materialista può essere definito colui il quale crede soltanto nella parte d'albero che vede, e spiritualista colui il quale crede in molto più dell'albero di ciò che è visibile. Pensi quanto saremmo più savi se ci fosse possibile modificare gli angoli della nostra prospettiva con la stessa regolarità con cui ci cambiamo le maglie: un certo periodo lo trascorreremmo strisciando sulla schiena, per poter vedere il cielo come si deve e continuamente; e un certo periodo scivolando a pancia in giù nell'aria allo scopo di vedere la terra. Così come stanno le cose, questo nostro perpetuo angolo retto conduce a una visione non obiettiva. Probabilmente fu questo il volere divino, del resto, ma senza dubbio io intendo passare più tempo supino, e addirittura, se le circostanze lo consentiranno, seguirò il mirabile consiglio di Chesterton e trascorrerò più tempo che mi sia possibile in equilibrio sulla testa.
  E così, per il momento, mi congedo da lei, una creatura bassa di statura, ambigua, con un cappello cornuto, sentendomi molto smarrito in un vasto e magico universo, augurandole affetto e un nuovo anno in buona salute.

 

Dylan